In alcune epoche, si sa, nemmeno per i defunti è semplice trovare requie. Il XX secolo, così intimamente legato alle ideologie, a quelle “idee che mossero il mondo”, non sembrava essere il momento più adatto per una accurata valutazione storica di coloro che incarnarono e, talvolta, morirono per il loro credo ideale. Entrati ormai nel terzo millennio supponevamo che l’inesorabile trascorrere delle stagioni avesse lasciato in eredità all’uomo un patrimonio di saggezza, morigeratezza e buon senso valido per poter interpretare e soppesare i fatti e gli uomini. Constatiamo amaramente che non è così.
Dalla Spagna giunge la notizia che le Cortes hanno approvato il decreto governativo relativo alla traslazione dei resti mortali del Caudillo Francisco Franco Bahamonde, tumulati nella Valle de Los Caìdos all’indomani della sua morte, avvenuta il 20 novembre 1975. Le spoglie di colui che resse le sorti della Spagna dal 1939 (almeno ufficialmente) alla sua morte riposano a fianco di quelle di José Antonio Primo de Rivera, carismatico fondatore dalla Falange e figlio di quel Miguel Antonio che, dal 1923 al 1930, governò con mano da cirujano de hierro la tormentata nazione spagnola. I due illustri uomini non riposano soli. Sono attorniati da più di 33 mila caduti – ma forse più - di entrambe le fazioni, periti nel corso della Guerra Civile (1936-1939). Avversari durante la vita sono ora mescolati insieme ai piedi della croce, idealmente raffiguranti la ritrovata concordia della Spagna dopo i drammi di una logorante guerra fratricida. Vincitori e vinti fianco a fianco; una comunità ideale di uomini resa tale dalla comune fede – ancorché declinata in modi diversi – nella Spagna. Di là dunque dagli intenti celebrativi, innegabili, la basilica non è stata, e non è, solo un monumento alla vittoriosa Cruzada. Ci domandiamo in quale altro camposanto, scultura e lapide al mondo ci sia una così intima equiparazione tra chi trionfò e chi fu sconfitto. Solitamente i resti e il ricordo di chi si batté per la parte “sbagliata” non hanno goduto di un simile trattamento. Ne è un evidente esempio il caso italiano, dove ancor oggi il culto dei vinti della guerra civile rimane limitato agli eredi ideali di quella fazione, spesso addirittura perseguitati penalmente ad ogni ricorrenza.
Per quale ragione trasferire i resti di Franco (e dunque anche quelli di Primo de Rivera)? Gli zelanti antifranchisti alle Cortes ambiscono a fare lo stesso coi resti dei caduti? Probabilmente creeranno una commissione ad hoc con il compito di separare “vittime e carnefici”, magari riesumando teorie frenologiche con le quali poter stabilire quali crani appartengono a chi. Una volta separati i resti dei soldati franchisti potranno essere confinati in qualche cimitero di provincia o esposti, a mo’ di attrazione, in qualche museo. Completato l’ apartheid della memoria, ne siamo certi, la Spagna potrà offrire ai nuovi custodi del pensiero unico una più rassicurante immagine.
Ad oggi la salma di Franco riposa ancora nella Valle, attorniata dai suoi soldati, i suoi nemici e da El Ausente Primo de Rivera. Nell’incontro di fine ottobre la santa Sede – sotto la cui giurisdizione ricade l’abbazia dove Franco fu tumulato - non si è opposta alla traslazione di Franco, ma ha comunque ribadito la necessità di giungere a un accordo che possa soddisfare anche la famiglia dell’ex dittatore. Quest’ultima proposto, come alternativa alla situazione attuale – considerata la più appropriata - la cattedrale di Almudena a Madrid, situata a pochi passi dal Palazzo Reale. La scelta non è casuale. Il Caudillo, monarchico con poca fiducia nei Borbone, mai aveva formalmente abolito la monarchia, esercitando anzi la carica di reggente sin dal 1947. Riposando vicino al Palazzo Reale Franco, anche dopo la morte, metaforicamente continuerebbe ad essere il garante dell’attuale assetto istituzionale spagnolo. Naturalmente l’attuale governo, presieduto dal socialista Sànchez, si è detto contrario a questa eventualità.
A 43 anni dalla sua morte il Generalissimo continua ad essere presente nel dibattito politico e culturale spagnolo. È il destino dei grandi uomini. Da parte nostra auspichiamo che il pur inarrestabile scontro sulla sua figura si accompagni a un’equilibrata valutazione del suo operato politico che, pur con la durezza tipica di un ufficiale della Legione Straniera, permise alla Spagna di non cadere nelle mani del Moloch sovietico. La Santa Sede non dovrebbe dimenticarlo, così come dovrebbe ricordare le sofferenze patite dalla Chiesa spagnola prima e durante la Guerra Civile, perpetrate da coloro i cui eredi oggi siedono, anelanti di odio e rivalsa, sugli scranni delle Cortes.
Pubblicato il 26 novembre 2018
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