di Satiricus
Lo diceva da qualche
parte Augusto Del Noce: il fatto che tutti concordino nel ritenere che una
rivoluzione, in generale, debba essere qualcosa di buono, indica chiaramente
che siamo all'interno di un'era ben delimitata, un'"era
rivoluzionaria", per così dire. Quando torneremo ad avvertire le
rivoluzioni come un elemento storico-culturale negativo, allora vorrà dire che
saremo entrati in una nuova era (citato a senso; da qualche parte in Verità
e ragione nella storia, BUR).
Un’era rivoluzionaria.
Splendido aggancio, da far gongolare il frizzante De Maistre ritratto proprio
qui sopra. Ma rivoluzionaria che può voler dire? E poi: Rivoluzionaria, va
bene, e che altro? Bah. Certamente significa un’epoca chiusa in un paradigma
ben delimitato, con sacri idoli intoccabili, con luoghi comuni espiatori, e con
taboo perentori.
Il punto allora è: chi
è autorizzato a smuovere questo paradigma? Quali sono i suoi luoghi comuni e
taboo più stringenti? Come possiamo compiere la giusta diagnosi della
situazione? Sono domande così interessanti che mi dispiacerebbe risolverle in
questa sede. Per cui non lo farò. Mi limito a usarle per interrogare un fatto
recente.
Si tratta della
pubblicazione da parte di Thomas Nagel – americano, ateo, filosofo della mente
e indagatore della coscienza – di Mente e cosmo: Perché la concezione materialistica Neo-Darwiniana della natura
è quasi certamente falsa. Nonostante l’ermeticità del titolo, pare che il
testo rappresenti un colpo poderoso all’ideologia darwinista. L’ennesimo colpo.
E, per l’ennesima volta, non proveniente né dal vivace mondo dei creazionisti
evangelical, né da quello più elitario di certo integralismo cattolico: viene
da un ateo, anti-creazionista, e scienziato.
Peccato. Peccato perché
va in tilt una piccola certezza del mondo accademico, quella che impone la
difesa oltranzista del darwinismo come unico baluardo dei diritti umani, contro
ogni razzistico fondamentalismo. È il contenuto di una sentenza di quasi sei anni fa, del resto
ampiamente supportato da una buona fetta di teologi e brillanti docenti di
Facoltà Pontificie, le quali a torto o a ragione si appellano al vate mons. Facchini,
a tutto buon pro di certi vecchi mantra laicisti.
Interessante però. Perché
getta luce su almeno due dinamiche epocali – per tornare all’aggancio iniziale
– utili a capire il meccanismo storico in cui ci barcameniamo.
La prima, di sapore orwelliano,
ricorda che tra le competenze ce ne sono alcune “più uguali” delle altre:
“analogamente a quanto dovettero fare J. Fodor e M. P. Palmarini, anche Nagel deve fare la sua professione di ateismo per difendersi da quel tipo di accuseche bloccano in modo pretestuoso il dibattito”.
Eh sì, tutto torna: dalla fattoria comunista al laboratorio evoluzionista,
passando per la politica omosessualista, non contano realmente i motivi che
avanzi, conta l’etichetta che porti. E allora dovrai essere marxista non
comunista per criticare i rossi, scienziato non credente per confutare i
darwiniani, omosex non gay per contestare gli arcobaleno. Io che non sono di
sinistra, non ho studiato scienze, e non mi eccitano i mandingo sono
discriminato in partenza.
La seconda, di gusto – passatemi
il neologismo – sedeproibizionista, ce la suggerisce il filosofo cripto-kantiano Maurizio Ferraris: “il dibattito tra darwiniani e “fautori del disegno
intelligente” dell’universo non ha provato la bontà delle tesi di questi
ultimi, ma ha rivelato delle fragilità nei primi”.
È sedepoibizionista perché tendenzialmente mette un veto all’intronizzazione di
qualsivoglia auctoritas, e ci ricorda tre cose, in perfetta armonia con la
dialettica relativistico-fondamentalista della globalizzazione.
Punto a: che le
prospettive tradizionali e reazionarie da sempre avevano e mantengono tutte le
loro sante ragioni per disapprovare gli abbrivi inconcludenti della modernità
rivoluzionaria;
Punto b: che le posizioni tradizionali e reazionarie devono
esse stesse rinnovarsi qua e là per sopravvivere, soprattutto ora che i
novatori si ritrovano con le armi spuntate e né vale né serve più limitarsi
alla difensiva;
Punto c: che per intanto la Poltrona è vuota.
Da cui le due
conseguenze: anzitutto che vince la manche del prossimo blocco
storico-culturale chi arriva per primo a sedersi, per cui, cari amici, diamoci
sotto; e poi che mentre le falangi si scontrano, dietro le fila c’è già qualche
abusivo che si fa il suo magna-magna a sbafo. E questo che significa? Significa
che non si tratta solo di mostrare le nostre sacrosante ragioni nero su bianco,
perché non basta; significa che a qualcuno, per farlo sgombrare dai posti che
occupa, bisognerà proprio dargli un calcio in culo.
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