di Fabrizio Cannone
Sotto Benedetto XVI (2005-2013) era divenuto frequente – nella Chiesa –
parlare di dittatura del relativismo. L’espressione, come si capisce
subito, è fortemente critica verso un pensiero che, mentre pone se stesso
come aperto, libero, senza pregiudizi e dialogico su tutto, all’atto
pratico rischia di trasformarsi nell’opposto di questa sua rosea
presentazione. E questo è del tutto logico. Mettendo infatti l’uomo al
centro di tutto (antropocentrismo assoluto ed esclusivista) è facile poi
decentrare e lasciare ai margini della società e del pensiero tutto ciò che
pare incompatibile con la propria arbitraria definizione di uomo, fossero
pure valori, principi, certezze, evidenze di chiaro rilievo antropologico.
E’ altresì accertato che oggi – nell’ultimo lustro di storia ecclesiale –
parlare di relativismo è divenuto più raro. E denunciare il relativismo
come un male da combattere, è ormai un emblema e quasi il segno di
riconoscimento dell’appartenenza ad una parte ben precisa, e marginale,
della Chiesa…
Il relativismo etico: da paradigma di ciò che si contrappone,
irriducibilmente, al pensiero razionale (e cristiano) in tutte le sue
possibili dimensioni (si vedano le parole calibrate e taglienti di
Veritatis splendor), ad una filosofia tutto sommato interessante e
stimolante, con cui dialogare senza pregiudizi, cercando una via mediana di
incontro… Come è stato possibile questo radicale cambiamento? E quali ne
sono le ragioni profonde?
In ogni caso, l’errore resta tale anche se non viene più confutato come lo
fu in un tempo pregresso. E se la “Congregazione per la dottrina della
fede” ha sentito il bisogno, in questo 2018, di censurare nuovamente delle
attitudini spirituali tipiche dello gnosticismo e del pelagianesimo (cf.
Placuit Deo), combattute ai tempi di Ambrogio ed Agostino, tanto più giova
oggi reimmergersi – fino a un certo punto però – nelle acque opache del
relativismo, dello scetticismo e del soggettivismo moderno.
In tal senso è apprezzabile e lodevole lo sforzo di Francesco Coralluzzo,
che ha mostrato la coerenza interna e il vuoto dottrinale del pensiero
dominante, contemporaneamente nichilista, debole e totalitario (cf. F.
Coralluzzo, Oltre il relativismo. Comprendere e superare le ragioni di
Nietzsche, Heidegger e Vattimo, Casa Editrice Leonardo da Vinci, Roma 2013,
euro 20).
Nella Presentazione del libro (pp. 7-14), mons. Antonio Livi mostra bene la
fluidità del relativismo, riducibile non ad una o più tesi filosofiche, “ma
a una posizione mentale che nasce dal volontario rifiuto della ragione
ragionante” (p. 11). Questo rifiuto a priori, si inserisce in un contesto
che senza dubbio lo favorisce e lo alimenta. Infatti, “le diverse agenzie
culturali operanti nel nostro tempo (dai mass media alle formazioni
politiche, dalle istituzioni culturali e scientifiche alle comunità
religiose e alle scuole filosofiche indipendenti) diffondono messaggi
contraddittori e sconcertanti” (p. 8). Probabilmente ad un livello e con
una intensità mai raggiunta in passato. I sofisti sono arrivati al potere?
Questo caos del pensiero tende a sabotare il pensiero stesso, poiché l’uomo
medio, colui che dà vita alla pubblica opinione, può dirsi, fra sé e sé:
Come fare a conoscere la verità, tra tante istanze contrastanti e
contradditorie? Chi può dirci come è bene vivere? I concetti di bene e male
sono di fatto evoluti nel tempo, e non potrebbero cambiare ancora una volta
domani?
E così finirà, presto o tardi, per scegliere di non scegliere (tra le tante
parti in causa), illudendosi di non aver scelto nulla… Ma si tratta di una
illusione mortale, poiché astenersi è comunque una scelta (non solo in
politica), e non è la meno pericolosa. Cosa dirà poi tale uomo medio, reso
scettico dalle circostanze, alla figlia sedicenne che vuole abortire poiché
non se la sente? La incoraggerà all’aborto, o la scoraggerà, o non dirà
nulla. Ma in ogni caso, avrà fatto una scelta colui che non voleva
scegliere! Vivere si deve per forza (se non si opta per il suicidio), e
quindi anche pensare. Il relativismo è una tendenziale abolizione del
pensiero, “è la ricorrente tentazione di abbandonare l’impegno della
ricerca, è un’ideologia (in altre epoche chiaramente marginale, ma oggi
apparentemente maggioritaria” (p. 9).
Livi, conclude la sua introduzione stabilendo una sorta di genealogia dei
relativisti (e degli anti-relativisti) davvero gustosa e piccante. Il
relativismo come impostazione mentale scettica e anti-metafisica nasce coi
sofisti (combattuti da Socrate, Platone e Aristotele), va avanti con lo
gnosticismo ereticale (avversato da Agostino e Tommaso), assurge a sistema
con Cartesio (combattuto da Pascal e Buffier), prende nuova lena con Hume
(contrastato da Thomas Reid), sembra divenire invincibile con Kant
(sezionato da Jacobi e Balmes) ed infine è riproposto tant bien que mal dal
semi-cristiano Bergson (sterilizzato da Garrigou-Lagrange e dal neo-tomismo
successivo).
Proprio da qui prende le mosse il saggio analitico del Coralluzzo,
trattando la nuova enfatica progenie del relativismo, la quale si ammanta
nei nomi altisonanti di Nietzsche, Heidegger e Gianni Vattimo, capofila
quest’ultimo di un pensiero debolissimo, fragilissimo e tendenzialmente
vuoto come il nulla.
L’Autore, parte anch’egli dal contesto contemporaneo in cui, “la ricerca
seria e impegnata delle verità fondamentali non è più apprezzata” (p. 15),
specie dalle élite dirigenti, e così “il valore morale e le norme che ne
derivano sono affidate esclusivamente all’arbitrio dell’individuo” (p. 16),
senza alcun criterio stabile e definitivo. Questo terreno (in)fertile ha
prodotto la mala pianta del relativismo, inteso dall’Autore come “rifiuto
sistematico della verità come possibilità del pensiero” (p. 17).
Il fatto che il rifiuto della verità o l’impossibilità di conoscerla si
ponga comunque come affermazione veritativa (e indubitabile) per chi la
pone, non spaventa più i neo-sofisti scettici. Anzi oggi, spaventa la
coerenza e a volte questa primula introvabile della post-modernità è
perseguitata dalla legge; la liquidità dell’incoerente invece è
apprezzatissima, come sale della democrazia e profilattico alle svolte
autoritarie… D’altra parte, nichilismo viene da nihil e ha come missione
universale di annientare “il carattere assoluto di ogni valore, soprattutto
quello della verità e del bene” (p. 25, n. 1).
Il Vae victis classico si trasforma a poco a poco in guai ai giusti, guai
ai retti, guai ai puri, guai ai forti (specie nel pensiero…), guai ai
santi!
In effetti, se la democrazia e lo Stato di diritto sono allergici e
impermeabili ad ogni evidenza valoriale pre-politica (come da decenni
sostengono gli infallibili Flores d’Arcais, Zagrebelsky e MicroMega),
allora è chiaro che vi sarà una alleanza oggettiva tra le democrazie senza
assiomi e un pensiero scettico senza criteri.
Impossibile per un recensore, nello spazio di una recensione, lumeggiare
tutti i contenuti illustrati dall’Autore. Ci teniamo però a sottolineare
ciò: Francesco Coralluzzo si mostra ottimo conoscitore sia della filosofia
perenne, la quale parte dalla realtà, dall’essere, dalle cose e alla luce
di esse fonda il pensiero critico, dandogli sostanza e contenuti. Sia del
pensiero-che-non-pensa, confutando in modo pacato e preciso le
contraddizioni del relativismo e dello scetticismo, e aiutando l’umanità a
liberarsi dai condizionamenti della filosofia tedesca degli ultimi 2
secoli.
Tra i 3 autori trattati nel libro, quello più tipico del vuoto di pensiero
oggi dominante, è proprio l’ineffabile Gianni Vattimo (Torino, 1936). Il
quale “arriva a sostenere la tesi secondo cui l’incertezza e il disagio
spirituale in cui ci troviamo non derivano dal nichilismo attualmente
predominante nella cultura occidentale, bensì dal fatto che siamo ancora
troppo poco nichilisti” (p. 166). “Il nichilista compiuto, scrive Vattimo,
è colui che ha capito che il nichilismo è la sua (unica) chance” (p. 88).
“Si tratta appunto di realizzare […] una presa di congedo dalla pretesa di
verità assolute” (p. 93). In pratica il bene e il male non esistono, però
il fascismo è un male… Non esiste nessuna certezza, però l’eutanasia va
legalizzata… Non esiste alcuna verità, però lui nel 2015 (!!) si è iscritto
ad un neonato Partito Comunista…
Infondo qui si sta proponendo, dolcemente, l’eutanasia dell’uomo, del
pensiero e delle assisi su cui poggia ogni società composta da essere
razionali.
Tutti coloro che tengono all’uomo come tale, al bene comune dei popoli,
alla scienza come via veritatis, alla felicità e al trionfo dell’armonia e
della pace devono badare bene a non confondere mai la medicina e il virus,
il vizio e la virtù, la saggezza come stile di vita e l’istinto di dominio
e di auto-annientamento.
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