17 luglio 2018

Non chiamatela "Futbolstrojka"

di Matteo Donadoni
In attesa della ripresa dei campionati di calcio – cioè del football vero – la gente si è sollazzata con una pantomima chiamata “Campionato Mondiale di Calcio” o qualcosa del genere. La manifestazione quest’anno si è tenuta nella Russia di Putin, come tutti sanno. È stata l’unica cosa positiva dell’evento.
In Russia. Il calcio in Russia arriva alla fine dell'800 portato, of course, da Inglesi e Scozzesi a Pietroburgo e a Mosca e subito viene accolto con entusiasmo. Però con la Rivoluzione bolscevica nasce l'Unione Sovietica e il gioco arrivato dall'Inghilterra è visto con sospetto: per il Partito Comunista lo sport dovrebbe essere praticato per il proprio benessere fisico, non in maniera competitiva e quindi individualistica, come usano i reazionari. Il calcio, inoltre, paga la considerazione che alcuni membri di spicco del governo hanno riguardo a dribbling e finte, gesti tecnici considerati ingannevoli e dunque poco comunisti.
Oggi però in tribuna non c’è Stalin a vedere partite surreali fra ferrovieri ed esercito, ma Putin, che abbiamo visto allargare le braccia davanti al re saudita Salman nella partita d’esordio come a dire: “e che ci debbo fare se non sapete giocare?”. Il presidente russo è stato il vero vincitore del mondiale, che è cominciato con il suo discorso censurato dalle tv occidentali ed è finito sempre con lui sotto l’ombrello mentre il “presidente per caso” Macron e la presidente della Croazia si infradiciavano sotto il temporale moscovita. Lo zar non si bagna neanche se piove. I giovani direbbero: “l’importanza di essere un Bomber”.
Per il resto, la solita solfa dei mondiali di calcio, manifestazione ormai totalmente priva di senso. Con la fine degli stati nazionali, queste formazioni appiccicaticce fra ragazzi che mal si sopportano fra loro lasciano il tempo che trovano, anzi, lasciano spazio a una domanda talmente ovvia e sacrosanta che è un peccato formularla: “Ma se tanto son tutti mescolati lo stesso, che cosa giochiamo a fare divisi per nazionali?”. La solita solfa: mentre noti che il Panama gioca inspiegabilmente senza cappello chiedendoti chi ha sparato a Mertens, come al solito la Germania ha perso in Russia. Il resto si è svolto nella sostanziale insignificanza calcistica di Neymar - come ben illustrato da Eric Cantona, un uomo da cui potrebbe imparare qualcosa il ragazzino con il piatto di spaghetti in testa – che fa il paio con quella decennale di Lionel Messi, che quando serve non c’è. Il fatto più importante, al netto della separazione della politica dal football, con la compagine “diversamente svizzera” che gongolava per l’eliminazione della Serbia (?), è che la Knattspyrnusambandið‏ (federazione Islandese) ha reso noto che il 99,6 % degli Islandesi ha seguito la propria nazionale in tv, gli altri erano in Russia. Così, mentre l’allenatore dell’Islanda, Heimir Hallgrímsson, che di professione è dentista, ha dovuto chiedere un permesso per andare in Russia, Messi si faceva parare un rigore da un regista (cinematografico) Hannes Þór Halldórsson, che fa il portiere della nazionale per hobby. La cosa mi convince sempre di più che i comunisti su una cosa avevano ragione: “lo sport non è una professione”. Abolire il football professionistico: vadano a lavorare e giochino per amore.

Sul fondo della bottiglia che ti sei scolato per cercare di “normalizzare” l’arrivo di Cristiano Ronaldo alla Juventus (che molti juventini non vogliono e ne vedremo delle belle) ti ritrovi che la Francia invece ha vinto, inspiegabilmente, senza avere uno straccio di gioco, così, un po’ di fondoschiena- ha battuto gli Wallabies solo grazie a un rimbalzo fortunato sul tiro di Pogba - un po’ di rimessa e con una squadra “diversamente francese”, bontà sua, contro una Croazia, ultima nazione in campo, che onestamente ha giocato meglio. Dispiace per l’allenatore Dalic e il suo rosario in mano. Dispiace dover sentir parlare di vittoria della società aperta multietnica della propaganda “macronita”, che nella cruda realtà significa invece festeggiamenti da bravi cristiani: 870 feriti, 2 morti, migliaia di veicoli bruciati, migliaia di negozi devastati. Ovviamente da parte di tutti quegli ex africani valore aggiunto, figli di africani veri che mezzo secolo fa bruciavano la bandiera francese in nome della libertà nominale dal colonialismo. Questi francesini oggi bruciano le macchine in nome forse di se stessi o più probabilmente dell’intelligenza che fu, senza nemmeno esserne consapevoli.
Fanno festa, so’ ragazzi.

Tranquilli, fra poco ricominciano i campionati.

 

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