06 novembre 2024

Go, Donald, Go! (Reload)



di Paolo Maria Filipazzi

Stamattina il mondo si è risvegliato esattamente come si risvegliò otto anni fa: in parte sbigottito, incredulo, shockato, in parte festante. Noi, ovviamente, siamo a pieno titolo fra quelli festanti. Tuttavia, la rielezione di Donald Trump va analizzata senza cedere alla semplice tentazione dell'entusiasmo fine a sé stesso.

Innanzitutto, perché ha vinto? In questo momento il mondo pro life è in festa, legittimamente, perché Trump e il partito repubblicano, sul tema della difesa della vita nascente, sono indubbiamente più in sintonia con le loro istanze e, del resto, in America, i politici pro life sono tutti repubblicani. Il tema dell'aborto, dopo che, nel giugno 2022, la Corte Suprema ha di fatto abolito la Roe vs Wade, è tornato tra i più caldi nel dibattito pubblico degli Stati Uniti d'America ed è stato centrale anche nella campagna elettorale, tuttavia sarebbe ingenuo pensare che la massa di elettori trumpiani abbia votato sull'onda di una sensibilità anti-abortista e che a breve oltreoceano si creerà un' Eden in cui il diritto alla vita sarà pienamente rispettato e l'interruzione volontaria di gravidanza sparirà per sempre. Molto realisticamente, sono ben altri i temi che hanno spinto il consenso al tycoon newyorchese. Tuttavia, il peso politico che il partito repubblicano acquisisce con questa consultazione conferisce ampi spazi di manovra agli esponenti pro life tra le sue fila, facendoci ben sperare che molto di buono possa comunque essere fatto.

Quali sono i motivi della vittoria? Sostanzialmente, e in estrema sintesi, gli stessi che hanno fin dall'inizio creato consenso attorno alla figura di Donald Trump: economici. Le politiche trumpiane puntano a favorire il rilancio dell'economia reale, con l'aumento della produzione industriale e di posti di lavoro, sull'economia virtuale della finanza. Si tratta di una rivolta dei ceti sfavoriti dalla globalizzazione su quelli che dalla globalizzazione hanno tratto enormi vantaggi. Tanto è vero che, dati statistici alla mano, il consenso di Trump è equamente distribuito fra le etnie e i sessi, con buona pace della narrazione fasulla, che vede il trumpismo come l'assalto del maschio-bianco-ricco-di mezza età-culturalmente arretrato. Certamente, vi è anche un rifiuto dell'ideologia che la finanza cosmopolita ha imposto negli anni: abbattimento dei confini, negazione delle identità (si tratti di quelle nazionali o di quelle sessuali), green , cultura della cancellazione, razzismo capovolto nei confronti dei bianchi. Se già la vittoria del 2016 era sintomo di tutto questo, la riconferma del 2024 è la prova che ormai si tratta di una marea montante, che non si sconfiggerà certo con il disprezzo, la demonizzazione e la ridicolizzazione, come le schiere progressiste di tutto il mondo si illudono di fare.

Sul piano internazionale, dove già si paventano disastri, con l'Europa in ginocchio a causa dell'isolazionismo americano, in realtà si può solo prevedere che, con un attenuarsi dell'interventismo americano, verso cui Trump e il suo elettorato sono da sempre insofferenti, si allentino le tensioni internazionali, cosa che a noi non sembra poi così negativa…

Inoltre, sicuramente ora il Partito repubblicano è decisamente molto più forte che nel primo mandato di Trump, dato che oltre alla maggioranza dei voti popolari, che sottolineano il consenso di cui gode nel paese, ha ora il controllo di tutte le istituzioni: Presidenza, Corte Suprema, Senato e Camera dei Rappresentanti. Senza contare che nel 2016, una parte consistente del partito, che rispondeva a logiche sovrapponibili a quelle democrats, maldigeriva Donald Trump, prova ne è che le figlie di Bush e Cheney hanno sostenuto Kamala Harris.

Sembra quindi in fase di scioglimento il dilemma cui il Grand Old Party sembrava destinato ad andare incontro dopo l'ascesa di Trump: considerare la fase trumpiana come una parentesi, dopo la quale tornare alla storica identità repubblicana rispetto alla quale il trumpismo costituiva un'anomalia, oppure abbracciare il trumpismo come la nuova e definitiva identità repubblicana. Sembra ora chiaro che il vecchio GOP sia ormai archiviato e che il trumpismo sia avviato a superare lo scoglio che rischiava di impedirgli di perpetuarsi: dare a Trump un erede. La scelta di J.D. Vance come vicepresidente sembra dare finalmente a questa stagione politica un respiro sul futuro. L'autore di Hillibilly Elegy (noto in Italia anche come Elegia americana) sembra fatto apposta per incarnare l'anima di quella parte della nazione americana che ha guardato a Trump. E non fa certo male il fatto che sia cattolico e, pare, amante del Vetus Ordo

Comunque sia, cosa ci riserverà il futuro lo scopriremo solo vivendo. Per ora non possiamo che accordare, per i prossimi quattro anni, il nostro tifo a The Donald.

Go, Donald! Go!

 

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