22 marzo 2013

Legittimità della pena di morte


di Enrico Maria Romano

Negli ultimi 10 anni in molti casi le autorità politiche di uno dei tanti Stati del pianeta hanno comminato delle condanne a morte (cfr. gli esempi di Saddam Hussein e di Tarek Aziz, di Bin Laden, di vari serial killer in America, e casi simili). A prescindere dal contesto a cui si riferivano queste condanne capitali, alcuni portavoce cattolici molto altolocati hanno osato dire pubblicamente più o meno così: “la posizione della Chiesa sulla pena di morte è chiara”, intendendo – incredibilmente e contro 20 secoli di Magistero – che la fede cristiana sarebbe sempre e comunque contraria, per principio, a quella pena.

Come si fa a dire che la Chiesa è contraria alla pena di morte di per sé? Lo si può solo adottando quell’ermeneutica della discontinuità e della rottura che circa 7 anni fa denunciava lucidamente Benedetto XVI. Egli diceva che, se la rottura avesse prevalso, il Concilio stesso sarebbe stato esautorato, in quanto esso o viene fondato solidamente sulla Tradizione dogmatica ininterrotta, oppure si auto-elide e dunque viene a cadere.

Il più recente Catechismo della Chiesa cattolica (prima edizione del 1992, edizione definitiva riveduta e corretta del 1997, la quale fa testo) parla della pena di morte al n. 2267, ma in molti paragrafi vi si trovano argomenti analoghi, come la legittima difesa (nn. 2263-2266), la guerra giusta (n. 2309), etc. etc.
Il Catechismo, dunque, scrive: “L’insegnamento tradizionale della Chiesa non esclude, supposto il pieno accertamento dell’identità e della responsabilità del colpevole, il ricorso alla pena di morte, quando questa fosse l’unica via praticabile per difendere efficacemente dall’aggressore ingiusto la vita di esseri umani. Se invece, i mezzi incruenti sono sufficienti per difendere dall’aggressore e per proteggere la sicurezza delle persone, l’autorità si limiterà a questi mezzi, poiché essi sono meglio rispondenti alle condizioni concrete del bene comune e sono più conformi alla dignità della persona umana. Oggi, infatti, a seguito delle possibilità di cui lo Stato dispone per reprimere efficacemente il crimine rendendo inoffensivo colui che l’ha commesso, senza togliergli definitivamente la possibilità di redimersi, i casi di assoluta necessità di soppressione del reo ‘sono ormai molto rari, se non addirittura inesistenti’” (n. 2267, corsivi miei).

E’ evidente che, per non cadere nell’ottica della discontinuità, così tipica del post-concilio, è bene fare una retta esegesi del testo. La frase principale del documento è quella da me sottolineata ed essa si collega alla tradizione magisteriale della Chiesa. Tutto il resto, subordinate e coordinate, fa parte dell’aggiornamento pastorale, di suo né dogmatico, né definitivo. Infatti che senso ha dire “oggi a seguito delle possibilità di cui lo Stato dispone”? “Oggi” indica qualcosa di relativo e contingente, dunque di non fisso e sicuro. Infatti l’oggi del testo ormai è vecchio di circa 20 anni! E poi quale Stato dispone di certe possibilità “per reprimere efficacemente il crimine”? L’Italia o l’Angola, l’America o il Mozambico? Uno Stato legalmente costituito sarebbe alla pari di uno Stato sotto scacco del terrorismo? Chi può giudicare meglio in materia: i teologi compilatori di un catechismo o le autorità politiche di un paese? Possiamo pure concedere che oggi i casi di stretta necessità della pena capitale siano “rari”, ma domani? E dopodomani?

Negli anni ’90 alcuni esponenti democratici degli Stati Uniti volevano accreditarsi agli occhi dei cattolici con un ragionamento simile. Dicevano, infatti: “E’ vero che noi siamo per l’aborto, al contrario dei repubblicani, ma loro sono per la pena di morte, e noi no”. Ma proprio il cardinal Ratzinger in varie interviste ribadì l’asimmetria totale tra i due temi. L’aborto è un delitto abominevole, semper et pro semper, la pena di morte è una pena non illegittima della cui utilità pratica deve giudicare il legislatore in base a vari elementi sociali e culturali.

Non dimentichiamoci mai che la liceità della pena di morte per gravi delitti, anche religiosi, fu ammessa comunemente dai Padri della Chiesa (tra cui spicca per autorevolezza s. Agostino), dai grandi Medievali (s. Alberto, s. Bonaventura, Scoto e soprattutto s. Tommaso, che ne difende la legittimità in decine di passaggi), dai Moderni (il Gaetano, il Bellarmino, s. Carlo Borromeo, s. Alfonso, etc.) fino ai contemporanei (il beato Rosmini, il beato Newman, s. Giovanni Bosco, il card. Gasparri, etc.). Soprattutto teniamo a mente il fatto che la pena di morte si situa all’interno del Sacro Deposito della Rivelazione cristiana, non certo nell’ambito della fede, ma senza dubbio in quello della morale. E infatti il Sommo Magistero della Chiesa si espresse tante volte in materia, dando ad intendere chiaramente che sostenere la tesi della illiceità assoluta era un chiaro segno di eterodossia. Nelle condanne a certi eretici, la Chiesa censurò non a caso anche il fatto che costoro fossero contrari per principio alla pena capitale (cfr. le condanne di Innocenzo III ai valdesi, di Leone X ai luterani, etc.).

Ma per rimanere in materia di catechismi, i due catechismi che hanno preceduto quello del 1997 furono quello di s. Pio X (pubblicato nel 1912) e quello detto Tridentino (nel secolo XVI). Il Catechismo post-conciliare deve essere letto in continuità cogli altri, sennò il suo valore si perde, come ci ha insegnato Benedetto XVI. Ed entrambi i testi ammettono chiaramente la legittimità di quella pena e la sua non-difformità dall’insegnamento morale cattolico. E allora? Allora ci troviamo con un tipico caso di “dottrina post-conciliare” in cui, come disse il Papa emerito, continuità e discontinuità si collocano a livelli diversi. La continuità è nella sostanza e di fondo (nel caso specifico: la legittimità della pena di morte), la discontinuità sta nel linguaggio e nell’attenzione pastorale all’uomo di oggi. Ma quest’ultima esigenza, se non si vuole snaturare la morale, il dogma e tutto il cristianesimo, deve esser sottomessa alla dottrina. L’auspicio è che si faccia una nuova edizione del Catechismo in cui si rafforzi il dogma e la chiarezza, e si sottragga tutto ciò che lo attenua.

E’ poi evidente che ammettere il principio della legittimità della pena capitale (in principio o in sé) non significa giustificarne un uso esagerato o illimitato, oppure volerla automaticamente reintrodurre laddove è stata soppressa. Significa però insegnare chiaramente che la Chiesa non cambia opinione, l’essere umano (colpevole) non è un assoluto, la religione non si adatta ai mutevoli tempi, e che tutte le innumerevoli volte che Pastori e santi ne ammisero l’uso (da s. Pio V che voleva personalmente presiedere ai roghi pubblici sino al beato Pio IX che non concesse la grazia ai terroristi Monti e Tognetti) non fecero nessun male, neppure minimo, ma semplicemente furono buoni cristiani.
 

6 commenti :

  1. ma anntevene in Iran, in Cina, in Usa. La chiesa non cambia opinione? studia un po' di storia va va..come se la chiesa del IV sec d.C fossa uguale a quella del XII secolo o uguale a quella del XVI secolo o uguale a quella del 2013. Leggi, leggi.. sperando che il tuo amato mastro Titta taprisse la testa con na scure e te ficcasse un po' di saggezza...ancora nel 2013 sentire ste cazzate.

    RispondiElimina
  2. Di fronte a simili dotte argomentazioni in difesa dell'assoluta necessita di sopprimere con allegri roghi gli eretici data l'impossibilità che avevano i poveri eserciti papali di rendere inoffensivi simili criminali, e, cosciente che il godimento dello spettacolo di un bel rogo di eretici o streghe sia caratteristica peculiare dell'animo del buon cristiano, posso solo rallegrami e proclamare impunito che "Grazie a Dio sono ateo".

    RispondiElimina
  3. Sopra di me due commenti inutili.
    Tre con il mio.

    RispondiElimina
  4. d'accordo su tutto, punto per punto.
    l'unica cosa che mi sembra fuoriluogo è "auspicare" modifiche del CCC. Non è corretto da parte di chi vuole modificare la continuità del contenuto, idem dicasi per chi vuole suggerire cosa mettere in evidenza.
    S.

    RispondiElimina
  5. "i terroristi monti e tognetti"
    è esplosiva: un talento sprecato il tuo; ma sei quello che esercita a san giovanni? se sì la calabria ha veramente un'arma finale, nella giurisprudenza.

    RispondiElimina
  6. se si tratta di un avvocato la storia non è il suo forte

    RispondiElimina