di Enrico Roccagiachini
In questi giorni, non so perché, mi è tornata in mente la nota affermazione
del Card. Martini: la Chiesa è in ritardo di duecento anni. Mi è tornata in
mente perché mai come ora mi sembra palese che la minoranza al potere
nella Catholica si sia assegnata l’imperativo categorico di colmarlo,
questo grave ritardo.
Siccome, lo confesso, finora non l’avevo capito bene, ho cercato di
comprendere in che cosa esso consista; alla fine – ve la faccio breve, ma
se voleste potrei inserire una paginata di argomentazioni... – mi sono
convinto che la cosa stia in questi termini: in questi due secoli, la
cultura e la weltanschauung dominanti (che non sono necessariamente quelle
maggioritarie, ma quelle che, appunto, dominano, e determinano – o
impongono – la percezione collettiva dei “segni dei tempi”) hanno
individuato una certa serie di “valori”, o “diritti”, o “conquiste”, o come
altrimenti li si voglia chiamare, che per la Chiesa – cioè per il Vangelo –
non meritano promozione e sostegno, ma esecrazione e opposizione. Ve ne
cito alcuni, perché sono quelli attualmente nell’occhio del ciclone:
divorzio, contraccezione, aborto, eutanasia.
Tutte cose che la società – ma dovrei dire il mondo – approva e propone
come buone, e che la Chiesa, invece, condanna e indica come gravemente
peccaminose.
Ebbene: in questi duecento anni, su tali questioni, la frattura Chiesa /
mondo si è fatta davvero profonda; e come no, dato che concerne proprio
l’individuazione del bene e del male, nel senso che lo stesso oggetto
(poniamo: il divorzio e le conseguenti seconde nozze) nella prospettiva del
mondo va ascritto alla categoria “bene”, mentre per la Chiesa – cioè per
il Vangelo – alla categoria “male”.
Dunque occorre reagire, e sin qui siamo tutti d’accordo. Ma come?
A me sembra evidente che da alcuni decenni, forse da un secolo, una
porzione della Chiesa abbia interiorizzato l’idea di aver subito una
sconfitta – culturale, sociale, politica – definitiva ed irreversibile, e
abbia tentato, dunque, di trovare un modus vivendi in questa nuova
situazione. Potremmo chiamarla sindrome di Pétain, ma non divaghiamo.
Un primo passo in quella direzione (della convivenza con la sconfitta) è
stato chiamare questa frattura “ritardo”: siamo rimasti indietro, se non
riusciamo a convergere sul sistema valoriale del mondo è colpa nostra, la
società è andata avanti nella individuazione del bene e dei valori, ma la
Chiesa...
Dunque, dobbiamo ricalibrarci; e per ricalibrarci dobbiamo innanzi tutto
rinunciare alle condanne (c’entra il Concilio Vaticano II? Si, c’entra,
eccome! E anche qui potremmo stendere pagine e paginate): niente più
giudizi, ma solo incondizionata (leggi: acritica) misericordia. Quanto ai
valori, noi – per carità, ci mancherebbe altro... – continueremo a dire che
due più due fa quattro; ma a chi sostiene che faccia cinque o tre, al
massimo, e con molta riluttanza, contesteremo un errorino rosso, ma
certamente non lo proporremo per la bocciatura, se il compito in classe è
stato elaborato secondo le regole approvate dalla corrente visione della
matematica!
Ritardo recuperato? Ahimè, no, perché hanno continuato a staccarci: qui si
corre il rischio di rimanere indietro di altri cento anni – e sarebbero
trecento – senza nemmeno accorgersene!
Dunque bisogna migliorare strategia e tattica. Non basta più astenersi
dalla condanna, bisogna condividere l’approvazione. Anche se non è facile,
perché approvare ciò che si è condannato per circa duemila anni, non è
impresa da poco. Ci vuole molta determinazione, la ferrea volontà di usare
il potere, non bisogna guardare in faccia nessuno. Si tratta di
un’operazione di fatto rivoluzionaria, e la rivoluzione, si sa, non è un
pranzo di gala.
E così, veniamo all’attualità. E al nuovo approccio ai “temi caldi”. Il
divorzio e le seconde nozze? Il rifarsi la vita dopo il fallimento
coniugale? La seconda, terza o quarta chance? Le unioni magari non
esattamente eterosessuali? Non vorremo mica continuare a negare che siano
una cosa buona, come il mondo sostiene più o meno proprio da duecento
anni?!? E allora coraggio: inseriamo il fallimento matrimoniale tra le
cause di nullità, ma, soprattutto, amministriamo la Comunione ai bigami!
Così sarà chiaro che la Chiesa non solo non li condanna (non li condanna
già da un bel po’, in effetti), ma li benedice e li approva. Sono alla
legittima ricerca della felicità, il mondo li sostiene: dunque dobbiamo
sostenerli anche noi!
Poi c’è la questione dell’aborto. Questa è una grana ben più grossa. Perché
se il divorzio è già da un pezzo che non lo si condanna più o quasi,
l’aborto no, quello lo abbiamo condannato anche molto aspramente fino a
ieri, per non dire fino a questa mattina. Dunque a parole bisogna
insistere, e se ne parliamo dobbiamo ribadire la condanna, magari facendo
attenzione che il pubblico la pensi già più o meno come noi. Però il
famigerato ritardo possiamo provare a colmarlo anche quanto all’aborto: se
a parole non possiamo smettere di condannarlo, possiamo sicuramente
smettere di combatterlo a livello culturale, sociale e politico. E, se
abbiamo un po’ di potere, possiamo provare ad imporre a tutti questa linea.
Con buona pace di chi pensi ancora che la Chiesa sia la miglior alleata di
chi la battaglia continua a combatterla: purtroppo non è così, ahimè. In
certi casi si ha addirittura la tentazione di parlare di sabotaggio; anche
se, grazie al Cielo, qualche Conferenza episcopale, oltre i flutti
dell’oceano, ci lascia tuttora sperare.
Di contraccezione ed eutanasia non parlo: leggete i giornali, è
sufficiente.
Dunque ci siamo: dislivello bisecolare in via di recupero. Magari non
esattamente nella direzione giusta, specie considerando che fino a poco
tempo fa avevamo un Papa che – contrariis quibusvis non obstantibus –
segnava anch’egli un gap di duecento anni: di anticipo...
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