30 novembre 2018

Esercitazione d'arte umoristica (ai danni di un gatto)

di Samuele Pinna
Si è parlato molto del nuovo altare della chiesa di Gallarate e rimango sempre molto desolato nel constatare tanta odierna confusione. Il mio amico Piero Viotto, fine esteta, mi aveva insegnato che «l’arte per se stessa mira all’assoluto della bellezza e quindi ha una sua intrinseca religiosità, ma l’arte sacra, al servizio della Chiesa, deve tenere conto delle regole che la Chiesa stessa stabilisce, e soprattutto della leggibilità del messaggio che veicola in rapporto al popolo cristiano, che deve potere, attraverso l’opera, contemplare l’Assoluto». A me pare che in questo caso, come in tanti altri, si sia perso di vista l’ultimo punto poc’anzi segnalato, ossia che l’opera d’arte quando è sacra non deve disattendere il fine per cui è creata. Ho letto con rammarico un pezzo giornalistico in cui si difendeva con malcelato entusiasmo l’opera in questione, ponendo come tesi il fatto che era artisticamente più bella di altre chiese brutalmente baroccheggianti. Una gara al meno brutto, insomma. Del resto, è, forse, oggi impossibile parlare di “bellezza”, “arte”, “bellezza dell’arte”… Ho capito, grazie a Guareschi, che l’unica via di salvezza davanti a un mondo al contrario è l’umorismo, che «è il nemico dichiarato della retorica perché, mentre la retorica gonfia e impennacchia ogni vicenda, l’umorismo la sgonfia e la disadorna, riducendola con una critica spietata all’osso». L’umorismo, poi, sempre per l’inventore di don Camillo e Peppone, «è semplificazione e, costretto a ridurre ogni cosa all’osso, riesce (più o meno bene) a fare lunghi discorsi con pochissime parole. E dice senza dire. E per dire si serve della forma più facile: la storiella». Mi arrischio, allora, ispirato da Giovannino, in un pezzo umoristico, nella speranza lo sia davvero, il che non vuol dire che debba far ridere. Sarebbe, infatti, sufficiente che riuscisse a far pensare.
Il vecchio Bernardo aveva fatto per tutta la vita il contadino e non sapeva fare altro se non zappare la terra. Era partito come mezzadro, poi si era comprato un piccolo podere, in seguito uno più grande e infine talmente tanta terra che non sapeva neppure cosa piantarci. Dopo qualche tempo, le innumerevoli biolche possedute dal Bernardo erano passate edificabili e lui, che non aveva più la forza di zappare, decise che era venuto il momento di vendere parte della proprietà. Ci guadagnò così tanto che non si dovette più preoccupare di lavorare per il resto della vita. La moglie che gestiva i quattrini di famiglia si diede da fare anzitutto per sistemare casa: sostituì l’arredo, comprò un sacco di cose tecnologiche e ammodernò ogni stanza. L’unica cosa che non poté cambiare fu il quadro della sala da pranzo: un vecchio e impolverato dipinto di natura morta. La moglie aveva comperato, spendendo un sacco di soldi, una vera opera d’arte contemporanea di un autore molto celebrato. Era difficile intuire qual era il soggetto, ma visto il costo il vecchio Bernardo non volle fare domande, solo fu perentorio: fintanto che viveva lui quella roba lì non avrebbe mai preso il posto della sua natura morta.

La moglie dovette mettere in corridoio quella preziosità, ma a ogni ospite che faceva visita a lei e a suo marito, che ne capisse di arte o meno non era importante, mostrava e spiegava quella tela come fosse la cosa più bella del mondo. E la gente rimaneva sempre stupita dalla ricchezza di idee dell’artista e dalla semplificazione che era riuscito a fare con quegli scarabocchi.

Visto l’entusiasmo che il dipinto richiamava, la moglie del Bernardo si lagnava sovente con il consorte, affinché si decidesse a mettere nella sala da pranzo il pezzo artistico e in cantina l’altro quadro. Ma il Bernardo rimase inamovibile: ogni giorno dato dal buon Dio, finito di pranzare o cenare, si sedeva in poltrona e stava lì a rimirarsi il suo bel quadro con il gatto mollemente appoggiato sulla sua pancia. L’animale era felice perché quelli erano gli unici momenti in cui aveva il permesso di entrare in casa.
Proprio su quella poltrona e davanti al suo amato quadro, il Bernardo si spense. Aveva un sorriso di serenità sul volto e il suo micio accovacciato addosso.

Dopo poco tempo, finiti i trambusti del lutto, amici esperti d’arte della moglie del Bernardo chiesero di poter comprare quella natura morta, che era un’opera, in fondo, per niente male. La moglie fu felice di disfarsene e al suo posto attaccò il suo meraviglioso quadro moderno. Sembrava stridere non poco con l’armonia di quella austera sala e, pertanto, con pindarico ragionamento, comprese che il pugno nell’occhio era dovuto alla poltrona del marito, ormai usata soltanto da quello che fu il suo animale di compagnia. Non contenta stabilì che al gatto fosse definitivamente vietato di entrare in casa, il quale gatto, a quel punto, si fece una pessima concezione dell’arte contemporanea.



 

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