La lobby gay è come una rete mondiale che tende a mettere le sue mani su tutto. Come se volesse dire al mondo intero: qui comando io!
L'ultima vittima, forse incosciente ma certamente complice, è l’americana Nascar.
Wikipedia la definisce così: “La National Association for Stock Car Auto Racing (Nascar) è una joint venture statunitense di proprietà e gestione familiare che organizza e gestisce vari campionati automobilistici principalmente negli Stati Uniti e in Canada”.
Non deve essere proprio un circolo ricreativo periferico, se le sue gare di velocità sono "il secondo avvenimento sportivo più seguito, subito dopo il Super Bowl di football americano”. E infatti le competizioni dei bolidi “sono trasmesse in 150 nazioni e coprono 17 dei primi 20 posti nella classifica degli eventi sportivi più visti negli USA”.
Ora chissà per quali pressioni o tatticismi, i responsabili della società hanno annunciato di essere diventati sponsor della causa Lgbt. Come se si trattasse di una banale pesca di beneficienza o di raccogliere fondi per la malnutrizione in Africa.
Assumendo i colori dell’arcobaleno, ne dà notizia Brandon Thompson, “vice presidente della Nascar per la diversità e l'inclusione”. Si noti che una storica e stimata società di automobilismo ha quindi, per dare l’idea al consumatore spaesato di essere al passo coi tempi, un responsabile sensibile ai desiderata delle lobby gay. No comment.
Il quale dichiara fiero di voler “promuovere la diversità, l'equità e la formazione all'inclusione”. Nei circuiti, nelle pubblicità, nello stile di vita dell’azienda. Assumendo magari personale gay (solo) in quanto gay? Non è specificato, ma è lecito ipotizzarlo.
Secondo Thomson, la Nascar, “che ha per storica mission l'organizzazione di corse automobilistiche, lavorerà d'ora in poi, per promuovere l'equità, l'inclusione e la prosperità economica della comunità LGBTQ". La q finale sta per queer, che significa “strano”. E la stranezza è diventata un valore da quando i padroni del linguaggio, qualche anno fa, hanno deciso così.
Ma non è un caso palese di discriminazione al contrario verso gli eterosessuali, se vengono per principio valorizzati coloro che eterosessuali non sono? Di certo è difficile capirci qualcosa.
Salvo il chiaro intento ideologico, divisivo e propagandistico.
Come noto in America è forte il movimento degli ex gay, molto spesso condannati, maltrattati e demonizzati dai loro ex compagni di vita e di ebbrezze.
Ma esistono anche, nelle due sponde dell’Oceano, dei cittadini omosessuali (a volte credenti, conservatori o semplicemente liberal) che nulla vogliono avere a che fare coi gruppi di pressione omosessualisti, legati alla cultura gender o appunto Lgbt. Anche questi vengono esclusi e ignorati da queste operazione di look, in nome dell’inclusione.
"Il marchio distinto che la Nascar porta in camera convalida il loro impegno per l'uguaglianza e la non discriminazione sia dentro che fuori le piste”. Così Tiffany Keaton la responsabile della "Camera di commercio LGBT" (testuale) della Carolina, lo Stato Usa dove ha sede la Nascar.
Che dichiara di non vedere l'ora “di sviluppare questa straordinaria relazione” nel corrente 2022. Relazione un po’ strampalata tra americani “gay-lesbo-trans” e automobili. La quale però, oltre all’immagine, apporterà dollari, contatti, empowerment alla lobby più potente del mondo.
Certo, un lettore potrebbe pensare che si tratti di cose secondarie, visti i tempi di epidemia, di obblighi vaccinati (insensati) e di guai economici in vista.
Ma certe cose vanno comunque sapute. Perché il caos sanitario e politico che stiamo vivendo in Occidente, deriva anche dalla perdita delle basilari nozioni di giustizia, equità, ragionevolezza, buon senso. Sostituite dalle ben più flessibili e manipolabili diversità, stranezza e inclusione.
Pubblicato il 16 gennaio 2022
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