di Giuliano Guzzo
Anche quando il sospetto che la verità seguiti a
sfuggire è alto – anzi, soprattutto allora – è giusto provare ad ordinare i
fatti affinché tassello dopo tassello, possano prima o poi dar
vita al mosaico della logica. Per questo, pur nella complessità di trame ed
ombre, appare non solo possibile bensì doveroso interrogarsi su Via D’Amelio e
sul suo mistero, lungo ormai vent’anni.
Chi volle la morte di Paolo Borsellino? Chi
eliminò lui e cinque dei suoi sei uomini di scorta? Chi pianificò quella
strage? Al di là di mille sfumature, le domande centrali sono queste. Domande
sulle quali, nel tentativo di non divagare, cercheremo di soffermarci.
Tuttavia, per procedere senza far confusione ci pare opportuno distinguere tre
nuclei tematici che analizzeremo separatamente: a) l’intervista rilasciata da
Borsellino a due giornalisti francesi; b) la scomparsa dell’agenda rossa; c) la
“trattativa” e le vere ragioni della strage.
L’intervista
Cominciando con l’intervista fatta al giudice da
due giornalisti francesi poco prima di un’altra strage, quella di Capaci,
urgono subito dei chiarimenti. Sì perché questa intervista, com’è noto, viene
da molti considerata la “prova regina” dell’interesse investigativo di
Borsellino nei confronti di Dell’Utri e Berlusconi. Quando invece fu l’esatto
contrario. Furono infatti i due giornalisti, prima di incontrare il giudice, ad
avvisarlo che sarebbero stati interessati a quell’argomento; il che è
completamente diverso. E una conferma ci viene dalle stesse parole di
Borsellino che in quella intervista – facilmente reperibile sul web –
precisa più volte di non conoscere nel dettaglio ciò che riguarda la posizione di
Dell’Utri e Berlusconi e Mangano[1].
Tuttavia, un mistero su quel video c’è davvero e
riguarda la consegna (di assai dubbia legalità) che Borsellino fa ai due
giornalisti di materiale cartaceo che lui stesso afferma di aver estratto in
copia dall’archivio della procura. Materiale che riguarda naturalmente
Berlusconi, Dell’Utri e Mangano. Attenzione: detta consegna da parte di
Borsellino si è certamente verificata, come documenta un filmato, ancorché
eseguito a insaputa di Borsellino [2]. Il punto è che, secondo quando si evince
dal filmato, il titolare di quella inchiesta riservata era il giudice
Guarnotta. Lo stesso che, anni dopo, condannerà in primo grado per concorso
esterno Marcello Dell’Utri. Normale quindi che Dell’Utri, vedendo dopo anni nel
video dell’intervista quel documento nelle mani di Borsellino, sia saltato
sulla sedia ed abbia presentato ricorso per l’annullamento del suo processo: se
infatti, come risultava dalle parole di Borsellino, Guarnotta lo aveva già
indagato, allora era incompatibile a giudicarlo in Corte d’Assise, e pertanto
il processo era nullo. Ma Dell’Utri a quel punto ricevette dal procuratore
generale Gatto una risposta spiazzante: spiacente, caro Dell’Utri, ma
quell’inchiesta non esiste, non è mai esistita né risulta essere stata mai
contenuta nel nostro archivio.
Qui si aprono diversi interrogativi: ma che fine
ha fatto, allora, l’inchiesta di cui parlava Borsellino ai francesi? E’ stata
fatta sparire impropriamente dagli archivi dopo la sua morte, o è stato
lo stesso Borsellino, suo malgrado, ad essere stato tratto in inganno da
qualcuno che gli fece trovare del materiale falso? Del resto, desta molta
curiosità l’insistenza con la quale i due giornalisti hanno inteso fare il
terzo grado a Borsellino su un’inchiesta che non conosceva (e che per la
verità, pare non conosca nessuno, ma proprio nessuno), arrivando persino al
punto di ordinargli “alla carta” una copia illegale di documenti riservati. [3]
Una stampa d’archivio soggetta al riserbo istruttorio per la cui consegna
– essendo stato ripreso con la telecamera a sua insaputa, durante questa
consegna – egli poteva rischiare come minimo un’azione disciplinare dal Csm.
Un mistero, questo, che rimane. E che forse sarebbe risolvibile se l’autore
dell’intervista Fabrizio Calvi (il secondo, Moscardo, è deceduto un paio
d’anni fa) si decidesse a produrre le carte ricevute da Borsellino, o
comunque anche solo a mandarle alla stampa su qualche giornale, cosa che,
chissà come mai, a distanza di tanti anni non si è mai sentito in dovere di
fare.
La scomparsa dell’agenda rossa
Questo, a detta di molti, è l’aspetto più
delicato di Via D’Amelio. E’ infatti opinione diffusa che Borsellino avesse
nella sua agenda rossa regalatagli dai Carabinieri appunti scottanti che gli
sarebbero costati la vita. Ora, per evitare di perderci nel labirinto delle
congetture, è bene attenerci ai fatti che conosciamo. E i fatti dicono questo:
che il giudice aveva quell’agenda e che vi appuntava le note strettamente
connesse al suo lavoro. Di conseguenza sarebbero indubbiamente molti gli
aspetti che potrebbero essere chiariti da una eventuale ri-comparsa
dell’agenda. Compreso quello riguardante l’intervista con i due francesi, le
loro richieste e magari i colleghi con i quali Borsellino aveva parlato dell’inchiesta
su Berlusconi e Dell’Utri. Quell’inchiesta “fantasma” di cui dicevamo poc’anzi.
Dunque è evidente la straordinaria utilità documentale che avrebbe, se
fosse disponibile, il diario di bordo di Borsellino. Il fatto è che purtroppo
non solo è sparito, ma neppure sono stati individuati – dopo tanti processi ed
indagini – coloro che avrebbero potuto impossessarsene. La prudenza ci
consiglia dunque di non scrivere altro su un argomento, come abbiamo detto,
estremamente rilevante ma sul quale c’è poco da dire.
La “trattativa” e le vere ragioni
della strage.
Al pari dell’agenda rossa, un tema che molti
considerano centrale per spiegare Via D’Amelio è la scoperta che Borsellino
avrebbe fatto di una “trattativa” tra mafia e apparati/funzionari dello Stato.
Ipotesi senza dubbio suggestiva ma del tutto priva di riscontri. Infatti il
giudice non parlò mai ad alcuno di questo argomento.
Non ne parlò alla moglie, Agnese Piraino Leto, la
quale – pur non potendo «escludere che egli fosse venuto a conoscenza di
una vicenda del genere» e volutamente non «l’avesse riferita» –
afferma a chiare lettere: «Non ho mai ricevuto tale tipo di confidenza da
Paolo, che mai mi riferì di trattative in atto tra Cosa Nostra e appartenenti
al Ros e ai servizi “deviati”» [4].
Non ne parlò a Carmelo Canale, carabiniere che
stimava al punto da chiamare “fratello” e che, a proposito di questa ipotesi,
dice:«Macché trattativa» [5].
Non ne parlò al magistrato Antonio Ingroia, che
pure incontrò Borsellino dopo Capaci e poco prima di Via d’Amelio, e al quale
Borsellino manifestò ben altri interessi come lo stesso Ingroia, sentito nel
corso processo Borsellino bis dalla Corte d’assise di Caltanissetta nel
novembre 1997, affermò: «Borsellino era fondamentalmente e primariamente
mosso da un’esigenza: l’esigenza di cercare di individuare i responsabili della
strage di Capaci, per individuare, appunto, i responsabili della morte del
proprio carissimo amico Giovanni Falcone» [6].
Di “trattativa” Borsellino non parlò neppure a
nessuno dei presenti alla cena alla quale partecipò il 16 luglio – meno di tre
giorni prima di morire – in compagnia dei colleghi Guido Lo Forte,
Gioacchino Natoli, e dell’ex ministro Carlo Vizzini, il quale riferisce che «durante
quella cena il magistrato cercava un confronto sugli affari che la mafia stava
facendo con pezzi importanti dell’imprenditoria nazionale» [7].
A questo punto, i sostenitori della teoria della
“trattativa” possono ribattere ricordando il fatto che Borsellino, ai primi di
luglio, uscì sconvolto dall’incontro con il ”pentito” Gaspare Mutolo gli
avrebbe preannunciato scottanti «rivelazioni». Talmente sconvolto – si
dice – da fumarsi due sigarette alla volta. Ebbene, ignoriamo ciò
Mutolo disse a Borsellino, ma possiamo ricordare, tanto per evitare enfatizzazioni
su dettagli di per sé non così fondamentali, che non è vero che il
magistrato ascoltando il “pentito” si sia messo, preso da
nervosismo, a fumare due sigarette alla volta: era infatti sua abitudine
di fumatore incallito accendersi la sigaretta successiva mettendola a contatto
con il mozzicone della precedente.
Anche qui, quindi, la teoria della
“trattativa” vacilla, mentre rimane più che mai solida quella – suffragata da
molteplici testimonianze – che vede Borsellino dedicare gli ultimi giorni della
sua vita al dossier mafia e appalti. Un dossier di cui, poco prima di morire, parlava
a cena con i colleghi. Un dossier sul quale, prima di lui, lavorava
anche Giovanni Falcone. Un dossier che, nel suo troncone più
interessante, appena tre giorni dopo Via D’Amelio fu tempestivamente mandato
all’archivio dai suoi colleghi.
Insomma, appare quanto mai probabile che alla
base della morte di Borsellino (come di quella di Falcone) ci sia stata
quell’indagine scomoda, che doveva sparire ad ogni costo. Il che, oltretutto,
spiega anche la somiglianza degli attentati di Capaci e Via d’Amelio, per molti
versi simili ma del tutto atipici per Cosa Nostra. Come se non bastasse,
esistono anche rivelazioni di collaboratori di giustizia che confermano come la
morte di Falcone e Borsellino fosse stata decisa molto tempo prima di quella
bollente estate del ’92. L’ultima confessione in questo senso è quella del
pentito Antonino Giuffrè il quale, lo scorso 6 giugno, davanti al Gip di
Caltanissetta ha spiegato che la decisione di uccidere Falcone e Borsellino era
già stata presa a metà degli anni Ottanta [8], e che, in una riunione di fine
‘91, la mafia decise di non rimandare più. Un ulteriore elemento, questo,
che induce ad andarci cauti con il parlare della “trattativa” come movente
dell’omicidio di Borsellino.
Ciò nonostante, in questa storia restano molti
misteri. Anzitutto quello dell’intervista ai francesi e dell’inchiesta
“fantasma” che Borsellino trovò (o che gli fu fatta trovare). Poi quello
dell’agenda rossa, che se fosse trovata – come abbiamo detto – potrebbe forse
contenere appunti utili per capire, fra le altre cose, chi chiese al giudice,
convincendolo a farlo, di farsi carico di quella fuga di notizie dall’archivio
della procura, e che cosa esattamente gli venne chiesto di fare. E’
infatti un dato oggettivo che quel filmato, con Borsellino vivente, avrebbe
rappresentato per lui e per la sua carriera una subdola minaccia essendo di
fatto una potenziale arma di ricatto, mentre una volta morto il giudice il nastro
fu sepolto e non utilizzato in televisione, salvo riesumarlo poi per la
fabbricazione di uno squallido e menzognero lavoretto di collage,
piazzato come una mina nei pressi dell’elezione di Berlusconi del 2001. Su
questo fatto si dovrebbe quindi fare piena luce. E infine “via d’Amelio”,
strage che, dopo fior di processi, rimane avvolta nel mistero per quanto
riguarda i suoi pianificatori, anche se pare più che probabile che il loro
scopo precipuo sia stato quello di liberarsi di un magistrato coraggioso
che, diversamente, nelle sue inchieste non si sarebbe mai fermato. Ed avrebbe
indagato con tutte le sue forze pur di scoprire gli autori della morte del suo
amico Giovanni, anche lui eliminato perché scomodo, determinato, coraggioso. Ed
il coraggio, si sa, può fare molta paura. A volte anche più delle bombe.
[1] Molto significative sono, al riguardo, le
parole di Borsellino quando afferma: «NON LE SAPREI DIRE in proposito.
Anche se, dico, debbo far presente che come magistrato ho una certa ritrosia a
dire le cose di cui NON SONO CERTO […] Questa vicenda che riguarderebbe i suoi
rapporti con Berlusconi è una vicenda – che la ricordi o non la ricordi -,
comunque è una vicenda che NON MI APPARTIENE». Per chi volesse
approfondire il tema dell’intervista a Borsellino, si segnalano due
interessanti link: http://segugio.daonews.com/2012/06/01/le-12-inquietanti-irrisolte-questioni-sulla-famosa-intervista-a-paolo-borsellino/
e http://segugio.daonews.com/2012/03/13/ancora-sullintervista-a-paolo-borsellino/
[2]http://www.youtube.com/watch?v=DRD4k2PM3uA&lc=nVHa81Khw95coXZUlV2k2oDaKmCvJPUX6upOAPHgdg&feature=inbox,
in particolare da 1:16:35 in poi.
[3] Si veda la prima nota.
[5] Canale C. cit. in . Arena R. Dopo 14 anni ho vinto contro gli
intoccabili pentiti, adesso pretendo le scuse da chi ha sbattuto in finto
mostro in prima pagina. «Panorama», 22/7/2010, p. 31.
[6] Processo
Borsellino bis – Corte d’assise di Caltanissetta. Audizione di Antonio Ingroia.
Udienza del 12 novembre 1997: http://www.ipezzimancanti.it/download/ingroia.pdf
[7] Vizzini C. intervistato in Fusani C. «Quella cena con Paolo tre giorni
prima della strage. Temeva di avere poco tempo». «L’Unità», 20/7/2010, p.
13.
Pubblicato il 19 luglio 2012

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