di Enrico Maria Romano
Negli ultimi 10 anni in molti casi le autorità politiche di uno dei tanti Stati del pianeta hanno comminato delle condanne a morte (cfr. gli esempi di Saddam Hussein e di Tarek Aziz, di
Bin Laden, di vari serial killer in America,
e casi simili). A prescindere dal contesto a cui si riferivano queste condanne
capitali, alcuni portavoce cattolici molto altolocati hanno osato dire pubblicamente
più o meno così: “la posizione della Chiesa sulla pena di morte è chiara”,
intendendo – incredibilmente e contro 20 secoli di Magistero – che la fede
cristiana sarebbe sempre e comunque contraria, per principio, a quella pena.
Come si fa a dire chela Chiesa è contraria alla
pena di morte di per sé? Lo si può solo adottando quell’ermeneutica della
discontinuità e della rottura che circa 7 anni fa denunciava lucidamente Benedetto XVI. Egli diceva che, se la rottura avesse prevalso, il Concilio
stesso sarebbe stato esautorato, in quanto esso o viene fondato solidamente
sulla Tradizione dogmatica ininterrotta, oppure si auto-elide e dunque viene a
cadere.
Come si fa a dire che
Il più recente Catechismo della Chiesa cattolica (prima edizione del 1992, edizione definitiva riveduta e corretta del 1997, la quale fa testo) parla della pena di morte al n. 2267, ma in molti paragrafi vi si trovano argomenti analoghi, come la legittima difesa (nn. 2263-2266), la guerra giusta (n. 2309), etc. etc.
Il Catechismo, dunque, scrive: “L’insegnamento tradizionale della Chiesa non
esclude, supposto il pieno accertamento dell’identità e della
responsabilità del colpevole, il ricorso
alla pena di morte, quando questa fosse l’unica via praticabile per
difendere efficacemente dall’aggressore ingiusto la vita di esseri umani. Se
invece, i mezzi incruenti sono sufficienti per difendere dall’aggressore e per
proteggere la sicurezza delle persone, l’autorità si limiterà a questi mezzi,
poiché essi sono meglio rispondenti alle condizioni concrete del bene comune e
sono più conformi alla dignità della persona umana. Oggi, infatti, a seguito delle
possibilità di cui lo Stato dispone per reprimere efficacemente il crimine
rendendo inoffensivo colui che l’ha commesso, senza togliergli definitivamente
la possibilità di redimersi, i casi di assoluta necessità di soppressione del
reo ‘sono ormai molto rari, se non addirittura inesistenti’” (n. 2267, corsivi
miei).
E’ evidente che, per non cadere
nell’ottica della discontinuità, così tipica del post-concilio, è bene fare una
retta esegesi del testo. La frase principale del documento è quella da me sottolineata ed essa si collega alla tradizione magisteriale della Chiesa. Tutto il resto,
subordinate e coordinate, fa parte dell’aggiornamento pastorale, di suo né
dogmatico, né definitivo. Infatti che senso ha dire “oggi a seguito delle possibilità di cui lo Stato dispone”? “Oggi” indica qualcosa di relativo e contingente,
dunque di non fisso e sicuro. Infatti l’oggi
del testo ormai è vecchio di circa 20 anni! E poi quale Stato dispone di certe possibilità “per reprimere efficacemente il
crimine”? L’Italia o l’Angola, l’America o il Mozambico? Uno Stato legalmente
costituito sarebbe alla pari di uno Stato sotto scacco del terrorismo? Chi può
giudicare meglio in materia: i teologi compilatori di un catechismo o le
autorità politiche di un paese? Possiamo
pure concedere che oggi i casi di
stretta necessità della pena capitale siano “rari”, ma domani? E dopodomani?
Negli anni ’90 alcuni esponenti democratici
degli Stati Uniti volevano accreditarsi agli occhi dei cattolici con un
ragionamento simile. Dicevano, infatti: “E’ vero che noi siamo per l’aborto, al
contrario dei repubblicani, ma loro sono per la pena di morte, e noi no”. Ma
proprio il cardinal Ratzinger in varie interviste ribadì l’asimmetria totale
tra i due temi. L’aborto è un delitto abominevole, semper et pro semper, la pena di morte è una pena non illegittima
della cui utilità pratica deve giudicare il legislatore in base a vari elementi
sociali e culturali.
Non dimentichiamoci mai che la liceità
della pena di morte per gravi delitti, anche religiosi, fu ammessa comunemente dai
Padri della Chiesa (tra cui spicca per autorevolezza s. Agostino), dai grandi
Medievali (s. Alberto, s. Bonaventura, Scoto e soprattutto s. Tommaso, che ne
difende la legittimità in decine di passaggi), dai Moderni (il Gaetano, il
Bellarmino, s. Carlo Borromeo, s. Alfonso, etc.) fino ai contemporanei (il
beato Rosmini, il beato Newman, s. Giovanni Bosco, il card. Gasparri, etc.).
Soprattutto teniamo a mente il fatto che la pena di morte si situa all’interno
del Sacro Deposito della Rivelazione cristiana, non certo nell’ambito della
fede, ma senza dubbio in quello della morale. E infatti il Sommo Magistero
della Chiesa si espresse tante volte in materia, dando ad intendere chiaramente
che sostenere la tesi della illiceità assoluta era un chiaro segno di
eterodossia. Nelle condanne a certi eretici, la Chiesa censurò non a caso
anche il fatto che costoro fossero contrari per principio alla pena capitale
(cfr. le condanne di Innocenzo III ai valdesi, di Leone X ai luterani, etc.).
Ma per rimanere in materia di catechismi, i due catechismi che hanno preceduto quello del 1997 furono quello di s. Pio X (pubblicato nel 1912) e quello detto Tridentino (nel secolo XVI). Il Catechismo post-conciliare deve essere letto in continuità cogli altri, sennò il suo valore si perde, come ci ha insegnato Benedetto XVI. Ed entrambi i testi ammettono chiaramente la legittimità di quella pena e la sua non-difformità dall’insegnamento morale cattolico. E allora? Allora ci troviamo con un tipico caso di “dottrina post-conciliare” in cui, come disse il Papa emerito, continuità e discontinuità si collocano a livelli diversi. La continuità è nella sostanza e di fondo (nel caso specifico: la legittimità della pena di morte), la discontinuità sta nel linguaggio e nell’attenzione pastorale all’uomo di oggi. Ma quest’ultima esigenza, se non si vuole snaturare la morale, il dogma e tutto il cristianesimo, deve esser sottomessa alla dottrina. L’auspicio è che si faccia una nuova edizione del Catechismo in cui si rafforzi il dogma e la chiarezza, e si sottragga tutto ciò che lo attenua.
E’ poi evidente che ammettere il principio della legittimità della pena capitale (in principio o in sé) non significa giustificarne un uso esagerato o illimitato, oppure volerla automaticamente reintrodurre laddove è stata soppressa. Significa però insegnare chiaramente chela
Chiesa non cambia opinione, l’essere umano (colpevole) non è
un assoluto, la religione non si adatta ai mutevoli tempi, e che tutte le
innumerevoli volte che Pastori e santi ne ammisero l’uso (da s. Pio V che
voleva personalmente presiedere ai roghi pubblici sino al beato Pio IX che non
concesse la grazia ai terroristi Monti e Tognetti) non fecero nessun male,
neppure minimo, ma semplicemente furono buoni cristiani.
Pubblicato il 22 marzo 2013
Ma per rimanere in materia di catechismi, i due catechismi che hanno preceduto quello del 1997 furono quello di s. Pio X (pubblicato nel 1912) e quello detto Tridentino (nel secolo XVI). Il Catechismo post-conciliare deve essere letto in continuità cogli altri, sennò il suo valore si perde, come ci ha insegnato Benedetto XVI. Ed entrambi i testi ammettono chiaramente la legittimità di quella pena e la sua non-difformità dall’insegnamento morale cattolico. E allora? Allora ci troviamo con un tipico caso di “dottrina post-conciliare” in cui, come disse il Papa emerito, continuità e discontinuità si collocano a livelli diversi. La continuità è nella sostanza e di fondo (nel caso specifico: la legittimità della pena di morte), la discontinuità sta nel linguaggio e nell’attenzione pastorale all’uomo di oggi. Ma quest’ultima esigenza, se non si vuole snaturare la morale, il dogma e tutto il cristianesimo, deve esser sottomessa alla dottrina. L’auspicio è che si faccia una nuova edizione del Catechismo in cui si rafforzi il dogma e la chiarezza, e si sottragga tutto ciò che lo attenua.
E’ poi evidente che ammettere il principio della legittimità della pena capitale (in principio o in sé) non significa giustificarne un uso esagerato o illimitato, oppure volerla automaticamente reintrodurre laddove è stata soppressa. Significa però insegnare chiaramente che
ma anntevene in Iran, in Cina, in Usa. La chiesa non cambia opinione? studia un po' di storia va va..come se la chiesa del IV sec d.C fossa uguale a quella del XII secolo o uguale a quella del XVI secolo o uguale a quella del 2013. Leggi, leggi.. sperando che il tuo amato mastro Titta taprisse la testa con na scure e te ficcasse un po' di saggezza...ancora nel 2013 sentire ste cazzate.
RispondiEliminaDi fronte a simili dotte argomentazioni in difesa dell'assoluta necessita di sopprimere con allegri roghi gli eretici data l'impossibilità che avevano i poveri eserciti papali di rendere inoffensivi simili criminali, e, cosciente che il godimento dello spettacolo di un bel rogo di eretici o streghe sia caratteristica peculiare dell'animo del buon cristiano, posso solo rallegrami e proclamare impunito che "Grazie a Dio sono ateo".
RispondiEliminaSopra di me due commenti inutili.
RispondiEliminaTre con il mio.
d'accordo su tutto, punto per punto.
RispondiEliminal'unica cosa che mi sembra fuoriluogo è "auspicare" modifiche del CCC. Non è corretto da parte di chi vuole modificare la continuità del contenuto, idem dicasi per chi vuole suggerire cosa mettere in evidenza.
S.
"i terroristi monti e tognetti"
RispondiEliminaè esplosiva: un talento sprecato il tuo; ma sei quello che esercita a san giovanni? se sì la calabria ha veramente un'arma finale, nella giurisprudenza.
se si tratta di un avvocato la storia non è il suo forte
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