di
Francis Covenant
Nonostante
le forti pressioni ricevute in proposito, non ero particolarmente ben
disposto a scrivere qualcosina sul Sinodo che si è concluso questo
week end. Non è per menefreghismo, ma è che quando è troppo è
troppo. Cosa si può dire se non quello che si sa già? La
tentazione di lasciare che tutto passasse era forte. Purtroppo,
però, lo streaming di Radio Deejay non funziona o comunque eccede di
molto le limitatissime capacità della rete internet domestica e,
quindi, non avendo più scuse valide per perdere tempo
inutilmente, ho ripiegato su un classico, estraendo dalla catasta di
libri nei pressi del mio letto il primo volume di un’opera che è
da sempre la mia preferita: “Tutto don Camillo” la
raccolta di tutti i racconti di Mondo Piccolo a cura di Carlotta e
Alberto Guareschi (Rizzoli, 2003).
Come
faccio di solito, con don Camillo non mi premuro di andare con ordine
ma apro a caso e inizio a leggere da dove capita. Se non che mi
imbatto nel racconto nr. 118 “Quel gatto bianco e nero”.
Embè? Cosa ha di tanto speciale questo racconto? Basta leggerne le
prime righe per capire:
“Entrò
nella saletta della canonica Giorgino del Crocilone e pareva più
ubriaco del solito. [...] “sono qui” borbottò Giorgino, mentre,
a testa bassa, rigirava tra le mani il cappello unto e
bisunto. “Già” rispose
don Camillo. “E’ un po’ che non ci vediamo. Neanche quando ti
sei sposato hai voluto venire a trovare l’arciprete. E hai visto
com’è finita? Dovete mettervi in mente che un sindaco, anche se è
robusto come Peppone, non ce la fa, da solo, a legare assieme due
cristiani per tutta la vita.”
Ecco
perché non potevo più tergiversare. In poche parole Guareschi ha
risolto un problema che sta angosciando la delicata e sensibilissima
coscienza pastorale del Walter da decenni e che ha tenuto occupati
150 vescovi per due settimane, e che terrà la Chiesa sulle spine per
i prossimi due anni: come si fa con i divorziati? Perchè è
scontato che i divorziati ci sono e sono un problema. Normale
amministrazione quando gli uomini vogliono “fare da soli”. Ma
qui bisogna fare un passo indietro, infatti il cattolico
medio che partecipa alla frazione del pane nella sua parrocchia
saltuariamente durante l’anno non ha ben chiaro dove stia questo
problema. Per lui il problema semplicemente non c’è. E’
ovvio, ci si sposa, ci si separa, ci si risposa. E’ normale.
Infatti, chi va a Messa poi va a prendersi la comunione in mano dal
ministr* straordinari* della comunione. Si va a messa per quello, no?
Lo fa anche Matteo Renzi, lo ha fatto Valeria Marini e pure
Berlusconi. Quindi? Quindi niente. Perché noi “stolti e
tardi di cuore” non capiamo qual è la vera natura del problema che
invece è cristallina alla coscienza del Walter che pur non crede
alla natura.
Non
è la Prassi con la “P” maiuscola a far problema, ma la chiesa
con la “c” minuscola che deve adeguarsi anche formalmente a
questa “Prassi”. Bisogna riconoscere “gli elementi di
sacramentalità” presenti in ogni matrimonio. Contro quella
che potrebbe sembrare la cosa più ovvia - e che a quanto pare non lo
è - e cioè che chi vuole essere cattolico deve rispettare i dettami
della Chiesa cattolica, deve essere sancito anche formalmente che la
chiesa con la “c” minuscola deve adeguarsi al Mondo con la “M”
maiuscola, con buona pace anche di quella parte (in verità
maggioritaria) di mondo con la “m” minuscola che non ha ancora
capito in che direzione bisogna procedere. Infatti, stando alle
risposte del famoso questionario, la maggioranza dei cattolici non è
che sia così favorevole a queste “aperture” sacrileghe, però,
al Walter poco gliene cale. La Storia con la “S”
maiuscola, le Sorti Magnifiche e Progressive dell’Umanità van in
una ben precisa direzione - che conoscono solo loro - e il loro
compito è quello di indicarci la via e di farvi entrare tutti il
prima possibile. Proprio in nome della “Storia” e dello
“Spirito” ben presto si rispolvererà l’evangelico “compelle
intrare” (Lc 24,23) che fino a qualche anno fa veniva ricordato
con disgusto come la sintesi di tutti gli orrori della chiesa
costantiniana.
Il
Nuovo Corso ha stabilito che al posto della Croce stanno le voglie e
i pruriti degli uomini che bisogna assecondare sempre e comunque,
perché la Chiesa - con la maiuscola, di cui quella cattolica è solo
una parte - è al servizio dell’Uomo.
“Cosa
aspetta la chiesa ad adeguarsi?!” dirà Walter.
“Mah
- qualche impudente obietterà - e come la mettiamo col Vangelo?”
“Semplice,
risponderà il Walter in ginocchio (teologico), è ovvio che “bisogna
contestualizzare”: San Paolo dice che risposarsi è peccato? Sì, è
vero, ma bisogna capire che ragionava nel contesto della Palestina
del I° secolo dell’Era Volgare ... non vorrai mica tornare al
primo secolo dell’Era Volgare, vero?! E poi anche san Matteo diceva
che si poteva divorziare perché aveva capito che Gesù l’aveva
sparata grossa.”
E
così il nostro povero impudente, pieno di confusione, è messo a
tacere perché, diciamolo francamente, se “era volgare” ci poteva
anche stare [il galateo non ha mai fatto per lui], ma
tornare proprio al primo secolo no! Dopo finisce che i colleghi al
lavoro gli danno dell’integralista e in mensa nessuno si vuole più
sedere di fianco a lui. Ci ha provato, di più cosa poteva fare?
E
così il povero Arciprete della Bassa si ritroverà messo all’Indice
per aver risposto alle angosce di Giorgino che sfinito dai rimorsi
della coscienza diceva “andrò a costituirmi!”, nell’unico
modo in cui sapeva farlo e cioè mettendolo di fronte alla Verità
per quanto scomoda e dolorosa sia: “No: devi pagare il tuo
enorme debito verso Dio. Questo è difficile. Pagare il debito con la
giustizia degli uomini è facile. [...] Va, e mai la sofferenza ti
abbandoni. Il tuo orrendo peccato è scritto dentro gli occhi di
quella inconscia bestiola che Dio ha scelto per risvegliare la tua
coscienza: che essi ti guardino sempre e ti ricordino il tuo delitto
sì che sempre tu abbia a pentirtene. Vai, fratello.”
Parole
molto dure e che paiono distanti anni luce ed estranee a molti di noi
oggi abituati ad essere il miele della terra. Eppure, a ben
vedere, prima che iniziassero a contestualizzarlo, anche a Gesù
mentre insegnava a Cafarnao gli dissero: “Questa parola è dura,
chi può ascoltarla?” (Gv 6,60) e la risposta di Gesù è
chiara ed inequivocabile: “Questo
vi scandalizza? E se vedeste il Figlio dell'uomo salire là dov'era
prima? È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla; le
parole che io vi ho detto sono spirito e sono vita. Ma tra voi vi
sono alcuni che non credono.” Ed
infatti “molti tornarono indietro”, tanto da far chiedere da
parte di Gesù ai Dodici se volessero andarsene anche loro. Ma,
nonostante la risposta rassicurante di S. Pietro “Signore,
da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e
conosciuto che tu sei il Santo di Dio», Gesù
fu chiaro: «Non
sono forse io che ho scelto voi, i Dodici? Eppure uno di voi è un
diavolo!». Parlava di Giuda, figlio di Simone Iscariota: costui
infatti stava per tradirlo, ed era uno dei Dodici” (Gv
6,60-66). Consci di
questa realtà allora non dovremmo scandalizzarci troppo se anche
oggi e soprattutto oggi tra i successori dei “Dodici” c’è
qualcuno che “ciurla nel manico” e a volte “i diavoli”
sembrano essere divenuti la maggioranza.
Ci
basti “permanere nella verità di Cristo”, per citare il card.
Burke, consci che “Il
cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno”
(Mt 24,35). Alla fine vinceremo noi, o meglio, vincerà Lui perchè
ha già vinto: “In
mundo pressuram habetis, sed confidite, ego vici mundum” (Gv,
16,33). Ed è questa la fondamentale differenza tra il
mondano “¡No pasarán!” detto
dalla Pasionaria Dolores
Ibarruri il 19 luglio del 1936 a Madrid [“e noi siamo passati”
chiosavano efficacemente i Gesta Bellica] e
il divino “non praevalebunt” (Mt
16,18) di Nostro
Signore.
“Allora
don Camillo andò ad inginocchiarsi davanti al Cristo dell’altar
maggiore e aveva la faccia piena di sudore e la testa vuota. “Gesù”
balbettò “io non so … Io non so quel che ho fatto!”. “Lo so
io” rispose il Cristo sorridendo.”.
E
allora se cercheremo sempre di fare ciò che “piace a Lui”, costi
quel che costi, anche scontentando il povero Walter, potremmo alla
fine dire come san Paolo “bonum
certamen certavi, cursum consummavi, fidem servavi”
(II Tim 4,7).
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