La circostanza presente è un tempo di grande sfida per il movimento di Comunione e Liberazione, dal paterno commissariamento dei Memores Domini al limite massimo introdotto dalla Santa Sede di dieci anni di mandato per chi guidi un’associazione internazionale di fedeli, dalle dimissioni di Julián Carrón dalla Presidenza della Fraternità di CL alla lettera del Cardinal Farrel al nuovo presidente Davide Prosperi circa la necessità di chiarire come non vi sia una successione ereditaria del carisma da un fondatore al suo successore, bensì sia l’intero popolo generato ad ereditarlo comunionalmente.
Un agire autenticamente cristiano richiede l’incontro tra l’amore e la verità e, di converso, il divisore da una parte spinge ad una contrapposizione astiosa tra i fratelli e dall’altra ad un’adulterazione della verità: siamo chiamati a fuggire entrambe questa tentazioni, custodendo da una parte la fedeltà al Santo Padre e al carisma che ci è stato donato e dall’altra la comunione tra di noi astenendoci da toni accusatori o recriminatori, bensì adoperando un linguaggio amorevole per esprimere la verità.
Nel settembre 2017, quasi cinque anni fa, scrivevo un articolo per Campari & De Maistre dal titolo Non abbandonare la barca di Luigi, né permettere che affondi, nel quale individuavo la presenza di «una grande fatica nel concretizzare l’audacia del metodo insegnato dal Gius con cui porsi dinanzi alla realtà, facendo quasi apparire un cedimento verso la “scelta religiosa” e l’atteggiamento lazzatiano» e «il rischio, più volte concretizzatosi, di fare proprio uno stile apertamente diverso dal proprio, arrivando a snaturare l’identità del movimento»; nel medesimo articolo indicavo due atteggiamenti contrapposti presenti all’epoca in alcune persone che avevano incontrato il carisma di CL, cioè «una falange di duri e puri che per mantenere la fedeltà a Giussani scelgono di abbandonare il movimento» e «una coorte di pretoriani pronti a difendere qualsiasi scelta intrapresa dalla dirigenza senza se e senza ma», mentre il mio personale orientamento era alternativo ad ambedue questi estremi ed era ben riassunto nel titolo dell’articolo.
La speranza che abitava quel mio contributo è la medesima che vive in me ora, cioè di «una nuova ripresa del movimento» dopo la sua “terza crisi”, identificando come prima crisi la dispersione di una parte significativa di Gioventù Studentesca durante la contestazione sessantottina e come seconda quella magistralmente sintetizzata dalle parole di Laura Cioni: «Una grande fioritura, le cui radici si sono inaridite». In merito alla natura di questa terza crisi, nella parte conclusiva di quell’articolo analizzavo che «se nella “seconda crisi” il problema riscontrato era stato un'eccessiva politicizzazione che aveva portato a smarrire l’esigenza di riandare costantemente a Cristo, si potrebbe dire che nella circostanza presente ci troviamo di fronte all’estremo opposto, dove l’elemento religioso e il rapporto personale con Cristo non si è perso, ma si prova una timidezza ingiustificata nel porre all’interno della società lo sguardo sulla realtà che questo incontro ci consegna.»
E oggi? Sicuramente la carità paterna che il Signore ci ha rivolto mediante l’amorevole attenzione che la Santa Sede ci ha donato ha amplificato in tante persone che vivono il movimento l’esigenza di questa ripresa, mossa dal bisogno di riandare costantemente all’esperienza autentica del nostro carisma senza perderne alcune parti, e la quasi totalità del popolo ciellino ha manifestato una piena e obbediente fiducia nei confronti del Santo Padre, anche se non pochi ancora non ne hanno compreso a fondo il significato, tuttavia occorre riconoscere che esista anche una minoritaria, ma non inesistente resistenza alla svolta richiesta dal Vaticano.
Se qualche anno fa i cosiddetti “pretoriani” non solo riconoscevano nell’adesione acritica alle scelte della dirigenza l’unico modo per essere pienamente fedeli al carisma, ma si sentivano anche gli unici ciellini veramente fedeli a Papa Francesco, dal momento che si sommavano mutamenti che cercavano in ogni modo di far rassomigliare lo stile di CL allo stile del pontefice regnante, oggi che il Santo Padre ha di fatto corretto questa impostazione, riconoscendo la ricchezza della multiformità dei carismi, i quali non devono snaturarsi a immagine e somiglianza del papa in carica, sembrano vivere ed esprimere un forte rancore nei confronti del Papa, rancore che talvolta assume anche espressioni verbali per nulla consone per una persona che si professa cattolica.
Contestualmente la cosiddetta “falange di duri e puri”, in buona parte fuoriusciti dal movimento, si rallegra della natura “profetica” delle proprie riserve in merito alle scelte della dirigenza negli ultimi tempi, chi riabbracciando la Scuola di Comunità dopo una lunga assenza, chi ancora incerto sulla reale possibilità che il travaglio in corso possa condurre realmente ad una nuova nascita.
Ma se gli “estremi” si sono di fatto invertiti, rimane il fatto che l’ampia maggioranza del popolo ciellino che prima aveva manifestato la propria fedeltà alla guida di Carrón, oggi la vive nei confronti del nuovo presidente Prosperi, nei confronti del quale esprimo la mia più profonda gratitudine e stima, a motivo dell’arduo compito a cui è chiamato di guidare Comunione e Liberazione a questa terza ripresa, ridonando alla Chiesa un popolo capace di portare ancora una volta nella società il messaggio cristiano nella sua pienezza ed autenticità.
Qualcuno potrebbe obiettare che l’intento della Santa Sede non sia un rinnovamento nell’azione e nella vita del movimento verso una maggiore conformità al carisma originario, bensì una semplice bacchettata per evitare che nelle associazioni internazionali di fedeli vi sia un’eccessiva concentrazione di potere nelle mani di pochi: se quest’ultima preoccupazione è assolutamente reale, il messaggio del Segretario di Stato Parolin agli Esercizi della Fraternità, a mio giudizio, esprime con una chiarezza adamantina che ciò che il Santo Padre ci domanda è molto di più.
L’esortazione a «rinnovare l’adesione al divino Maestro, in vista di una sempre più feconda presenza nella Chiesa e nella società, nel solco del carisma del Servo di Dio don Luigi Giussani» esprime un’evidente necessità che CL ritorni ad essere una presenza viva e coraggiosa nella società e non più pavida e ritirata come, purtroppo, è stato negli ultimi anni.
Ancor più chiaro è il passaggio successivo, che esprime direttamente il pensiero del Pontefice: «Di fronte all’individualismo e all’indifferenza che segnano il nostro tempo provocando lo scarto di tante esistenze, il Santo Padre esorta a considerare che la risposta cristiana non sta nella rassegnata constatazione della povertà valoriale di oggi o nel nostalgico rimpianto del passato, ma nella carità che, animata dalla fiducia nella Provvidenza, sa amare la propria epoca e, con umiltà, fare nuove tutte le cose.»
Contrasto all’individualismo, all’indifferenza, alla cultura dello scarto, alla povertà valoriale odierna e alla nostalgia fine a se stessa siano, dunque, gli orizzonti che sospingano questo rinnovamento tanto all’interno del movimento quanto all’interno della società, permeato di un amore profondo verso i nostri contemporanei, feriti da una mentalità che è visceralmente distante da quella evangelica.
Come è possibile fare ciò? Solamente se ci asteniamo dalle recriminazioni e dalle accuse reciproche, fuggendo la contrapposizione tra la l’autentica comunione fraterna e la piena fedeltà alla verità, perché senza l’una l’altra è incompiuta. Pertanto, intraprendiamoci questo cammino di rinnovamento amandoci l’un l’altro nell’amore alla Verità incarnata, cioè a Cristo.
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