Ha scritto G.K. Chesterton che «la ragione per cui gli angeli sanno volare è che si prendono con leggerezza». Tale è stata la mia impressione dopo la lettura del libro di Elena Inzaghi, all’esordio come scrittrice, dal titolo Il futuro è il mio mestiere. Sono, infatti, quelle che uno ha sottomano, pagine leggere e insieme solide e assai profonde. Il testo, con delicatezza e forza, si occupa della Scuola o, meglio, di coloro che ne sono i protagonisti. Quando si argomenta della Scuola italiana possono accendersi inevitabili discussioni, motivati da differenti punti di vista. Parlare dell’insegnamento scolastico significa, però, anzitutto parlare di giovani esistenze che si affacciano, in un’autonomia crescente, alla vita. Ed è quello che fa, con fine analisi e stile brillante, l’Autrice, la quale rilegge con oggettività i fatti, gli snodi, i modi tipici di comportamento dei ragazzi (benché ognuno di loro sia “unico”) che passano attraverso l’età adolescenziale.
La trama si concentra non su un giudizio (della Scuola in generale, dei professori o degli alunni), che se è presente non è per demonizzare, bensì per trovare via d’uscita per il bene comune, ma sull’ascolto teso a capire le nuove generazioni, ma non per cullarle nei loro limiti o nelle loro nevrosi. Essere, quindi, attenti per aiutare, per quanto sia possibile a un professore (o a un genitore oppure a un educatore a diverso titolo), a capire quali siano i passi giusti da far compiere non solo per salvare un anno scolastico, ma anche per dare senso all’esistenza. Da qui, il racconto – assai reale – di un ragazzo che entra in una profonda crisi con se stesso, che si trascura e, ovviamente, tralascia anche lo studio. E, dall’altra parte, una docente, la quale si allea strenuamente con i colleghi, con i genitori, con lo stesso studente chiuso e recalcitrante, al quale – ecco l’idea del libro – scrive una lunga lettera suddivisa a partire dall’anno scolastico (primo quadrimestre, intervallo, secondo quadrimestre, estate) e, insieme, come se si stesse gareggiando una partita di calcio (primo tempo, intervallo, secondo tempo, supplementari). L’alleanza educativa, però, non comporta sconti per nessuno: né per la professoressa stessa, che come insegnante deve mettersi sempre in discussione («il vero professore non inculca un sapere, ma dona quello che sa, non si limita a pretendere il rispetto di un dovere, ma condivide il suo piacere» p. 49); né per i genitori, troppo spesso presi da ansia di prestazione dei risultati dei figli o capaci di proiettare su di loro solo i propri personalissimi fallimenti (anche quando non sono tali): dei «“genitori-chioccia”, che non accettano la crescita dei figli e continuano ad accudirli come se fossero in fasce. Oppure dei “genitori-elicottero”, che devono avere sempre tutto sotto controllo, o di quelli “spazza-neve”, che pensano soltanto a rimuovere gli ostacoli dalle strade dei figli» (p. 30). Niente sconti pure per il protagonista del libro, che deve essere accompagnato ma con forza, se necessario. Dal rischio, infatti, di perdere un anno scolastico, inizia il tentativo di una rimonta per non buttare via del tempo prezioso. Da qui, un Manuale semiserio per genitori che vogliono provare a farcela (pp. 108-116) e Consigli in ordine sparso per lo studente che vuole rimontare (pp. 130-138).
Le pagine del libro, fotografando la realtà per quella che è (frutto, evidentemente, di anni di esperienza), consentono di intravedere la speranza consegnata al futuro, ma già attiva nel presente. Speranza, innanzi tutto, per chi insegna: «La verità è che [noi professori] non siamo onnipotenti e, prima di qualunque altra cosa, abbiamo bisogno di voi [alunni]. Spesso ci scoraggiamo perché pensiamo che tutto dipenda dalle nostre forze. E invece la vera forza si nasconde in voi ragazzi. Il nostro ruolo, il ruolo dell’educatore, è quello di aiutarvi a esprimere quello che avete dentro» (p. 49). Speranza per la vita dei giovani: studiare è bello – ecco la vera rivoluzione! –, perché «studiare rende liberi. Ci aiuta a capire chi siamo veramente, fuori dal gregge. Ci aiuta a comprendere le persone, al di là delle apparenze. A dare voce a quello in cui crediamo, ad argomentare le nostre opinioni, a vagliare quelle degli altri. A scegliere una felpa che ci piace davvero, non necessariamente quella in vetrina. A stare con le persone che ci interessano, che non sono necessariamente le più popolari. Ci insegna a far fatica e a divertirci, a conoscere la realtà e a immaginarne una diversa, a lavorare per realizzarla» (p. 27).
Un testo, quindi, quello di Elena Inzaghi da leggere e rileggere, adatto a tutti (anche per chi non ha più figli che frequentano la scuola dell’obbligo o per i ragazzi che ne sono già usciti) e, in particolare, per chi vive o sperimenta l’esercizio educativo.
Elena
Inzaghi, Il
futuro è il mio mestiere. Lettera di una professoressa a uno studente rimandato,
Solferino, Milano 2019, 159 pp.
Pubblicato il 18 giugno 2019

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