di Fabrizio Cannone
L’oblio del passato, e molto più il disprezzo del passato, è causa di molteplici mali: ai singoli, alle comunità e alle società nel suo insieme. La Storia è maestra di vita come noto, ma si aggiungeva già in antico, è maestra troppo spesso inascoltata.
L’oblio del passato, e molto più il disprezzo del passato, è causa di molteplici mali: ai singoli, alle comunità e alle società nel suo insieme. La Storia è maestra di vita come noto, ma si aggiungeva già in antico, è maestra troppo spesso inascoltata.
Contro l’ossessivo pensiero
progressista, esiste e va riaffermata una sorta di “metafisica del tempo (che
fu)”. In effetti, disprezzare il passato in quanto passato, porta magari inconsciamente
a disprezzare lo stesso presente, che molto presto sarà passato anch’esso. E
così per il futuro, almeno per il futuro non molto lontano da noi. Anch’esso
infatti, tra breve, sarà presente e volgerà all’apparente nulla del passato…
L’utopia e l’ucronia delle
sinistre liberal e nichiliste sono dei non luoghi e dei non tempi. La storia fa
loro paura, per la concretezza delle sue implicazioni. E’ l’astrattismo la
causa della fede cieca nel domani radioso, un domani destinato, per
definizione, a non realizzarsi mai come l’avevamo ipotizzato oggi.
Il progressismo quindi è una
metafisica del nulla. In nome dell’astrazione e dell’ideologia, si disprezza il
tempo come tale, e quindi la storia come cosa morta, e non più viva e dinamica
come le magnifiche sorti progressive dell’umanità in marcia.
Se non stupisce più nessuno il
fatto che nella contemporaneità gli artigiani, gli operai e i contadini
guardino a destra, mentre i borghesi benpensanti e radical chic a sinistra,
neppure deve stupire che la concretezza e il realismo siano appannaggio dei
conservatori e dei tradizionalisti, contro l’ideologismo surreale di
progressismo e modernismo.
D’altra parte i vati del
progressismo più stantio sono gente alla Scalfari, mentre i giovani europei
tendono al populismo, al nazionalismo, alle radici, al ritorno della Tradizione
(in termini politici, culturali e religiosi).
Quest’anno gli amici de “Il Giornale” hanno pubblicato una serie di pamphlet davvero ottimi per
formarsi una coscienza critica e “fuori dal coro” (nome della collana di
libretti). Tra essi, i testi di Giuseppe Valditara (L’impero Romano distrutto dagli immigrati), di Franco Battaglia (Contro il falso mito del riscaldamento globale) e di Maurizio Acerbi (Come sopravvivere al cinema di sinistra)
hanno messo dei paletti forti e chiari nel senso del superamento della
dogmatica politicamente corretta.
Ora però un giovanissimo autore, Francesco Giubilei (Cesena, 1992) ha appena fatto uscire Il conservatore del futuro (da richiedersi in edicola ad euro 2.50) in cui in 50 pagine ben calibrate riassume quanto noi andavamo dicendo poco sopra. Il titolo può leggersi in un duplice modo: la descrizione del conservatore che verrà nei prossimi lustri, oppure il fatto che solo conservando ci potrà essere un futuro per la nostra auto-disfacentesi civiltà in rovina.
Il pamphlet consta di dieci
capitoletti in ordine alfabetico (Cultura, Ecologia, Economia, Europa e
nazione, Famiglia, Immigrazione, Politica estera, Religione, Scuola e
università, Web e social network) e il risultato è quello di contrapporre
all’utopismo ucronico e antistorico della sinistra liberal, il radicamento di
un pensiero antico e sempre nuovo, fondato come è, sui pilastri stessi della
civiltà: la famiglia, lo Stato, la religione e la moralità.
Chi è radicato nella propria
identità storica, porta radicamento e prospetta un futuro senza soluzione di
continuità e insane fratture storiche. Lo sradicato (qual è sempre più il
giovane anarco-borghese) sradica. E sradica tutto ciò che è fondamentale per il
bene comune di qualunque comunità.
Si può dissentire qua e là su ciò
che afferma il giovane studioso cesenate, d’altra parte il pensiero
conservatore non è un blocco rigido (come il blocco dell’utopia e del non
pensiero nichilista), ma, come la vita stessa, è sempre in sviluppo omogeno e
quindi in crescita e in tensione. Ma restano dei postulati che sono altrettanti
punti fermi per ogni riflessione ulteriore sui problemi attuali, come questo:
“L’identità di un cittadino, di un popolo, di una nazione nasce da una cultura
comune che si esplicita in usanze e abitudini condivise. Nel momento in cui si
nega la propria cultura in nome del politicamente corretto e per evitare pseudo
discriminazioni, viene meno il concetto stesso di nazione” (pagina 9).
Partendo da quest’assunto di
fondo, il Giubilei ribadisce l’importanza della cultura e dell’istruzione, ma
non per fagocitare la saccenteria e l’arroganza di sessantottina memoria. Cultura
qui significa “valorizzare la nostra storia e le tradizioni letterarie, artistiche,
architettoniche”, di contro all’appiattimento del multiculturalismo
relativista, tipico ad esempio in gran parte della cosiddetta arte
contemporanea e nelle nuove chiese. D’altro canto, come nota giustamente l’Autore,
c’è bisogno di “riprendere lo studio di alcuni periodi ed eventi storici che
sono stati trasmessi con una visione di parte e una storiografia faziosa. In
particolare (…) dalla Rivoluzione francese in avanti, è avvenuta la
mitizzazione di precisi eventi, correnti di pensieri e istituzioni” (p. 11) e
la diabolizzazione di altri... Insomma urge un revisionismo storico-critico a
360 gradi, non limitato da nessuno (neppure dal potere…), ma solo dalla verità.
In alcune sapienti paginette il
Giubilei ricorda l’importanza dell’ecologia (che non è l’ecologismo laicista),
poiché “il conservatore ama la propria terra, la nazione in cui è nato e vive,
e di conseguenza è molto sensibile alla tutela dell’ambiente” (p. 12). Anche a
livello urbanistico ed estetico.
Il conservatore poi, “crede sia
necessario uno Stato che dia regole e paletti precisi all’andamento
dell’economia”, anche perché “un sistema fondato solo sulla ricerca del
profitto e del guadagno porta a conseguenze nefaste per la tenuta sociale [e
morale…] di una nazione” (p. 17).
La famiglia, secondo la mens conservatrice dell’Autore,
rappresenta “il fondamento della comunità, un’istituzione imprescindibile” (p. 25),
soprattutto oggi che le altre istituzioni educative sembrano vacanti, in primis
la scuola di Stato e la politica, corrotta e corruttrice. Ma se la famiglia sta
a fondamento della società, la società in nessun modo può sabotarla, come
invece avviene da oltre mezzo secolo in tutte le liberal-democrazie del mondo.
La famiglia da tutelare deve essere quella naturale e fertile, ben identificabile
con la sola ragione umana. Essa, secondo Giubilei, è stata minata a partire
dalla Rivoluzione francese, insieme agli altri “valori tradizionali” (p. 28),
come la Chiesa, l’autorità e la gerarchia.
Anche su vari altri temi, come
l’immigrazione e la scuola, il pamphlet appare interessante, utile e formativo:
consigliamo quindi tutti i lettori, specie i giovani, di correre in edicola
(prima che scompaia) e darne attenta lettura.
Pubblicato il 24 dicembre 2016
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