di Giulia Tanel
Giunta oramai in vista della fine del mio percorso universitario, la
conclusione che sono portata a trarre è che, a livello di qualità dell’offerta didattica, ho poco più che replicato i cinque anni delle scuole superiori.
Le principali
differenze che ho potuto riscontrare rispetto al liceo, infatti, si attestano su un livello prettamente organizzativo-gestionale,
piuttosto che su un piano nozionistico, componente che negli ultimi anni ha
subito un progressivo abbassamento per permettere ad un maggior numero di
persone di affrontare con profitto il percorso universitario e conseguire una
laurea.
Purtroppo, la realtà dimostra come, oggigiorno, per fare l'università non
siano necessarie particolari doti intellettive, o solide basi di nozioni
pregresse; e, in definitiva, non serva neanche una grande passione nei
confronti della materia che si studia.
Semplificando, si potrebbe affermare che gli ingredienti necessari per potersi fregiare del titolo di “Dottore”
siano essenzialmente tre: vediamo quali.
La prima variabile cui
è necessario porre attenzione al momento dell'ingresso nel mondo universitario
è la gestione del calendario delle lezioni e delle ore di studio. Ovviamente questo
discorso viene meno nelle facoltà a frequenza obbligatoria e con calendario fisso
suddiviso per gli anni di corso - ad esempio medicina, veterinaria,
infermieristica... -, dove gli studenti sono indirizzati dall'alto.
Per molte altre facoltà, tuttavia, la gestione organizzativa è più libera:
si ha la facoltà di scegliere quali corsi
frequentare, quante lezioni seguire,
quali esami sostenere da non frequentante...
e via discorrendo.
Ebbene, questa componente di
"libertà organizzativa" molto spesso si rivela un vero banco di prova
per i diciottenni odierni, che si fanno influenzare "dal gruppo"
anche nella scelta di quale birra bere e che marca di sigarette fumare.
Da un lato vi è chi, volando sulle ali dell'entusiasmo e dell'ingenuità,
inizia il primo anno universitario frequentando tutti i corsi possibili e
immaginabili e passando quindi a lezione la maggior parte della giornata; salvo
poi ritrovarsi, al momento della sessione d'esame, senza alcun programma
effettivamente studiato, perché non se ne ha avuto il tempo.
Sull'altro versante vi è invece chi inizia il proprio percorso da matricola
piuttosto alla leggera ("Finalmente niente più sveglia alle sei di
mattina", oppure "Tanto gli esami sono a gennaio, c'è tempo" -
sono solo due delle frasi più gettonate dai neo-maturati), frequentando qualche
lezione e sfruttando gli intervalli tra un insegnamento e l'altro per bere un
caffè con gli amici. Perché tanto, in fondo, per studiare ci sarà tempo una
volta finiti i corsi. E invece non è così: sempre più spesso le lezioni
finiscono quindici giorni prima dell'appello d'esame e moltissimi studenti ne
pagano le conseguenze.
Ma come sarebbe giusto
comportarsi? Come spesso accade, la giusta via sta nel mezzo. Gli studenti devono
essere in grado di scegliere un numero congruo di corsi da seguire per
riuscire, in contemporanea, a riservarsi delle ore quotidiane dedicate allo
studio autonomo della materia. Senza strafare, ovviamente, ma senza neanche rimandare di troppo l'incontro con i libri.
Il secondo aspetto
determinante per riuscire ad inanellare una fulgida carriera universitaria è
strettamente correlato al primo punto e interessa la capacità di organizzare
autonomamente lo studio.
Alle scuole superiori è l'insegnante che dice di studiare da pagina tale a
pagina tal'altra, mentre all'università è lo studente che deve gestirsi senza
l'aiuto di nessuno.
Riuscire a calibrare le proprie capacità di lettura, la propria resistenza
allo studio e la proprie facoltà mnemoniche non è facile, assolutamente; e non
è neanche un fatto automatico: è necessario un serio allenamento, sia per
migliorare la tecnica, sia per incrementare la propria resistenza.
Naturalmente questa capacità dovrebbe essere un bagaglio acquisito con gradualità
durante le scuole superiori, ma molto spesso la realtà certifica come questa convinzione
sia una pia illusione.
Il terzo ed ultimo
ingrediente utile per laurearsi senza troppe afflizioni è la costanza, il sapersi
dare poche chiare regole e rispettarle.
Prestare fede ai propri impegni, anche quando non si ha nessuno (se non se
stessi) a dover cui rendere conto è un segno di grande maturità. Si tratta di
una qualità di certo non banale e scontata – e neanche troppo diffusa nella
nostra società di "perenni giovani" –, ma quanto mai necessaria per
affrontare sul serio la vita di tutti i giorni (e non solo l'università,
intendiamoci).
In conclusione, dunque, una cosa emerge chiaramente: la totale inadeguatezza del sistema universitario italiano per quanto
concerne la qualità della didattica. E questo non per mancanza di
professori bravi, o per assenza di persone appassionate alla materia cui
dedicano la loro vita, ma semplicemente perché
si è diffusa la convinzione che l'università sia - e, soprattutto, debba essere - "per tutti".
Convinzione che ha comportato un progressivo
livellamento degli studi universitari e la scomparsa di un qualsivoglia sistema meritocratico.
Per invertire questo deleterio modus vivendi – che, oltre ad
essere molto oneroso, non comporta un reale vantaggio al Paese: a cosa servono
milioni di giovani mediocremente formati? –
è necessario innanzitutto smettere di richiedere una preparazione universitaria
anche agli operatori ecologici, legittimando in tal modo l’anacronistica
frase: "Se non si ha la laurea non si va da nessuna parte".
In seconda istanza, è
doveroso impegnarsi per applicare un giusto ma severo criterio meritocratico, che premi chi ha le
qualità e la volontà di impegnarsi e blocchi chi queste caratteristiche non le
ha.
Studiare non è per
tutti e non è un obbligo, mettiamocelo in testa.
Pubblicato il 13 luglio 2012
Tanel for President!!!!
RispondiEliminaPisaaaaaaaa ;*
RispondiElimina"su un piano nozionistico, componente che negli ultimi anni ha subito un progressivo abbassamento per permettere ad un maggior numero di persone di affrontare con profitto il percorso universitario e conseguire una laurea."
RispondiEliminaBe', la mia esperienza è stata comunque quella di cinque anni per nulla banali dal punto dei vista dei contenuti...
Comunque essenzialmente concordo con le conclusioni. Di certo l'accesso all'università deve essere per tutti, nel senso che condizioni economiche non devono pregiudicarlo, ma il percorso deve essere ragionevolmente impegnativo, se no non ha molto senso.
RispondiEliminaDa noi (matematica) metà degli iscritti si perde per strada dopo il primo semestre. Segno che una certa selezione c'è ancora.