Il Mysterium iniquitatis in Sergio Quinzio
Due parole su Sergio Quinzio
Sergio Quinzio pensava che la Chiesa postconciliare avesse lasciato
progressivamente decadere l'aspetto escatologico ed immaginava quindi che
in un futuro non troppo lontano, l'ultimo papa, Pietro II, tenterà di
rivitalizzare questo fondamentalissimo pilastro della fede ormai quasi
indifferente alla maggior parte dei fedeli.
Al di là dei documenti papali e del profluvio di parole fuoriuscite dalle
commissioni teologiche, che peraltro si sospetta ben pochi leggano, devo
constatare che è nelle messe domenicali che i contenuti di fede devono
essere trasmessi. Nelle omelie invece spesso si tenta di storicizzare
l'escatologia: ciò è evidente anche in Brianza dove abito ossia una delle
aree più "bianche" non dico d'Italia, ma addirittura del mondo (e non
esagero affatto).
Quinzio riflette sul piano filosofico che è molto diverso da quello
teologico, ma in “Mysterium Iniquitatis” critica l'ortodossia come farebbe
un ortodosso, cioè dice che la Chiesa sta trascurando il dogma riguardo
appunto i “novissimi”, specialmente la risurrezione della carne. Il fatto
consideri nel finale del libro come deprecabile questa dimenticanza indica
una tendenza su cui nessun cattolico potrebbe essere in disaccordo, per
quanto si possa essere distanti dalla prospettiva di Quinzio.
Se pensiamo al lunghissimo pontificato di Giovanni Paolo II, nelle sue
circa 14 encicliche i termini che richiamano i “novissimi” (inferno,
purgatorio, paradiso, etc) sono nominati in totale forse meno di una
dozzina di volte.
Va precisata una cosa, ad ogni modo. Quinzio non è un teologo, ma un
filosofo di cui non possiamo condividere la posizione, ma che tuttavia ha
riflettuto con acume quasi profetico sul futuro, o la decadenza, della
Chiesa. Quinzio rappresenta bene quei "profeti laici" che hanno intuito il
pericolo che il sacro in generale e il cristianesimo in particolare
correvano sotto l'incalzare di una modernità fondamentalmente atea e
materialista.
Sergio Quinzio, filosofo della "debolezza di Dio" dalla fede problematica,
ha scritto diversi libri di commento alle Sacre Scritture (il monumentale
"Un commento alla Bibbia,1972-75), sulle radici ebraiche del cristianesimo
(Radici ebraiche del moderno, 1990) e sui destini ultimi del cristianesimo
(La speranza nell’Apocalisse, 1994; Mysterium iniquitatis, 1995).
Nel suo romanzo fanta-teologico "Mysterium iniquitatis" immagina
un’eventualità impossibile: ciò che accadrebbe alla Chiesa se non venisse
più guidata da Dio. In un cattolicesimo ormai ridotto a uno sparuto gruppo
di fedeli mentre è scomparso dalla predicazione qualsiasi accenno alla
risurrezione della carne e alla vita eterna, Pietro II, l'ultimo papa
secondo la profezia di Malachia, scrive le due ultime encicliche della
storia della Chiesa per rivitalizzare una fede ormai in agonia.
Nella prima ribadisce il dogma della risurrezione della carne, ma il suo
appello resta inascoltato. Nella seconda allora proclama l'inaudito: il
dogma del fallimento del cristianesimo...
Un quadro storico da fantateologia
All’inizio del romanzo siamo subito messi di fronte a una scena drammatica:
Pietro II, l’ultimo papa secondo la profezia del monaco irlandese san
Malachia, si aggira solo e angosciato per le sale deserte del Laterano dove
si è ritirato. Pietro II è un ebreo convertito che nel suo stemma ha fatto
scrivere “Usquequo, Domine ?”, ossia “Fino a quando Signore?” che rimanda
all’angosciosa domanda sempre più elusa nel corso della storia sul momento
in cui Cristo tornerà nella gloria a giudicare l’umanità.
Pietro II regna in un indeterminato futuro dove la Chiesa è ai margini
della storia, un residuo del passato che sopravvive mostrando il cadavere
di sua nonna, cioè un insieme di riti, gesti, immagini sacre che ormai sono
considerate folklore.
Alle sue messe i fedeli sono ridotti a un manipolo sempre più sparuto,
nelle sue omelie è sparita qualsiasi interpretazione lasciando posto alla
nuda lettura dei passi biblici. Nel frattempo, come separata dal Papa da
una distanza incolmabile, la Curia romana prosegue con le sue dinamiche
ormai laicizzate fatte di commissioni episcopali, stanchi documenti che
ripetono formule “politicamente corrette” per non scontentare nessuno,
sinodi che si trascinano per forza di inerzia. In questo quadro Il Concilio
Vaticano II è un pallido ricordo mentre si profila all’orizzonte un nuovo
concilio in cui le tendenze ultra progressiste dominanti intendono sancire
la fine del cristianesimo come religione escatologica e salvifica.
Pietro II, è ossessionato dalla frase di Cristo in Luca 18,8: “Ma il Figlio
dell’uomo quando tornerà a Terra troverà la fede sulla Terra?”. Il Papa si
domanda se è possibile, in un moto d’orgoglio, rilanciare un nucleo
essenziale che qualifichi la Chiesa come tale distinguendola dalle tante
società filantropiche che ormai proliferano. Pietro II vuole dare la scossa
a una teologia esausta e intellettualizzata da analisi storico – critiche,
disquisizioni liturgiche, dotte indagini filologiche che non scaldano e non
interessano più nessuno se non pochi vecchi e sclerotizzati monsignori.
E così il pontefice scrive l’enciclica “Resurrectio mortuorum” per ribadire
che il cuore del cristianesimo, il suo tratto distintivo rispetto ai vari
umanitarismi laici, è non solo la vita eterna, ma la resurrezione dei morti
nella carne.
L’enciclica cade nell’indifferenza generale, come l’ultimo sussulto di un
corpo in agonia che i presenti sperano muoia presto per non vederne la
sofferenza.
Pietro II allora, disperato, scrive una seconda enciclica, la “Mysterium
iniquitatis” (2 Ts,2,7) in cui proclama il dogma del fallimento storico del
cristianesimo. Se è necessario che la Chiesa segua Cristo nelle sue vicende
deve morire come è morto il suo Fondatore.
L’enciclica “Resurrectio mortuorum”: il dogma della morte della morte
Nella sua prima enciclica “Resurrectio mortuorum” Pietro II, contro
l’inedia e la sbiadita concezione dell’eternità che ormai ha trasformato la
Chiesa in una emanazione del secolarismo laicista, vuole riaffermare il
dogma della resurrezione della carne.
Non basta ribadire il dogma dell’eternità dell’anima perché questa
convinzione non è tipica del cristianesimo. Anche i pagani, alcune dottrine
orientali, la teosofia credono nell’eternità dell’anima, mentre solo il
cristianesimo crede nella resurrezione della carne. Questa convinzione è
propria del giudaismo ripresa dal nascente cristianesimo. Pietro II cita
alcuni passi biblici dove appare evidente la credenza nella resurrezione
della carne. Ad esempio nel libro di Daniele si legge:
-
Molti di quelli che dormono nella polvere della terra si risveglieranno: gli uni alla vita eterna e gli altri alla vergogna e per l’infamia eterna (Dn 12,2)
Il Papa prosegue poi citando i passi del Vangelo in cui Cristo appare
risorto in carne e ossa ai discepoli e che nella stessa condizione ascende
al cielo. Tutto ciò, oltre a numerosi versetti delle lettere paoline e
degli Atti degli apostoli dimostrano che quando Cristo parla di
resurrezione dei morti intende esattamente la risurrezione della carne;
solo in seguito si legge in chiave allegorica la resurrezione della carne a
causa delle successive interpretazioni greche che, platonicamente, tendono
a spiritualizzare la carne stessa. La tendenza a considerare la carne
risorta come diversa da quella terrena quindi è di origine greca e non
giudaica. I padri della Chiesa e il cattolicesimo fino agli albori della
modernità mantengono questa concezione.
Poi qualcosa succede e la credenza nella resurrezione della carne, di
questa carne fatta di ossa, muscoli, nervi, sangue è oscurata. Perché ?
Cosa è successo ?
E’ successo, scrive Pietro II, che a partire dal Catechismo della Chiesa
cattolica del 1992 di resurrezione della carne si parla in modo sempre più
vago e ambiguo. Egli scrive:
-
Bisogna pur ammettere che in questo testo [il Catechismo del 1992], il cui intento primario è di riaffermare la dottrina della Chiesa, la verità della resurrezione finale è dichiarata troppo timidamente e soprattutto non è più mantenuta al centro del messaggio cristiano. Appare anzi come un’affermazione confusa fra tante altre. (Sergio Quinzio, Mysterium iniquitatis)
Pietro II non nomina mai il Concilio Vaticano II, ma traspare in modo netto
come il degrado della dottrina cattolica abbia conosciuto un'accelerazione
dopo quel Concilio. In generale infatti, aggiunge il pontefice, i documenti
del Magistero della Chiesa prodotti nel nostro tempo appaiono di dimensioni
eccessive, dove ciascun argomento si miscela e annacqua diluito in una
miriade di altri argomenti compreso quelli fondamentali come il dogma della
resurrezione della carne.
Ne scaturisce un linguaggio “politicamente corretto” dove nulla è
dichiarato e tutto è accennato per vaghe allusioni a causa del compromesso
fra correnti teologiche diverse, storici della Chiesa, esegeti e filologi
ciascuno dei quali ha una sua posizione in proposito. Il risultato è un
linguaggio sbiadito e noioso lontanissimo dalla luminosa chiarezza
evangelica e dalle limpide dichiarazioni del Magistero preconciliare.
Perché questa ambiguità?
Il processo di degrado per Pietro II è frutto di sedimentazioni progressive
più che segnato da un netto punto di svolta. Tutto è cominciato dalla
cocente delusione provata dalle prime comunità cristiane che credevano
nell’imminenza del ritorno di Cristo che invece non si è ancora, dopo 2000
anni, verificato. Sono cominciate allora le letture simboliche della Bibbia
in luogo di quelle letterali, e il costante cedimento alle istanze
secolarizzanti. In particolare il dogma della resurrezione della carne era
troppo inudibile da parte del luminoso razionalismo ellenistico che ha
lentamente oscurato questo dogma per affermare la più accettabile
immortalità dell’anima.
La Chiesa scaturita dalla modernità non è più guida della storia, ma ha deciso di farsi guidare dalla storia: in questa rivoluzione copernicana del rapporto Chiesa – mondo sta tutto il dramma dell’epoca presente. La Chiesa per compiacere il mondo ha rinunziato o notevolmente impoverito tutti i contenuti di fede che suonano scandalosi alla razionalità illuministica moderna.
La Chiesa scaturita dalla modernità non è più guida della storia, ma ha deciso di farsi guidare dalla storia: in questa rivoluzione copernicana del rapporto Chiesa – mondo sta tutto il dramma dell’epoca presente. La Chiesa per compiacere il mondo ha rinunziato o notevolmente impoverito tutti i contenuti di fede che suonano scandalosi alla razionalità illuministica moderna.
E del resto, a ben pensarci, cosa c’è di più scandaloso, di più inudibile
per la sensibilità razionalistica moderna dell’affermare con forza ciò che
la Chiesa per due millenni ha sempre creduto, cioè la resurrezione della
carne? Di qui l’errore supremo della Chiesa: lo scivolamento delle verità
di fede a livello di precettistica prima etica e poi morale, in modo da
risultare accettabile alla sensibilità laicista dell’ uomo moderno.
Una precettistica morale che in fondo può essere condivisa anche da
razionalisti, agnostici e atei, un apparato moraleggiante accettabile anche
perché innocuo, incapace di sollevare interrogativi esistenziali, incapace
di porre in discussione le conquiste del liberalismo occidentale.
Sembra quasi che ormai il Magistero a tutti i livelli non osa più nulla di
autenticamente cristiano mentre pare affetto da una strana compulsione che
lo sospinge sempre più ad abbandonare la dottrina tradizionale per tentare
timide avventure in campo morale, politico, sociale e perfino economico.
-
La Chiesa, in quanto istituzione, sembra non avere più il coraggio di proclamare la propria fede. Tutto fa pensare che se ne vergogni, o addirittura che finga di credere ancora ciò in cui, in realtà, non crede più. (Sergio Quinzio, Mysterium iniquitatis)
Un degrado all’ultimo stadio?
Il processo di allontanamento dal Magistero tradizionale dunque riguarda
non solo e innanzitutto la credenza nella resurrezione della carne, ma
investe tutto il depositum fidei di 2000 anni di cristianesimo. Il
tentativo di compiacere alla mentalità laicista dominante ha provocato un
progressivo slittamento delle verità di fede.
Così, dall’oscuramento della resurrezione della carne, si è passati
all’oscuramento dell’escatologia e del giudizio finale, dell’esistenza dei
regni ultraterreni di paradiso, purgatorio, inferno, della divinità di
Cristo, dell’esistenza del diavolo trasformato in un mero simbolo del male,
della realtà storica dei gesti di Cristo (soprattutto dei suoi miracoli) e
infine il prodotto finale, il più aberrante: la negazione di Dio stesso.
Per l’ultimo Papa il depositum fidei è sottoposto a un doppio attacco: da
una parte la razionalizzazione laicista dei contenuti di fede, dall’altro
la fuga verso le celestiali regioni mistiche sganciate dalla storia e anche
dalla carne. Il messaggio cristiano tuttavia non è né l’uno, né l’altra
cosa, ma si colloca piuttosto nel mezzo fra una scientificamente
inaccettabile credenza e una fede che in molti suoi articoli è supportata
dalla ragione.
Permane, sia pure destabilizzata, la credenza nell’immortalità dell’anima.
Ma, ribadisce Pietro II, questa idea non è tipicamente cristiana perché la troviamo già presente in numerose correnti filosofiche di derivazione orientale. L’immortalità dell’anima inoltre è qualcosa che Dio ha già connaturato nell’uomo, qualcosa che fa parte della sua natura costitutiva. La resurrezione della carne invece è un intervento diretto e gratuito di Dio che salva l’uomo nella sua unità corpo-mente-anima. Senza resurrezione della carne l’uomo non sa che farsene di Dio. E infatti ne sta facendo a meno.
Ma, ribadisce Pietro II, questa idea non è tipicamente cristiana perché la troviamo già presente in numerose correnti filosofiche di derivazione orientale. L’immortalità dell’anima inoltre è qualcosa che Dio ha già connaturato nell’uomo, qualcosa che fa parte della sua natura costitutiva. La resurrezione della carne invece è un intervento diretto e gratuito di Dio che salva l’uomo nella sua unità corpo-mente-anima. Senza resurrezione della carne l’uomo non sa che farsene di Dio. E infatti ne sta facendo a meno.
Esaltazione anticristica della carne
L’avere scisso la carne dallo spirito perché la prima era indegna del
secondo è stato un errore del cristianesimo. L’impoverimento nella fede
della resurrezione dei corpi ha provocato uno svilimento della carne che
infatti oggi è sottoposta all’esaltazione più turpe, come fosse una cosa
immonda. L’esposizione della carne nel mondo dello spettacolo, il suo
utilizzo a fini meramente commerciali dimostra, scrive Pietro II, che ormai
la carne stessa è diventata una merce qualsiasi scambiabile sul libero
mercato. Di qui inizia una lunga catena di orrori contemporanei.
La carne, cioè il corpo, trasformato in merce può essere venduto e
comprato: i cadaveri, i feti, gli organi interni hanno un prezzo per essere
utilizzati in operazioni cellulari, nell’industria cosmetica, in
esperimenti sulle staminali. Quali altri orrori potranno giustificarsi?
Oggi 2018, aggiungiamo noi, si parla già di eliminazione fisica di neonati
malformati. E del resto, sostengono gli abortisti militanti, che differenza
c’è tra l’eliminazione di un feto di qualche mese e un neonato dal momento
che in entrambi i casi ci troviamo di fronte un essere umano già
completamente o quasi formato?
Ma la svalutazione del corpo implica la svalutazione dell’essere umano
nella sua integrità psicofisica. Si spiega così la disumanità con cui ad
esempio, si allevano gli animali i cui corpi sono torturati e straziati,
mentre l’indifferenza verso il corpo umano fonda l’indifferenza verso
l’uomo tout court. E tuttavia il desiderio di salvare il corpo, quasi
bandito in un orizzonte di fede, riemerge con i tentativi della scienza di
prolungare la vita umana e le ricerche sulla criologia e l’ibernazione
destinate se non a vincere la morte del corpo, quantomeno a prolungarne la
vita in un orrenda imitazione dell’eternità.
Pietro II quindi conclude la sua prima enciclica “Resurrectio mortuorom”
ribadendo il dogma della resurrezione dei morti nella carne:
-
Ci sarà in futuro, la Resurrezione dei morti”, e i morti resusciteranno nella loro vera carne umana nella quale sono vissuti per tornare a vivere, senza fine, una vita perfettamente umana sotto nuovi cieli e sopra una nuova terra dove abiterà la giustizia (cfr. 2 Pt 2, 3-13) in una creazione anch’essa redenta e liberata dalla corruzione della morte (cfr Rm 8, 19-22). Il Signore ci assista e ci dia la forza di crederlo.
L’enciclica “Mysterium iniquitatis”. La morte del cristianesimo
La prima enciclica, che nelle intenzioni del Sommo pontefice, doveva
scuotere le coscienze, è stata ignorata, forse considerata l’ultima estremo
tentativo di rianimare un vecchio corpo prossimo alla morte. Pietro II
allora, sempre più solo e angosciato, scrive una seconda enciclica in cui
affronta l’altro grande tema di cui la Chiesa contemporanea ha sempre
parlato poco, il “Mysterium Iniquitatis”.
Di quest’entità misteriosa e maligna destinata a governare l’umanità poco
prima del definitivo ritorno di Cristo e dell’ostacolo che ne impedisce la
manifestazione evidente, parla Paolo nella seconda lettera ai Tessalonicesi
(2, 3-9), l’Apocalisse (Ap 13, 11-17) e Matteo che prefigura gli eventi che
lo precederanno (Mt 24,24). Peraltro la Chiesa in passato ha sempre
affrontato il tema parlandone con accenti vaghi e sempre per condannare
qualche eresia che ne minava l’unità dall’esterno.
Il mistero dell’iniquità dunque continua ad aleggiare tanto più
inquietante, quanto più resta velata la sua identità. Nel corso della
storia della Chiesa sono state formulate varie ipotesi:
-
Che si tratti di un entità individuale ben definita. Tale supposizione scaturisce dallo stesso Paolo che parla di “uomo iniquo” al singolare e da un esegesi antica e tardo antica che considera l’anticristo come scimmia di Dio: come Dio ha inviato Cristo cioè suo Figlio, allo stesso modo satana, il signore delle legioni infernali invierà il suo “figlio della desolazione” (2 Ts, 3);
-
Che si tratti di un entità immateriale, cioè di un sistema filosofico, ideale, politico, sociale, economico. Tale interpretazione si è consolidata soprattutto nel corso degli ultimi due secoli in seguito al processo di simbolizzazione delle Sacre Scritture.
Pietro II fronteggia l’argomento delineando il percorso storico delle
verità di fede fondamentali come la resurrezione della carne, i novissimi,
il ritorno di Cristo.
Già nella Chiesa primitiva si scontrano due idee di Chiesa: quella di Paolo
il quale ammonisce nelle sue lettere di diffidare di coloro che “usciti da
noi, tuttavia non sono dei nostri”: un manipolo di mestatori che propone
una dottrina cristiana diversa da quella paolina.
Paolo si riferiva, secondo l’esegesi di alcuni dotti, a Giacomo detto “il
Giusto”, il quale restava ancorato ad alcuni aspetti dell’antica fede
giudaica per cui, ad esempio, i convertiti dovevano essere circoncisi, e la
fede priva di opere era una menzogna. Già agli albori quindi osserviamo una
concezione del cristianesimo ellenizzante in Paolo e giudaica in Giacomo.
Alcuni studiosi, aggiunge Pietro II, pensano addirittura che Paolo parlando
di anticristo si riferisse proprio a Giacomo: secondo la profezia paolina
infatti l’anticristo, il figlio della perdizione e l’abominio della
desolazione profanerà il tempio di Dio additando se stesso come Dio in
luogo di Dio o di chi è adorato come Dio. Fatto questo si assisterà al
ritorno di Cristo nella gloria e alla fine dei tempi. Proprio al tempio di
Gerusalemme saliva a predicare Giacomo: forse Paolo pensava a Giacomo
quando parlava di abominio della desolazione che nel tempio di Dio indica
se stesso come Dio? Non è possibile, conclude il pontefice: nel 70 d.C. il
tempio occupato da Giacomo, cioè il presunto anticristo secondo alcuni
esegeti, sarà distrutto dai romani.
A quel punto sarebbe dovuto tornare Cristo apparendo nelle nubi con “gloria
e potenza grandi”, ma non accade nulla di tutto questo. In conclusione
Paolo non poteva quindi riferirsi a Giacomo quando parlava di anticristo.
A ben guardare, prosegue il Pontefice, si è passati da una concezione
giudaica di tali verità improntate ad una assunzione letterale della Parola
di Dio a un processo mutuato dalla filosofia greca tendente a trasformare
la lettera in simbolo, allegoria, anagogia. In pratica dei contenuti della
Bibbia si è fatto scempio trasformando il messaggio cristiano chiarissimo
nel suo linguaggio elementare, inequivocabile e cristallino un sistema
etico e morale accettabile da chiunque anche non credente.
Ciò che impedisce la manifestazione del mistero d’iniquità quindi, conclude
Pietro II, sono gli ultimi rimasugli di fede giudaica che ancora crede alle
promesse di Dio sine glossa cioè in modo letterale, senza interpretazioni
simboliche.
E l’anticristo che siede nel tempio di Dio additando se stesso come Dio chi
è allora ?
Ricapitolando i testi scritturali che ne parlano nel libro dell'Apocalisse:
-
L'avvento dell'anticristo sarà preceduto dalla grande apostasia;
-
L’avvento dell’anticristo è rappresentato dalle due bestie dell’Apocalisse in cui la prima bestia rappresenta il potere politico, la seconda bestia, il falso agnello, il potere religioso che supporta quello politico;
-
L’avvento dell’anticristo sarà accompagnato da segni grandiosi, miracoli e portenti vari;
-
L’avvento dell’anticristo sarà accompagnato dall’annuncio del Vangelo ovunque e dalla conversione degli ebrei.
Il mysterium iniquitatis smascherato ?
Pietro II allora osa l’inosabile, l’inconcepibile: in primo luogo per il
Papa la grande apostasia è già in gran parte avvenuta, ma non perché il
mondo ormai è largamente secolarizzato.
Il termine “apostasia” significa infatti “allontanarsi” o “abiurare”, ma ci
si può allontanare solo da ciò a cui si era prima vicini, così come non si
può abiurare da ciò che prima non si era abbracciato.
Saranno quindi credenti e uomini di fede precipitati ad aprire la strada
all’anticristo e il falso agnello che invita ad adorare la prima bestia non
è un potere religioso che si affermerà in futuro, ma è già operante ora.
In secondo luogo i portenti che accompagnano l’avvento dell’anticristo sono
i “miracoli” della scienza e della tecnica moderna. C’è ancora, è vero, un
“resto d’Israele” che radicato nell’antica credenza giudaica e quindi
alieno da interpretazione simboliche è di ostacolo alla manifestazione
anticristica, ma si tratta di un campione ormai sparutissimo e in via di
estinzione. Lo stesso Papa Pietro II del resto è un ebreo convertito.
A questo punto l’anticristo che addita se stesso come Dio nel tempio di Dio è il sale che è diventato scipito, colei che ha apostatato e che indica il potere politico come dio da adorare. Si tratta in definitiva della realtà che storicamente ha trasformato il messaggio cristiano di salvezza in precettistica morale: la Chiesa.
La Chiesa addita se stessa come Dio in luogo di Dio nel tempio di Dio; la Chiesa indicando se stessa come Dio invita al culto dell’uomo e non più di Dio, rende onore all’uomo e adora quest’ultimo invece di Dio.
A questo punto per Pietro II non rimane che una cosa da fare e che debba
essere proprio il Papa a farla è drammatico: denunciare tutto questo
nell’enciclica e dichiariare il dogma del "fallimento del cristianesimo
nella storia del mondo".
La Chiesa di Cristo che è suo corpo (Ef. 1.23) deve seguire la sorte di
Gesù Cristo che ne è il capo (Ef. 1.22), deve cioè seguirlo nella morte e
come lui deve essere crocifissa nel mondo. Deve anch’essa morire per
resuscitare poi come il suo Signore ed entrare con lui nella gloria del
Padre. In questa morte culmina e si consuma il mistero dell’iniquità che
domina l’intera storia del mondo. Non esiste altra speranza per ogni uomo e
per la vicenda di tutti gli uomini e per l’intera creazione al di fuori
della Croce e della resurrezione di Gesù Cristo. A lui affido tutti e
ciascuno assieme alla mia povera persona, nell’attesa dell’ultima
Rivelazione, del giudizio finale e della vita senza fine.
Fatto questo Pietro II, l’ultimo Papa secondo la profezia di san Malachia,
si getta fra i due bracci della croce della cupola di san Pietro, proprio
sopra l’altare sormontato dal colonnato del Bernini, dove, scrive stavolta
direttamente Sergio Quinzio, la Chiesa ha celebrato i suoi falsi trionfi.
Con questa decisione il pontefice sancisce la fine della Chiesa cioè pone
fine al regno millenario dell’anticristo e prepara così il definitivo
ritorno di Cristo.
Pubblicato il 30 aprile 2018
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