09 marzo 2025

Eutanasia e tranello radicale



Di Francesco Filipazzi 

Passato qualche tempo dalle polemiche suscitate nelle regioni italiane dalla proposta di legge della Fondazione Luca Coscioni riguardo il suicidio assistito, è ora necessario analizzare la situazione sia da un punto di vista morale che da un punto di vista politico, analizzando presupposti e conseguenze dell’introduzione dell’eutanasia in Italia. Discorso necessario affinchè anche nel centrodestra non si cada nei soliti tranelli cui i Radicali ci hanno abituati.

Premessa inutile ma doverosa sulla questione morale

Il discorso morale sulla liceità o meno di un’azione oggi risulta debolissimo, vivendo noi in una società relativista e priva di capisaldi, ma ci proviamo ugualmente sapendo che non convinceremo della nostra opinione nessuno che non ne sia già convinto.

É giusto però ribadire che, da un punto di vista strettamente morale, possiamo indorare la pillola quanto vogliamo, ma non potremo trovare una valida motivazione per dichiarare lecito la pratica eugenetica nota come “suicidio assistito”, la quale non ha nulla a che vedere con la conclusione di accanimenti terapeutici, già esclusi negli ospedali italiani (e anche, en passant, dalla Chiesa Cattolica, unico ente che oggi si pone ancora contro l’eutanasia).

Ponendo però il fatto che sia lecito “suicidare” il malato, qual è il criterio per valutare che la sua vita non valga più la pena di essere vissuta? Pongo alcune questioni:

– la decisione può essere in capo al malato, che in quanto malato ha una visione della propria condizione non oggettiva?

– la decisione si può prendere in base a un testamento biologico redatto quando il malato era sano? abbiamo una statistica di quanti hanno cambiato idea fra la redazione del testamento e la malattia?

– la decisione la può prendere una commissione di medici? scelta audace,dato che i medici hanno tutti una propria inclinazione (basti vedere che anche sull’aborto ci sono obiettori e non obiettori… tema su cui in futuro torneremo).

Ad oggi non mi sembra che ci sia una valida risposta alle domande di cui sopra. Come già detto però, quanto esposto fin qui, nel dibattito in corso non vale nulla e dunque passo al discorso successivo, ricordando solo che il giuramento di Ippocrate prescrive di curare il paziente e di non togliergli la vita per nessuna ragione.

Come si arriva al caso odierno. Il tranello radicale

La strategia dei Radicali e delle loro filiazioni come la Luca Coscioni, funziona così. Prendono dei casi limite, li pompano mediaticamente, arrivano al punto di rottura e cercano di mettere il legislatore sotto pressione. Si tratta di un utilizzo profondamente scorretto della sofferenza dei malati. Spesso il tutto è condito da diffusione di statistiche e dati falsi.

Sul suicidio assistito è andata esattamente così. Dopo anni di casi limite (Englaro, Welby…) il radicale Cappato pensa bene di portare Dj Fabo, un ragazzo paralizzato dal collo in giù dopo un incidente, a morire in Svizzera, secondo le leggi di quello stato. Cappato poi si autodenuncia in modo da alimentare il can can mediatico con un processo spettacolo. Giunti in Corte Costituzionale, nel 2019, guardacaso arriva una depenalizzazione de facto del suicidio assistito, che potrà essere quindi praticato senza paura di denunce, negli ospedali italiani.

La sentenza ovviamente lascia buchi enormi, non essendo una legge e dunque inizia la mobilitazione, a sinistra, al grido del “ci vuole una legge”.

Nel 2024 con un’altra sentenza, la Corte Costituzionale ha poi rincarato la dose, stabilendo quattro opinabilissimi criteri in base ai quali si può praticare il suicidio assistito:

-Essere affetto da una patologia irreversibile.

-Sperimentare sofferenze fisiche o psicologiche ritenute intollerabili.

-Essere dipendente da trattamenti di sostegno vitale.

-Essere capace di prendere decisioni consapevoli.

Criteri che vogliono dire tutto e niente (es: una persona in dialisi potrebbe incontrare tutti i quattro requisiti), che aprono alla deriva di cui parlerò nell’ultimo paragrafo.

Il problema delle regioni

Poiché in Italia le regioni hanno competenza sulla sanità, ma non sulle leggi riguardanti la bioetica, la Luca Coscioni passa allo step successivo. La Consulta ha di fatto detto che si può operare il suicidio assistito e le regioni secondo i militanti radicali devono prevedere un protocollo sanitario.

La legislazione statale viene quindi scavalcata, non conta più nulla. Non serve più neanche una legge.

Al momento in cui si scrive, l’unica che ha portato avanti questa tesi è la Toscana, ma il tema è stato presentato e discusso in tutte le assemblee regionali. Oltre a rimanere aperta la possibilità che si legiferi a livello nazionale (e qui finalmente tutti dovranno schierarsi).

Tocca però registrare pericolosi cedimenti nelle regioni amministrate dal centrodestra. È evidente che manchino cultura e preparazione, in alcune sotto-aree delle formazioni di governo, sempre pronte a ossequiare il verbo radicale, probabilmente inconsapevoli che la posta in gioco vale molto più di quattro preferenze alle elezioni.

L’unico partito che tiene la barra dritta è Fratelli d’Italia.

Conseguenze note e già sperimentate

Eppure basterebbe dare un’occhiata a quanto accade nei famosi paesi avanzati del nord Europa, dove le legislazioni in materia sono codificate da decenni.

Si avvalgono del suicidio assistito persone in “sofferenze psicologiche insopportabili”, citando la Consulta, ovvero persone di ogni età (anche ventenni) con profonde depressioni, anziani soli, individui che si sino genericamente stufati di vivere. Se ne avvalgono anche persone con “malattie incurabili”, con aspettative di vita comunque lunghe ma terrorizzate dall’idea di una cronicità. E i casi sono ormai migliaia ogni anno. Tutte persone che andrebbero semplicemente seguite con umanità.

Insomma le conseguenze sono state nefaste e saranno nefaste anche in Italia. E accettare che uno Stato (o una Regione) rinunci a offrire alternative ai suoi cittadini, magari per ridurre i costi, non è degno della civiltà di cui siamo figli.

 

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