12 aprile 2019

Appunti sulla storia della musica sacra/22

di Aurelio Porfiri
Il liturgista benedettino Burkhard Neunheuser definisce il periodo che va dal quinto all’ottavo secolo, come quello della liturgia romana “pura”. Oramai il latino è molto diffuso. C’è lo sviluppo di elementi eucologici all’interno della liturgia. All’inizio, sempre secondo Neunheuser, ci fu spazio per l’improvvisazione e le preghiere meglio riuscite venivano poi elaborate anche da altri. Poi queste venivano raccolte nei libelli sacramenctorum, per le celebrazioni di date solennità. Poi questi libelli verranno raccolti nei Sacramentari, per le celebrazioni liturgiche nel corso dell’anno.

Abbiamo visto in questo secolo papa Celestino I (422-432) a cui una certa tradizione attribuisce l’introduzione dell’introito nella liturgia (una tradizione controversa, bisogna dire). Questo per un passaggio tratto dal Liber Pontificalis, raccolta medioevale non omogenea, di vite di Pontefici. A proposito di Celestino si dice: “ha emesso molti decreti, tra cui uno che prima del sacrificio, i 150 Salmi di David dovrebbero essere eseguiti antifonalmente da tutti; questo non veniva fatto prima, ma venivano recitati solo l'epistola di San Paolo e il santo vangelo”. Non c’è accordo su questo passaggio e anche se nel passato si era molto più in favore di vederlo come una testimonianza dell’introduzione dell’antifona di introito, oggi si dubita questo fatto.

Abbiamo Niceta di Remesiana, a cui alcuni attribuiscono la composizione del Te Deum. Egli ha due opere che ci parlano del canto liturgico, De vigilis servorum Dei e De utilitate hymnorum. Nel secondo troviamo questo passaggio: “Certamente l'Apostolo dice: "sii riempito dello Spirito mentre parli", ma io credo anche che egli libera la nostra bocca, scioglie le nostre lingue e apre le nostre labbra, perché è impossibile per gli uomini "parlare" senza questi organi; e così come il calore differisce dal freddo, così il silenzio differisce dalla parola. E poiché aggiunge "parlando in salmi, inni e cantici spirituali", non avrebbe menzionato "cantici spirituali" se avesse desiderato che coloro che "facevano la melodia" fossero del tutto silenziosi, poiché nessuno può cantare essendo assolutamente silenzioso. Quando dice, quindi, "nei vostri cuori", ammonisce a non cantare con la sola voce e senza l'attenzione del cuore; come dice in un altro luogo, 'canterò con lo spirito, canterò anche con la comprensione' (I Cor 14-15), cioè con voce e pensiero”.

Giovanni Cassiano (360-435), fu monaco e grande influenza sul monachesimo di San Benedetto. Nel suo De institutus coenobiorum, parlando dei salmi della decisione sul numero che se ne dovevano cantare, afferma: “E quando in diversi gradi si sforzano, ciascuno secondo i propri poteri, di fissare un numero enorme di Salmi, e alcuni erano per cinquanta, altri sessanta, e alcuni, non contenti di questo numero, pensavano che in realtà dovevano andare al di là di esso - c'era una così bella differenza di opinioni nella loro pia discussione sul governo della loro religione che il tempo per il loro ufficio dei Vespri arrivò prima che la sacra questione fosse decisa; e, mentre stavano celebrando i loro riti e le loro preghiere quotidiane, uno si alzò in mezzo a cantare i Salmi al Signore. E mentre erano tutti seduti (come è ancora consuetudine in Egitto), con le loro menti attentamente fissate sulle parole del cantore, quando aveva cantato undici salmi, separati da preghiere introdotte tra loro, versetto dopo versetto che veniva uniformemente enunciato, egli finito il dodicesimo con una risposta di Alleluia, e poi, con la sua improvvisa scomparsa dagli occhi di tutti, porre fine alla loro discussione e al loro servizio”. Insomma, un angelo aveva deciso per tutti.

 

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