Quando parlo del “monachesimo diffuso”, il mio concetto per cui dovremmo rivestirci dello spirito monastico per dare vita ad una nuova civiltà cristiana, non pochi menzionano la loro inadeguatezza in quanto la loro vita presenterebbe aspetti discutibili. Certo questo è personalmente un problema che bisogna affrontare, ma bisogna stare attenti nell’incorrere in due rischi di tipo diverso: quello di voler rendere lecito quello che è illecito (modernismo) e quello di raffreddare la propria devozione per la consapevolezza della propria indegnità.
Il grande passaggio nella nostra epoca è stato quello di voler rendere lecito quello che lecito non può essere secondo la dottrina cattolica, cioè di cambiare i confini tra quello che è permesso e quello che non lo è in nome di un concetto di “misericordia” che tutto comprende, una misericordia però del tutto o in parte separata dalla necessaria giustizia. Ora, la persona che vuol vivere con lo spirito monastico, anche se nel mondo, deve prima di tutto riconoscere la propria indegnità e umiliarsi. La battaglia contro se stessi, la guerra del cuore, è la più difficile da combattere. Il monaco belga André Louf affermava: “ È nel cuore del monaco che si deve edificare una cella, una casa, un tempio, un Santo dei santi, un altare, dal quale la preghiera finirà per innalzarsi ininterrottamente ”.
Proprio questo cambiamento del cuore è alla base di quei laici che cercano un nuovo modo, ma anche antico, di essere presenti nel mondo con quello spirito monastico che ritengo necessario, nella sua forma autentica, per il tempo presente. Non bisogna abbassare l’asticella perchè non siamo in grado di saltare più in alto. Alleniamoci meglio. Dico sempre che ho molto apprezzato il Papa quando in un’intervista, richiesto di definirsi, ha semplicemente detto di essere un peccatore. Ecco, nella carta d’identità del membro del monastero diffuso, dovrebbe esserci scritto nome e cognome seguiti dalla qualifica di peccatore. Non c’è definizione più adeguata. Fedor Dostoevskij, ne “I fratelli Karamàzov diceva: “ Noi non siamo più santi della gente del mondo perché siamo venuti qui e ci siamo chiusi fra queste mura, ma anzi chiunque è venuto qui, già per il fatto di esserci venuto, ha riconosciuto in se stesso di essere peggiore della gente del mondo e di ogni uomo sulla Terra... E quanto più a lungo vivrà un monaco fra le sue quattro mura, tanto più profondamente dovrà rendersene conto ”.
Questo bel passaggio ci dice tutto quello che dobbiamo in fondo sapere, proprio per aver fatto la scelta che facciamo di radicalità di fede, ma nel mondo, non stiamo affermando il nostro essere meglio degli altri, ma l’aver più bisogno di attenzione da parte di Dio. Il medico viene cercato dai malati, non dai sani. Ambrose Bierce diceva con una sottile perfidia definendo un cenobita: “ Uomo pio che devotamente si allontana dal mondo per meditare sul peccato della malvagità e che, per tenerselo bene a mente, entra a far parte di una comunità dove abbondano i pessimi esempi ”. Noi non possiamo allontanarci dal mondo ma dobbiamo penetrarlo più in profondità, come detto e certo abbondano anche tra noi i pessimi esempi.
Questo però non deve farci recedere, anzi deve farci sentire più forti proprio perché consapevoli della nostra debolezza. La nostra consapevolezza diviene la nostra forza. Se abbiamo situazioni irregolari ma nel nostro cuore ancora avvampa il fuoco sacro, viviamo nel modo in cui ci è concesso, non cercando scappatoie o legittimazioni. Abbiamo seguito le polemiche sulla comunione ai divorziati risposati e via dicendo. Non cerchiamo questo per dare una sorta di colpo di spugna ai nostri inciampi. Se non possiamo comunicarci sacramentalmente, esiste pur sempre la comunione spirituale. In un testo di San Leonardo da Porto Maurizio riportato su Aleteia troviamo scritto: "Quanto al modo di realizzare la comunione spirituale di cui ho parlato in precedenza, bisogna conoscere la dottrina del santo Concilio di Trento, che insegna che si può ricevere il Santissimo Sacramento in tre modi: Sacramentalmente, Spiritualmente, Sacramentalmente e spiritualmente allo stesso tempo. Non si parla qui del primo modo, che si verifica anche in coloro che si comunicano in stato di peccato mortale, come nel caso di Giuda, né del terzo, comune a tutti quelli che si comunicano in stato di grazia; si tratta qui del secondo, adeguato a coloro che, prendendo le parole del santo Concilio, impossibilitati a ricevere sacramentalmente il Corpo di Nostro Signore, “lo ricevono in spirito, facendo atti di fede viva e ardente carità, e con un grande desiderio di unirsi al Bene sovrano, e attraverso di questo si mettono in condizioni di ottenere i frutti del Divino Sacramento” – “Qui voto propositum illum caslestem panem edentes fide viva quae per dilectionem operatur, fructum ejus et utilitatem sentium” (Sess. XIII, c.8.) ”.
Ecco, la sollecitudine della Chiesa è stata prossima già in passato verso coloro che trovandosi in situazione irregolare per motivi vari non potevano comunicarsi sacramentalmente. Proseguiva San Leonardo: “ Ora, sapete che questa santa e benedetta Comunione spirituale, così poco praticata dai cristiani ai giorni nostri, è un tesoro che riempie l’anima di beni incalcolabili, e secondo molti autori è così efficace che può produrre le stesse grazie della Comunione sacramentale. In effetti si vede che la Comunione sacramentale, in cui si riceve la santa Ostia, è per sua natura di maggior profitto, perché come sacramento agisce “ex opere operato”, ed è quindi possibile che un’anima faccia la Comunione spirituale con tanta umiltà e con amore e fervore tali da ottenere più grazie di quelle che otterrebbe comunicandosi sacramentalmente ma con una disposizione meno perfetta “.
Non cerchiamo di piegare la dottrina per i nostri bisogni. Oggi sappiamo di più sulle nostre inclinazioni e sappiamo quanto a volte sia difficile correggerle. Pur non volendo ridurre tutto alla psicologia, alla sociologia, all’antropologia, certo non possiamo neanche ignorare l’esistenza di queste cose. Sappiamo come certe dipendenze sono difficili da estirpare e che a volte impegnano anche anime buone in una lotta che dura tutta una vita. Allora ecco che la Chiesa ha comunque sempre soccorso coloro che erano nel bisogno. Queste debolezze non devono rallentarci nel cammino e nella voglia di testimoniare la fede, ma renderci anzi più forti nella ricerca della nostra conversione verso la perfezione desiderata.
Pubblicato il 20 dicembre 2018
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