
Qualche giorno fa i giornali annunciano che il Parlamento ha
dato il nulla osta definitivo alla sua proposta di legge, che prevede, a
partire dalle prossime elezioni amministrative, la possibilità di esprimere due
preferenze, purché uno dei candidati votati sia donna. E il 21 novembre si
apprende che, assieme alla Bongiorno, Mara Carfagna ha suggerito di introdurre l’ergastolo per il «femminicidio».
Non serve essere dei
costituzionalisti per capire che si tratta di orrori giuridici. Le quote rosa
non mi hanno mai convinto – questa cooptazione coatta delle donne in ruoli
pubblici che magari non vogliono svolgere, del tutto indifferente a qualunque
considerazione delle incombenze naturali, che spingono il sesso femminile a preferire
la famiglia alla carriera politica – figuriamoci se vengono introdotte
derogando al principio di buon senso, secondo cui un elettore non può scegliere
due candidati diversi. E poi è difficile giustificare come mai, in barba al
postulato dell’universalità delle leggi, si vincoli questa prerogativa a un
voto di genere. Perché due uomini non vanno bene? Ancora più allucinante, se è
possibile, l’idea dell’aggravante per l’omicidio di una donna, solo perché è
donna. Come se la vita di un maschio valesse di meno.
È evidente che la Carfagna si è
consegnata alla sottocultura («sotto» dal punto di vista qualitativo, perché
quantitativamente è dominante) della contrapposizione di genere, cui si somma
magari pure un’omofilia altrettanto stupida quanto il suo contrario. Una sorta
di riedizione soft della lotta di classe, perché in fondo l’ossessione
«hegeliana» di certa gente è che ci siano sempre dei servi e dei padroni. Ma
ciò che sconcerta, anzi, deprime, è che a vendersi l’anima sia stata
un’esponente di spicco di quel partito, che dovrebbe rappresentare almeno, in
tempi di crisi dei consensi, un rifugio per chi in quella sottocultura non si
riconosce. Mara Carfagna, in fondo, continua a fare quello che ha sempre fatto:
spettacolo. E per restare alla ribalta, bisogna piacere. E per piacere, si deve
anche passare con disinvoltura da affermazioni risolutamente conservatrici, del tipo: «Non c’è nessuna
ragione per la quale lo Stato debba riconoscere le coppie omosessuali, visto
che costituzionalmente sono sterili» (semmai lo sono «costitutivamente»,
peraltro); a un pubblico mea culpa al
cospetto di Paola Concia: «Per avermi aiutata a sfondare il muro della
diffidenza della quale penso di essere stata allo stesso tempo vittima e
inconsapevole responsabile, in un passato remoto, ormai ampiamente superato».
Questa è la democrazia italiana:
un mercato di voti, per vendere i quali bisogna farsi pubblicità, andare
incontro alle esigenze del consumatore. «Sono come tu mi vuoi», cantava Mina. Con
queste bullshits – per non dire
stronzate; il termine è di Obama e quindi ormai è sdoganato – la Carfagna si
guadagna il trafiletto sul giornale, l’agenzia, l’articolo on line che rimbalza
sui social network, nel gaudio magno di chi ufficia il culto del politicamente
corretto. Un quarto d’ora di celebrità e un seggio in Parlamento.
Pubblicato il 23 novembre 2012
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