
Grazie a Benedetto XVI si è
ravvivata negli ultimi anni la discussione teologica sul Concilio. In un celebre
discorso del 2005 alla Curia romana, egli infatti ha sostenuto come negli anni
successivi all’assise un’ermeneutica di discontinuità con la Sacra Tradizione
abbia concepito il Concilio come un “nuovo inizio” per una “nuova chiesa”, da
opporre ad una Chiesa del passato.
Effettivamente, in questi decenni
si è sentito un po’ di tutto. Appellandosi al Concilio sacerdoti hanno
abbandonato l’esercizio del ministero, consacrati hanno violato il vincolo
perpetuo dei voti, teorie esplicitamente
o velatamente contrarie al Magistero infallibile hanno preso a circolare presso
facoltà teologiche, seminari, istituti di insegnamento della religione
cattolica. Sotto il pretesto dell’aggiornamento, della partecipazione e della
“comprensibilità” (come se il mare potesse finalmente entrare nella
conchiglia), si è assistito ad un “crollo della liturgia”, secondo
l’espressione usata dal Card. Ratzinger nel denunciare gli abusi. Con la scusa
del dialogo col mondo, della libertà religiosa, dell’ecumenismo, non pochi
cattolici hanno sacrificato sull’altare del rispetto umano l’unicità salvifica
di Gesù Cristo, la Chiesa cattolica come unica sede della pienezza della
verità, i valori fondamentali della morale e le sue esigenze nella vita
pubblica (pensiamo ai principi non negoziabili). Usando come grimaldello la
collegialità e il sacerdozio battesimale, si sono invocati riforme democratiche
del potere papale e il diritto di critica ad ogni pronunciamento magisteriale
non gradito.
Come ciò è potuto accadere? E,
soprattutto, si tratta di interpretazioni legittime? Sono contenute o suggerite
dai documenti del Concilio o dal suo “spirito”?
La risposta non dipende solo
dalla lettura dei testi, ma dall’ottica con cui si leggono. Potrebbe essere
positiva solo se si ritenesse che il Concilio abbia inteso primariamente porsi
come Concilio dottrinale e non pastorale; e che sia l’ultimo Concilio a
giudicare la precedente Tradizione della Chiesa, inglobandola ed eventualmente
superandola.
La risposta dovrebbe invece
essere negativa se si ritenesse che il Concilio abbia inteso presentare se stesso
come anzitutto pastorale (senza per questo rinunciare a formulazioni e
precisazioni dottrinali); e che sia la Tradizione, come fonte della Rivelazione
divina, la misura della verità delle cose, anzi, la Verità stessa comunicata a
noi.
Non è questione oziosa: dalla
risposta corretta dipende la fedeltà del credente a Nostro Signore e alla
Chiesa, il fervore apostolico, la vivacità missionaria, il fiorire delle
vocazioni.
Quale è, allora, la risposta
corretta? Padre Serafino Lanzetta, giovane ed apprezzato teologo, ne parlerà
nella sua attesa relazione, alla quale tutta la cittadinanza è invitata.
Pubblicato il 07 giugno 2013
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