12 marzo 2019

Leggenda e mito. La legione tebea/3

 di Franco Ressa
Nei precedenti articoli su questo tema, abbiamo visto come un fatto bellico della fine del IV secolo venne trasformato nel mito della legione Tebea, cristiana e  martire.
Passano 500 anni. Nell’ 899 gli Ungari, barbari feroci come gli Unni, dopo aver saccheggiato il nord Italia vollero penetrare in Germania. Il re Corrado di Franconia fu vinto e ucciso in battaglia nel 918, ma il suo successore, Enrico l’Uccellatore, indirizzò una missiva all’abbazia di San Maurizio di Agaunum (l’odierna Saint-Maurice nel Vallese) promettendo la cessione dell’intero cantone dell’Argovia, se gli fosse stata mandata una reliquia in grado di suscitare la fede dei suoi guerrieri nella vittoria.
Gli venne data una risposta degna della ricompensa promessa. L’abate fece giungere un oggetto straordinario: la lancia di San Maurizio, un oggetto sacro che avrebbe assicurato l’invincibilità a chiunque l’avesse posseduta.

Enrico, stringendo tra le mani la Lancia del Destino, come cominciò ad essere chiamata, affrontò gli Ungari sul campo quello stesso anno. La fortuna fu subito dalla sua. Riuscì infatti a catturare uno dei capi dell’orda nemica e giunse ad un accordo con lui. In cambio di una tregua di nove anni Enrico l’avrebbe liberato e gli avrebbe pagato un forte tributo. Non era ancora una vittoria, ma quanto meno al suo regno venivano assicurati alcuni anni di pace, preziosissimi per preparare la rivincita.
Enrico costruì nuove fortezze e riorganizzò l’esercito, dotandolo di reparti di cavalieri corazzati, protetti da armature e scudi. Poi mosse guerra agli slavi, estendendo i suoi domini verso oriente. Anche sul fronte politico religioso Enrico lavorò per ottenere l’appoggio di tutti i duchi e nel 929 promosse un solenne incontro a Magdeburgo in cui annunciò l’avvio dei lavori per la costruzione di un convento dedicato a San Maurizio. In seguito, avvicinandosi lo scadere della tregua, convinse i vescovi a non versare più il tributo agli Ungari confidando nella protezione del re.

La reazione non si fece attendere. Nel 933 un’armata di migliaia di cavalieri mosse contro la Germania per metterla a ferro e fuoco. Con grande stupore degli Ungari, invece delle milizie male armate e peggio guidate che si aspettavano di trovare, videro davanti a loro un grande esercito, forte di migliaia di cavalieri pesantemente corazzati, al seguito di tutti i duchi di Germania finalmente uniti e stretti attorno ad un re rispettato. E ognuno, dal re fino all’ultimo dei soldati, era certo che la Lancia del Destino avrebbe fatto scendere in campo al loro fianco l’invincibile Legione Tebana, agli ordini del generale Maurizio. Gli Ungari compresero che non era giornata e, voltati i cavalli, se ne tornarono nel loro paese.

La Germania poteva tirare un lungo sospiro, ma non era la fine della guerra né delle razzie degli Ungari, che rientrati in patria si dedicarono al saccheggio di altri territori, continuando a preparare la vendetta. Nell’anno 955 un’armata di centomila Ungari invase la Germania, ponendo l’assedio alla città di Augusta.
Sotto le insegne di Ottone, figlio di Enrico, che portava con sé la Lancia del Destino, i ducati tedeschi ritrovarono la loro unità. Bavaresi, Svevi e Boemi si erano già aggiunti ai Sassoni, ma nel campo tedesco l’entusiasmo andò alle stelle quando arrivò l’esercito dei cavalieri di Franconia, guidati da Corrado il Rosso che aveva combattuto contro Ottone, ma nel momento supremo dello scontro con gli Ungari aveva deciso di tornare a schierarsi al suo fianco.
Ottone mosse immediatamente contro il nemico, sulla pianura che costeggiava il fiume Lech, formando a causa del terreno accidentato una lunga colonna. Gli Ungari ne approfittarono per attaccare la retroguardia, la mossa riuscì ed in breve l’esercito tedesco si trovò accerchiato dai nemici. Ottone non si perse d’animo, i Franconi di Corrado furono inviati contro gli Ungari che erano scesi da cavallo e si erano dati a saccheggiare i carri; ben pochi si salvarono dal massacro. Il caldo, in quell’agosto, era però particolarmente insopportabile per i cavalieri tedeschi, chiusi dentro le loro corazze di ferro, che si arroventavano sotto il sole, al punto che molti furono costretti a toglierle. Corrado, colpito da una freccia, cadde morto sul campo.

In ogni caso, con le spalle coperte, Ottone schierò la cavalleria pesante tedesca su un lungo fronte davanti al nemico e tenne un breve discorso ai suoi: «Il nemico ci sovrasta per numero di dieci volte. Ma loro non hanno né le nostre armi, né il nostro coraggio e soprattutto sappiamo che essi non hanno l’aiuto di Dio, e questo ci è di grandissimo conforto!» Quindi suonò la carica e i diecimila cavalieri si abbatterono come un muro di ferro contro gli Ungari, che inutilmente lanciarono un nugolo di frecce che rimbalzarono sugli scudi e sulle armature. Non ebbero il tempo di ripetere il tiro, perché i Germani erano ormai su di loro come un fiume in piena. L’odio per il nemico ed il desiderio di vendicare decenni di violenze era tale che l’esercito ungaro venne annientato. Da quell’anno le incursioni degli Ungari contro l’Europa cessarono e Ottone, innalzato sugli scudi dai suoi guerrieri, fu proclamato Imperatore. Quarantadue anni dopo un re santo, Stefano, fece diventare cristiana l’Ungheria.
La lancia di san Maurizio venne conservata da tutti gli imperatori tedeschi e poi austriaci come simbolo di protezione divina, e persino Adolf Hitler la volle portare da Vienna a Norimberga sperando così in una assurda vittoria benedetta da Dio.
Dunque, il mito e la leggenda non sono semplici credenze o superstizioni, ma rappresentano lo spirito e l’iniziativa a volte di intere popolazioni. Il cemento che unisce ogni individuo di queste popolazioni può essere la fede in una religione, e il Cristianesimo è il collante più forte e positivo nell’ambito delle religioni del genere umano.

Fine

 

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