Viaggiando per l’Italia, mi
accorgo che oramai la gente ha ben chiara quale sia la situazione all’Aquila:
centro storico distrutto, desolato, abbandonato. Complessa è la questione delle
responsabilità e, nella feria agostana, non mi pare il caso di arrovellarsi a
dirimerla. Mi preme però segnalare ai lettori di Campari, che qualcosa, nel capoluogo abruzzese, oltre alla terra,
si muove.
Il 22 luglio ha riaperto i
battenti la prima chiesa del centro storico ricostruita, ex San Biagio in
Amiternum, oggi San Giuseppe Artigiano, a due passi dal duomo e soprattutto
parrocchia universitaria, segno tangibile dell’impegno profuso da e per i
giovani, risorsa preziosa di una città in ginocchio.
Il caso di San Giuseppe Artigiano
è rilevante per due motivi: innanzitutto, perché rappresenta un chiaro segnale
di discontinuità rispetto all’andazzo scoraggiante della governance della ricostruzione; in secondo luogo, perché può
fungere da apripista ed esemplare per i futuri interventi di riqualificazione
del patrimonio artistico, di una delle città più belle d’Italia.
Il modello è quello adottato per
la riedificazione della cattedrale di Noto (crollata nel ’96 per un difetto
strutturale) e compendiato da Vittorio Sgarbi nel suo L’ombra del divino nell’arte contemporanea (Cantagalli, 2012): si
tratta di una ricostruzione “com’era e dov’era”, ma anche di un tentativo di
dialogo tra l’impianto originale (che in quasi tutte le chiese aquilane è
tardo-barocco) e le correnti artistiche contemporanee, che meglio si conciliano
con quell’ossatura.
A Noto (grazie, detto per inciso,
al commissariamento di Bertolaso) hanno lavorato artisti di fama internazionale
come il russo Oleg Supereco; a L’Aquila, è stato affidato al pugliese Giovanni
Gasparro il compito di realizzare un ciclo figurativo dedicato a San Giuseppe e
il pittore ha completato questo capolavoro, rispettando una serie di linee
guida irrinunciabili: anzitutto, la piena ortodossia delle rappresentazioni –
mi permetto anzi di sottolineare come la poetica e le stesse esternazioni di
Gasparro lo avvicinino a posizioni decisamente tradizionaliste; in secondo
luogo, la compatibilità delle raffigurazioni con lo schema architettonico e
decorativo preesistente; ma anche il mantenimento di una funzionalità
devozionale, che, ad esempio, proibiva qualunque astrattismo e intellettualismo
(come ha sottolineato Sgarbi: «Se vado in chiesa voglio pregare un santo, non
un taglio nella tela»).
Il risultato è sbalorditivo.
La parrocchia ha subito ovviamente un adeguamento sismico, essendo particolarmente vulnerabile sul frontone, realizzato, a differenza del resto della facciata, in pietre appena sbozzate – questa apparente incompletezza, caratteristica di molti altri edifici dell’Aquila, va ascritta all’altro devastante terremoto del 1703, a seguito del quale la facciata della chiesa fu ricoperta in maniera “provvisoria”. D’altra parte, perfetta è stata l’integrazione tra nuovo e antico e quello che già di per sé era un pregevole pezzo d’arte, oggi ha accresciuto il proprio valore non solo estetico, ma anche euristico, configurandosi come un laboratorio per l’implementazione di una possibile marca della ricostruzione del centro storico.
La parrocchia ha subito ovviamente un adeguamento sismico, essendo particolarmente vulnerabile sul frontone, realizzato, a differenza del resto della facciata, in pietre appena sbozzate – questa apparente incompletezza, caratteristica di molti altri edifici dell’Aquila, va ascritta all’altro devastante terremoto del 1703, a seguito del quale la facciata della chiesa fu ricoperta in maniera “provvisoria”. D’altra parte, perfetta è stata l’integrazione tra nuovo e antico e quello che già di per sé era un pregevole pezzo d’arte, oggi ha accresciuto il proprio valore non solo estetico, ma anche euristico, configurandosi come un laboratorio per l’implementazione di una possibile marca della ricostruzione del centro storico.
Tutto ciò è stato reso possibile
dal contributo economico della Fondazione Roma, dalla professionalità degli
architetti Salvatore Tringali e Rosanna La Rosa, già responsabili del cantiere
di Noto, dall’infaticabile passione del cappellano universitario Luigi Maria
Epicoco (e dei suoi collaboratori nella curia aquilana), dall’elaborazione
intellettuale di Vittorio Sgarbi, aspetti per i quali il capoluogo abruzzese è
tornato a ricoprire il ruolo di fucina di produzione culturale che aveva fino a
qualche decennio fa.
Nota dolente, è che la
consacrazione della chiesa è avvenuta in assenza del mediatico sindaco Massimo
Cialente (quello comparso anche nel film della Guzzanti Draquila), dell’assessore alla cultura Stefania Pezzopane
(all’epoca del sisma Presidente della Provincia: per intenderci, la signora
bassina fotografata assieme a Obama in occasione del G8), ma soprattutto di un
qualunque esponente del governo tecnico e segnatamente del ministro Barca,
autore di un ddl sui finanziamenti per la ristrutturazione delle seconde case.
A noi, per la verità, della passerella politica interessa poco.
E preferiamo che a condividere questa gioia sia l’assemblea dei fedeli gaudenti, perché un barlume di speranza si è riacceso nel cuore dei fratelli terremotati.
Pubblicato il 22 agosto 2012
E preferiamo che a condividere questa gioia sia l’assemblea dei fedeli gaudenti, perché un barlume di speranza si è riacceso nel cuore dei fratelli terremotati.
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