di Paolo Maria Filipazzi
Scusate,
scusate tanto, ma io ogniqualvolta sento parlare di antifascismo mi ritraggo
inorridito. Questa parola evoca in me troppo orrore e troppa tristezza. Mi fa
venire in mente lo sguardo dolce e malinconico di Sergio Ramelli che mi scruta
dalla foto posta sulla sua tomba al Cimitero Maggiore di Lodi, ogni volta che,
nei giorni in cui ricorre la data della sua morte, mi reco a rendergli omaggio.
Trucidato barbaramente a 17 anni, sotto casa sua, mentre tornava da scuola, in
nome dell’antifascismo.
Mi viene in mente la storia di quel mio avo in camicia
nera e della fossa che i partigiani gli avevano scavato prima ancora di
accopparlo, e che per fortuna alla fine rimase vuota. Mi vengono in mente le
storie drammatiche di alcune persone ultraottantenni che ho il privilegio di
conoscere e i loro visi ammantarsi di rabbia ad ogni 25 aprile, giorno in cui,
anche per rispetto nei loro confronti, è mia premura astenermi da qualunque
forma di festeggiamento. Da tempo mi sono rassegnato a convivere con questo mio
senso di disgusto.
Ci
sono momenti, però, in cui la coscienza mi impone di gridare la mia
indignazione. Si sono appena spente le luci sulle celebrazioni per i 20 anni
della strage di via D’Amelio, e ovviamente le varie istituzioni ne hanno tratto
occasione per fare la loro solita passerella ed i soliti discorsetti ipocriti di
circostanza. Napolitano solo tre giorni fa ha firmato il decreto con cui
incaricava l’avvocatura dello Stato di sollevare il conflitto di attribuzione
nei confronti della Procura di Palermo per impedire l’utilizzo di
intercettazioni di conversazioni fra se stesso e Nicola Mancino, coinvolto
nelle indagini sulla trattativa Stato - mafia. Oggi invocava a gran voce che si
lavorasse senza sosta per stabilire la verità sulla strage (maturata molto
probabilmente nel contesto di quella stessa trattativa).
Addirittura
iperboliche, però sono state le successive dichiarazioni. Il Presidente della Repubblica
ha ben pensato di concionare sulle propria generazione, a sua detta approdata
alla politica sull’onda della Resistenza (lui fu militante dei G.U.F., i
Giovani Universitari Fascisti e si iscrisse al Partito Comunista a guerra
finita…) e per la quale, sempre a sua detta “la lotta conseguente contro la
mafia, senza cedimenti a rassegnazioni o a filosofie di vile convivenza con
essa, è divenuta parte integrante della nostra scelta civile”. CHE ROBA?!?!
Eh, no caro Napolitano, adesso basta prenderci tutti per i fondelli!
Forse
è il caso di rammentare ai più sprovveduti come andò veramente quella storia:
il 20 ottobre 1925 Cesare Mori viene nominato prefetto di Palermo. Nella
lettera di nomina il Duce gli scrive: «vostra Eccellenza ha carta bianca,
l'autorità dello Stato deve essere assolutamente, ripeto assolutamente,
ristabilita in Sicilia. Se le leggi attualmente in vigore la ostacoleranno, non
costituirà problema, noi faremo nuove leggi». I successivi quattro anni vedono
la Sicilia diventare il teatro di una guerra senza quartiere al fenomeno
mafioso. I metodi utilizzati sono discutibili ma indubbiamente efficaci. La
mafia non viene completamente debellata, come vorrebbe la propaganda di Regime,
ma sicuramente piega la testa. Molti mafiosi emigrano negli Stati Uniti e nasce
Cosa Nostra americana. La mafia non si riprenderà nemmeno dopo la messa a riposo
di Mori, nel 1929. Almeno non fino allo sbarco degli Alleati.
Nell’imminenza
dello sbarco il Governo americano contatta in carcere Lucky Luciano, il quale
passa all’Amministrazione Roosvelt 850 nominativi di persone “fidate”. Ed è
così che i mafiosi Max Corvo, Victor
Anfuso e Vincent Scamporino diventano agenti dell’OSS (l’antenato della Cia)
con l’incarico di gestire sul campo l’ “operazione sbarco”. All’arrivo delle
navi americane, i siciliani vedranno sbarcare in divisa kaki nientepopodimeno
che Albert Anastasia e Vito Genovese, che avrà l’onore di essere reso
celeberrimo da Francis Ford Coppola che a lui si ispirerà per don Vito Corleone
ne “Il Padrino”. La prima azione dell’OSS sarà liberare i mafiosi dalle
carceri, la seconda sarà metterli a capo delle amministrazioni locali.
La
morale della storia è: caro Presidente Napolitano, una volta tanto, si
vergogni.
Pubblicato il 21 luglio 2012

Non credo sia giusto confondere l'antifascismo col comunismo. L'antifascismo non è il comunismo, anche se i comunisti hanno cercato di appropriarsene. L'antifascismo è un valore imprescindibile su cui è fondata la Repubblica Italiana (alla cui formazione diedero un grande contributo i cattolici). L'antifascismo è un valore perché il fascismo è di per sé un disvalore: esso fu una sciagura per l'Italia e per il mondo intero (visto che al fascismo italiano si rifecero tanti altri regimi in giro per l'Europa e per il mondo). Io spero che l'antifascismo non venga confuso più col comunismo, anzi, spero che lo si "tolga loro di mano" per restituirlo al suo autentico valore di libertà e democrazia.
RispondiEliminaecco un altro che crede alla leggenda di Lucky Luciano che favorisce lo sbarco degli alleati... dove l'hai letta? su wikipedia in italiano immagino.. perché quella in lingua inglese è fatta assai meglio.
RispondiEliminaComunque, in poche parole, la mafia americana controllava i porti ed il governo americano si alleò sì con Luciano, ma solo per controllare meglio chi entrava ed usciva dagli usa.
L'antifascismo ha prodotto orrori e retorica. Se proprio vogliono continuare a riempirsene la bocca facciano pure, confermano così solo la loro miseria. Ma, almeno, abbiano il pudore di risparmiarsi certe pagliacciate nel giorno di Borsellino che, tra l'altro, militò nel FUAN!
RispondiElimina@Anonimo
RispondiEliminala militanza di Borsellino nel FUAN è la prova che in italia esiste anche una destra seria.