01 dicembre 2019

Appunti sulla storia della musica sacra/29. Epoca carolingia

di Aurelio Porfiri
Nell’ottavo secolo possiamo assistere allo svilupparsi di temi che saranno in parte una eredità del secolo precedente. Abbiamo anche qui dei Romani Pontefici di origine greca, il che ci fa un pochino riflettere sul fatto se questa influenza greca, che si era diffusa di più anche grazie alle guerre iconoclaste e alla pressione degli invasori islamici, possa aver avuto qualche importanza nel canto liturgico. È tempo anche di tensione evangelizzatrice, come quella verso i popoli Germanici.

Si sono fatte varie ipotesi per dare una spiegazione riguardo l'origine di quello che oggi chiamiamo canto gregoriano, anche se sulla stessa poi, in realtà non sappiamo molto. Accreditata, specie dai musicologi di area francese, è l’ipotesi gallicana per cui un originale canto romano,  chiamato ora “romano antico” sarebbe stato portato nelle Gallie e lì elaborato dai cantori locali e poi trasformatosi in quello che oggi chiamiamo canto gregoriano. Certo che Carlo Magno nella sua Admonitio Generalis (23 marzo 789)imponeva l’ uso del cantum romanum seguendo gli usi stabiliti da suo padre Pipino.

Anche lo studioso Kenneth Levy, in un suo libro sulle origini del gregoriano in epoca carolingia, poteva affermare parlando del passaggio dalla fase orale alla fissazione in neumi:  "Questo libro considererà il passaggio del canto Gregoriano dalla trasmissione orale a quella scritta. Molto di ciò che è accaduto in questo passaggio rimane oscuro, come l'origine ultima risale in tempi "preistorici", prima che venissero usate le notazioni musicali, e anche gli inizi della trasmissione scritta sono "preistorici", nel senso che non sopravvivono documenti scritti. La prima prova documentale conservata, nella quale si usano le notazioni neumatiche, risale circa al '900. Anche se in esse il fattore scritto è solo quello minore. I neumi sono in mutua dipendenza con la memoria verbale, dove la memoria ha ancora il ruolo essenziale, tanto quanto durante i passaggi precedenti, di improvvisazione e senza notazioni. I neumi sono secondari, forniscono il profilo della sostanza melodica, che sono fissati e memorizzati abbastanza accuratamente, tuttavia se inutili se qualcuno non ha memorizzato la melodia completa"

Quindi, da una parte riconosce l’oscurità che circonda il processo che porta alla scrittura neumatica, dall’altra identifica correttamente il ruolo della memoria come preminente per capire i meccanismo dietro questo passaggio. Diceva infatti la musicologa Solange Corbin che “l’uomo medioevale non legge, ma ricorda”.  Giacomo Baroffio, dall’altra parte ci dice che la rappresentazione grafica di un canto non è una realtà sonora concreta, ma solo un ‘fantasma’ della stessa. Nel suo libro sul canto gregoriano, dom Daniel Saulnier afferma:
Nel corso della seconda metà dell'VIII secolo, inizia un avvicinamento fra il regno franco dei Pipinidi (Pipino il Breve, poi il figlio Carlo Magno) e il papato (Stefano II e i suoi successori). Questo avvicinamento è prima di tutto di ordine politico: i territori del papato sono minacciati dai Longobardi, mentre il giovane re dei Franchi è preoccupato di garantire una legittimità a un potere conquistato a viva forza. Pipino il Breve si impegna a proteggere i territori pontifici, mentre il papa viene in Francia con la sua corte, rinnova la consacrazione del re dei  Franchi (754) e soggiorna per parecchio tempo all’abbazia di San Dionigi. Queste circostanze permettono al nuovo sovrano di apprezzare gli usi liturgici romani. Pipino il Breve vede in essi un modo di garantire l’unità religiosa dei suoi territori e, attraverso ciò, di consolidare la loro unità politica. Decreta perciò l’adozione nel suo regno della liturgia romana e questa misura verrà energicamente reiterata da Carlo Magno. L'introduzione della liturgia romana implicava in pratica la soppressione del repertorio dei canti gallicani e la sostituzione con il repertorio romano. Vediamo così nelle corrispondenze e nelle cronache del tempo varie menzioni di richieste di invio di libri da Roma in Gallia. Invii di libri accompagnati da scambi di cantori, dato che il canto in quest’epoca non è ancora scritto: al massimo si potevano mandare libri con dei testi e senza melodia Ciò che si è prodotto allora, nella seconda metà dell’VIII secolo, nella Gallia franca, fra la Senna e il Reno (a Metz?), non ci è stato trasmesso da documenti scritti. I liturgisti e i musicologi hanno messo a confronto i libri romani (dei secoli XI-XIII) e i libri di canto gregoriano. Le loro conclusioni permettono di stabilire un’ipotesi altamente probabile. Al momento dell’incontro tra i due repertori gallicano e romano, si produsse un incrocio. Il testo dei canti romani, consegnato per iscritto in libri, era facile da imporre e divenne il testo di riferimento” (testo reperito in rete).

Altri, tra cui Baroffio stesso fanno altre ipotesi per le origini del canto gregoriano e la sua relazione con il romano antico. Certo che le fonti relative a quest’ultimo sono in realtà posteriori a quelle gregoriane, databili all’undicesimo secolo, come quel Graduale di Santa Cecilia in Trastevere del 1071.



 

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