19 dicembre 2018

Libri. "Il mistero del Natale" di Edith Stein

di Samuele Pinna
Santa Teresa Benedetta della Croce, al secolo Edith Stein (1891-1942), è stata una grande filosofa esponente della fenomenologia, ebrea di nascita è divenuta cattolica e ha approfondito il pensiero di san Tommaso d’Aquino. Dopo la carriera accademica di insegnamento, entra nel Carmelo di Colonia nel 1933, dove continua la sua attività scientifica, affiancata da studi di carattere spirituale. Brillante conferenziera, prima di prendere i voti, è spesso invitata a parlare in tutta Europa. Il 13 gennaio 1932 è chiamata dal parroco Ludwig Husse a tenere una conferenza per il gruppo dell’Associazione Accademici cattolici di Ludwigshafen. Il tema sarà proprio il mistero del Natale: una profonda meditazione teologica, che mostra la via che da Betlemme porta al Golgota, dove la contemplazione del presepio domanda all’uomo di “scegliere tra la luce e le tenebre”.
Il testo di Edith Stein, pur contenendo il fascino del mistero natalizio, apre a una riflessione sull’uomo e il suo rapporto con Dio, l’unico che può dare senso all’esistere.
Un libricino breve, ma ricco di spunti. Ecco allora un passaggio, quale augurio per un buon Natale davvero cristiano.

«Tocchiamo così – scrive Edith Stein – un terzo segno della figliolanza divina. Essere una cosa sola con Dio, il primo. Il fatto che tutti sono una cosa sola in Dio, il secondo. Il terzo: “Da questo riconoscerò che mi amate, se osserverete i miei comandamenti”. Essere figlio di Dio significa camminare dando la mano a Dio, fare la volontà di Dio e non la propria, riportare nelle sue mani ogni preoccupazione e speranza, non affannarsi più per sé e per il proprio futuro. Questa è la base della libertà e della gioia del figlio di Dio. Tutti conoscono la parabola degli uccelli del cielo e dei gigli del campo. Ma quando incontrano una persona che non possiede alcun bene, non ha alcuna pensione e alcuna assicurazione e tuttavia va incontro serena al suo futuro, scuotono il capo come se si trovassero di fronte a un tipo strano.
La fiducia in Dio rimane incrollabile solo se essa include la disponibilità ad accogliere qualunque cosa dalla sua mano. Dio solo infatti sa quel che è bene per noi. E se un giorno per noi dovessero esser meglio la miseria, la privazione, anziché un reddito sicuro, oppure l’insuccesso e l’umiliazione al posto dell’onore e del prestigio, dovremmo tenerci pronti anche a questo. Se lo facciamo, allora possiamo vivere il presente senza lasciarci turbare dal futuro.
Il “sia fatta la tua volontà”, in tutta la sua estensione, deve essere il criterio della vita cristiana. Esso deve scandire la giornata dal mattino alla sera, il corso dell’anno e tutta la vita. E deve quindi essere anche l’unica preoccupazione del cristiano. Tutte le altre il Signore le prende su di sé. Chi appartiene a Cristo deve vivere tutta la sua vita. Deve maturare fino all’età adulta di Cristo, imboccare un giorno la via della croce, dirigersi al Getsemani e al Golgota. E tutte le sofferenze che provengono dall’esterno sono un nulla a paragone della notte oscura dell’anima, allorché la luce divina non brilla più e la voce del Signore tace. Perché fa così? Siamo qui di fronte ai suoi misteri, misteri che non possiamo penetrare fino in fondo. Un po’ però li possiamo già perscrutare. Dio è divenuto uomo per farci di nuovo partecipare alla sua vita. Partecipazione che era al principio e che è l’ultimo fine.

Ma nell’intervallo c’è ancora qualcos’altro. Cristo è Dio e uomo, e chi vuol partecipare alla sua vita, deve prender parte alla sua vita divina e umana. La natura umana da lui assunta gli diede la possibilità di soffrire e morire. La natura divina, da lui posseduta dall’eternità, conferì alla sua passione e morte un valore infinito e la capacità di compiere la redenzione. La passione e la morte di Cristo continuano nel suo corpo mistico e in ognuna delle sue membra. Ogni uomo deve soffrire e morire. Ma se egli è un membro vivo del corpo di Cristo, la sua sofferenza e la sua morte diventano, grazie alla divinità del capo, redentrici. Questo è il motivo oggettivo, per cui tutti i santi hanno aspirato a soffrire. Non si tratta di un desiderio malsano. Gli occhi della mente naturale lo vedono come una perversione. Ma alla luce del mistero della redenzione esso appare come estremamente ragionevole. E così colui che è unito a Cristo persevera incrollabile anche nella notte oscura della lontananza soggettiva da Dio; forse la provvidenza divina gli impone questo tormento per liberare una persona oggettivamente incatenata. Diciamo pertanto: “Sia fatta la tua volontà!” anche e proprio per questo, nella notte più oscura» (pp. 34-37).


 

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