La città di Milano aveva una grande importanza nel IV secolo per l’impero ma anche per la Cristianità. Ecco perché gli uomini che adorneranno la Chiesa milanese in questo tempo saranno eccezionali, come Ambrogio (340-397), funzionario imperiale che a forza fu fatto Vescovo della città su acclamazione popolare. Ambrogio fu grande predicatore e scrittore ma ebbe anche un ruolo fondamentale nello sviluppo dell’innodia Cristiana, tanto che fu chiamato “padre dell’innodia latina”. Nelle vicende turbolente che videro l’imperatore contrastare la Chiesa per favorire tendenze eretiche nella stessa, Ambrogio trovò il modo per tenere alto lo spirito del popolo fedele: li fece cantare. Egli stesso compose inni, come Aeterna Christi Munera, Aeterne Rerum Conditor e Splendor Paternae Gloriae.
Il canto della Chiesa milanese viene definito, da Ambrogio, come “ambrosiano”. Ecco come ne parla Giulio Bas nell’enciclopedia Treccani: “È il canto liturgico tradizionale della Chiesa Ambrosiana, tuttora in uso nell'archidiocesi di Milano ed in alcune parrocchie che una volta ne dipendevano: valli Leventine nel Canton Ticino, valle Cannobina in diocesi di Novara e qualche paese in diocesi di Bergamo. Tutto fa credere che fino dai primordî vi si cantassero salmi e altri testi sacri in maniera semplice e sillabica. Nelle Confessioni (I, ix, 6-7) S. Agostino, contemporaneo ed amico di S. Ambrogio riferisce che questi (3401-397) introdusse gl'inni ed il canto vocalizzato dei salmi alla maniera degli orientali. Certo S. Ambrogio scrisse il testo di più inni, i quali da Milano si diffusero per tutt'Europa; tanto che, nel Medioevo, inno ed ambrosiano erano sinonimi”. E in effetti importante fu la testimonianza di Agostino sull’opera anche musicale di Ambrogio. Prosegue la Treccani: “Certo, il canto ambrosiano ha fisionomia propria ben distinta e che si mantenne quasi inalterata attraverso i secoli. Ha carattere arcaico "virile" (espressione di S. Ambrogio), con palesi influenze orientali, piuttosto barbaro ma attraente; sicche lo si può dire l'espressione musicale del periodo longobardo-carolingio in Lombardia. Come in tutto il canto liturgico cristiano, vi si distinguono due stili: uno sillabico ed uno vocalizzato. Tale distinzione è assai più sensibile che in altri rami della tradizione liturgica occidentale (segno di alta antichità), così che le melodie sillabiche sono disadorne ma incisive. E le melodie vocalizzate presentano una vera intemperanza d'ornamentazione poco efficace e spesso assai diffusa.
Il complesso della tradizione ambrosiana ha così chiara unità di stile e di forme, che (pur facendo la debita parte alla lenta e lunga evoluzione ed elaborazione collettiva attraverso i secoli) non si può non riferire ad autentici artisti, forse sotto l'influenza orientale e di un età che, per certi canti, non può non risalire fino ai primissimi secoli del cristianesimo. Chi essi furono forse non si saprà mai”.
Ambrogio fa riferimento al canto in alcune sue lettere. Nell’Osservatore Romano del 6 dicembre 2015, Lucia Coco così descrive l’importanza della musica in Sant’Ambrogio: “Nel mondo sublunare egli scopre la musica del mare, simile al canto che si fa in Chiesa (Hexameron , III, 5, 23). Nel regno animale gli uccelli hanno un posto privilegiato. Ed è significativo, ai fini della comprensione di ciò che Ambrogio intenda per musica, che nell’elenco egli non solo inserisca quei volatili il cui verso è chiaramente melodioso — il cigno, la tortora, la colomba, l’usignolo, il merlo — ma anche quelli il cui richiamo è più dissonante e stridulo, come quello della cornacchia o della nottola. In questa catena di suoni si inseriscono anche quelli umani di cui subito si sottolinea la qualità consolatoria, volta a «calmare i cuori agitati dalle cure mondane » e l’azione di farmaco spirituale con il quale poter «curare le proprie ferite interiori». Si segnala la qualità terapeutica del canto che «scaccia ogni forma di umana passione» e «mette da parte gli affanni dei diversi pensieri, allontana l’avarizia e si allieta non solo della voce del corpo ma anche vivacità della mente».
Naturalmente all’interno di queste musiche occorre distinguere tra quelle che sono in grado di elevare a Dio e alla «contemplazione dei fatti celesti » e quelle profane, «i canti mortiferi dei mimi scenici, che suggestionano la mente alle mollezze amorose», che Ambrogio ricapitola nella metafora del canto che seduce delle sirene. Una volta fissato il confine tra una musica profana, che consegna l’uomo alle passioni, e una musica che lo avvia a una esperienza spirituale e interiore, il vescovo di Milano non ha esitazioni nel definirne la funzione precipua che è quella di avvicinare l’uomo a Dio, di stabilire «una conversazione celeste», e in tal senso essa rivela una natura sacra che ha il suo naturale sbocco e la sua più evidente applicazione proprio nella casa di Dio, ovvero in Chiesa. Ed è in questa dimensione di elevazione dell’anima a Dio che trova la sua ragione l’introduzione a opera di Ambrogio del canto liturgico nella città di Milano nella forma del salmo cantato e in quella più articolata del canto antifonato, come è esplicitamente detto dal suo biografo Paolino da Milano.
Perciò nelle opere di Ambrogio non mancano i riferimenti pratici su come deve essere eseguito il canto. Egli scrive infatti che il tono della voce deve essere moderato, perché se «troppo elevato non offenda l’orecchio di qualcuno», deve essere ispirato alla «compostezza» e che l’apprendimento deve avvenire «per gradi». La linea da seguire nel canto è la naturalezza. La voce — dice — deve essere «semplice e pura; il fatto che sia sonora è della natura non dell’arte»; le parole devono essere scandite bene, di modo che la pronuncia «sia realmente distinta ». Tutto deve concorrere a produrre non un effetto scenico e «teatrale» ma deve servire a rivelare «il mistico», ovvero essere in grado di mettere in contatto l’uomo con il divino, come è nelle premesse e nei presupposti della teologia della musica del vescovo di Milano” (in www.ilcattolico.it).
Insomma, la riflessione sulla musica è ben presente in Ambrogio come lo sarà ancora di più nel suo grandissimo discepolo, Agostino, come vedremo di seguito.
Pubblicato il 15 marzo 2019
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