15 novembre 2018

Le preghiere ritradotte e i limiti della riforma liturgica

di Francesco Filipazzi
L'assemblea della Cei ha approvato la terza edizione del messale in italiano, suscitando vivo interesse per via delle nuove traduzioni del Padre Nostro, ampiamente prevista, accanto a quella del Gloria, inaspettata.

Già mesi fa dicemmo che questi cambi di traduzioni lasciano straniti e che, nei fatti, certificano la volontà di mettere tutto in discussione, per mantenere la Chiesa in uno stato di rivoluzione permanente.

Nelle traduzioni delle due preghiere però c'è anche un ulteriore elemento su cui riflettere. Nei fatti, la necessità di dover aggiornare le traduzioni ogni tot anni per renderle più comprensibili alle orecchie dei laici, è la certificazione notarile del fallimento della messa in lingua volgare. Tralasciando la forma liturgica o l'orientamento dell'altare, l'abbandono stesso del latino risulta fallimentare perché il linguaggio parlato si evolve e le parole assumono e perdono significati nel volgere delle generazioni, nascono neologismi e alcuni vocaboli escono invece dall'uso comune. Il tentativo ingrato di rincorrere il linguaggio corrente porterà a stravolgere completamente tutto il messaggio che dovrebbe essere veicolato dalla Messa.

Nello specifico, le traduzioni proposte per Padre Nostro e Gloria saranno sicuramente filologicamente corrette, ma siamo sicuri che siano davvero utili alla comprensione del messaggio? Il Padre non induce la persona in tentazione, ma la abbandona? Come vediamo, ogni parola in italiano ha sfumature e significati cangianti, inoltrarsi su questo percorso, apparentemente obbligato dalla riforma liturgica degli anni '70, è sostanzialmente problematico.

In tutto questo, prendiamo atto che un vescovo, di cui non si conoscono le generalità, all'assemblea  Cei avrebbe attaccato frontalmente il Motu Proprio Summorum Pontificum. Mentre nelle chiese si balla, si cantano e suonano buffonate, ci si dimena e via dicendo, sembra che il rito antico sia un problema per qualcuno e che il documento di Benedetto XVI non abbia fondamento giuridico. Posto che se dovessimo controllare il fondamento giuridico dei Motu Proprio, qualche canonista avrebbe qualcosa da dire riguardo ad alcuni fra i più recenti, il tentativo risibile di proporre nei fatti una marcia indietro sulla liturgia tridentina tradisce un notevole distacco dalla realtà. Ignorare che centinaia di miglia di persone in tutto il mondo sono ormai legate al messale antico e che attorno ad esso sono nate comunità e centinaia di vocazioni, vuol dire negare un pezzo di Chiesa viva e attiva. Chi ha attaccato il Summorum Pontificum farebbe meglio a guardarsi intorno.


 

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