31 gennaio 2019

La leggenda della vergine da Eufrasia in poi


di Franco Ressa
Lo Spirito Santo è definito “Paraclito”, cioè difensore e avvocato, e Gesù esortava ad averne fiducia come continuatore e portatore a compimento di ciò che lui aveva iniziato sulla terra: “È meglio per voi che io parta, perché se non parto il Paraclito non verrà a voi “ (Giovanni, 16,7). E ancora: “Chi avrà bestemmiato contro lo Spirito Santo non otterrà il perdono. Quando vi porteranno nelle sinagoghe davanti ai magistrati e alle autorità non preoccupatevi di quello che dovete dire per difendervi. Lo Spirito Santo vi insegnerà quello che dovrete dire per difendervi. Lo Spirito Santo vi insegnerà quello che dovrete dire in quel momento.” (Luca, XII, 10-12) Di questa affermazione fecero tesoro i martiri, i quali non temevano né le condanne né le torture né la morte perché sostenuti dalla fede e dalla certezza di una protezione divina. Diverse martiri erano vergini consacrate a Dio. Una legge di Roma vietava l’esecuzione delle cittadine romane vergini. Per questo motivo alcune cristiane come Agata, Lucia, Eufrasia, Irene, Agnese ed altre furono spogliate e rinchiuse in un lupanare. Ecco però una protezione proveniente dallo Spirito Santo. Gli uomini pagani rifuggivano dall’avere contatti con donne cristiane, il dio crocifisso come un delinquente veniva creduto maledetto, e le sue vergini vestali facevano paura per superstizione, così le martiri rinchiuse nei bordelli rimanevano intatte, ma formalmente non erano più considerate vergini e venivano poi giustiziate.

Tra queste tuttavia vi furono delle eccezioni. Ragazze troppo paurose o con una fede non molto solida temevano sopra ogni cosa la violenza carnale, così abbiamo il caso di due martiri suicide; Pelagia di Antiochia si gettò dalla finestra e morì sfracellata quando vide venire le guardie ad arrestarla, ed Eufrasia di Nicomedia escogitò uno stratagemma per farsi uccidere. Riuscì a convincere i suoi carcerieri di possedere un unguento miracoloso, che assicurava l’invulnerabilità a chi se lo spalmasse addosso, e lo offrì in cambio della salvezza della propria castità. Davanti allo scetticismo propose di farne essa stessa prova, se lo spalmò addosso e invitò un guardiano a colpirla con forza sul collo con la sua spada. Questo fece l’uomo, e decapitò in un sol colpo la vergine cristiana. Rabbiosi, i carcerieri si accorsero che così la ragazza li aveva ingannati, scampando il processo, le torture e i leoni nel circo.

Di Eufrasia non si sa altro, e l’esistenza stessa di una tale santa può essere messa in dubbio, poiché il primo a scriverne in una sua Storia ecclesiastica fu un monaco greco bizantino, Niceforo Callisto Xantopulos, vissuto agli inizi del XIV secolo, quindi un migliaio di anni dopo l’ipotetica vita e morte di Eufrasia.
La stessa storia riappare nel 1416. Un umanista veneziano, Francesco Barbaro (1390-1454), scrisse un libretto dedicato alla virtù di donne famose, De re uxoria, come regalo nell’occasione delle nozze di un suo amico. Diversa però è la protagonista e l’epoca; nel 614 Gerusalemme venne invasa dai Persiani, questi erano seguaci di Zoroastro e non rispettavano le monache cristiane. Una di esse chiese di comparire davanti all’imperatore iraniano Cosroe II per confidargli un gran segreto, l’esistenza del prodigioso unguento, con ciò che ne segue. Il trattatello di Barbaro ebbe una certa risonanza durante il Rinascimento, tanto che Ludovico Ariosto (1474-1533) riadattò lo stratagemma della vergine cristiana nel suo poema dell’Orlando Furioso. Al canto XXIX il fortissimo saraceno Rodomonte affronta ed uccide il cavaliere cristiano Zerbino. Si impadronisce della sua donzella Isabella, e la vuole far sua con la forza. Isabella allora baratta la sua libertà con il segreto del filtro dell’invulnerabilità, tallonata dal guerriero infedele raccoglie le erbe e ne fa un decotto, che poi beve e invita il saraceno a provarne l’efficacia. Rodomonte beffato costruirà allora un mausoleo a Zerbino ed Isabella presso un ponte, e ne resterà come guardiano, sfidando qualsiasi guerriero, cristiano o musulmano, che tenti di attraversarlo.

Passati quattrocento anni, non si sa da quale fonte, l’Ariosto o altri, lo scrittore americano Jack London (1876-1910) riprende e cambia ancora. Una sua raccolta di novelle avventurose, Lost Face, edita nel 1910 ebbe un buon successo e diverse successive edizioni. La storia che presta il titolo alla raccolta è ambientata in Alaska, quando questa è ancora un possedimento della Russia, quindi l’epoca è anteriore al 1867. Un mercante russo di pellicce, Subienkov, ha sottomesso e schiavizzato una tribù indiana, sfruttandola per il commercio delle pelli. Alla fine gli indiani si ribellano e prendono prigioniero il russo. Sapendo che per vendetta i pellerossa lo vorrebbero torturare e scotennare, Subienkov convince il capotribù di possedere una “grande medicina” e il resto è immaginabile.

Ultima riedizione, nel 1970 il disegnatore di fumetti Hugo Pratt (1927-1995) in una delle avventure del suo celebre personaggio Corto Maltese: Teste e funghi, immagina che in una ricerca di tesori nella foresta amazzonica, un ex galeotto francese fuggito dal bagno penale della Caienna, Pierre La Reine, viene catturato dagli indios Jivaro i cacciatori di teste, e si sottrae alle loro torture mangiando funghi sacri convincendo così il guerriero Aparia a sferrargli un colpo di machete. In realtà è tutto un sogno, ma Corto Maltese troverà nel negozio del mercante Levi Colombia la testa di Pierre La Reine ridotta a “zanza”, cioè rimpicciolita e mummificata. Forse le leggende sacre non rispecchiano una precisa realtà, ma sono comunque espressioni di una morale, e sanno vivere molto a lungo. Anche cambiando luogo e significato, ma mantenendo comunque il loro fascino originario.


 

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