02 luglio 2018

Raspailiana/2. Dal governo giallo-verde al Campo dei Santi

di Stefano Bolzoni
Il governo giallo-verde si è insediato da pochi mesi, già sufficienti, però, per finire nel mirino del composito milieu perbenista e radical-chic, che non ha esitato ad aprire un impressionante fuoco di sbarramento contro l’esecutivo. Oggetto degli strali – spesso, a onor del vero, scadenti nell’insulto tout court – sono state, in primo luogo, le politiche di restrizione agli sbarchi promosse dal nuovo titolare del Ministero degli Interni Matteo Salvini.

È di questi giorni la notizia di una raccolta di firme promossa dal quotidiano Repubblica, nella quale i firmatari denunciano “come anticostituzionale, moralmente inaccettabile e contraria ai più elementari diritti umani la politica sull’immigrazione del governo Salvini-Di Maio”. Il manifesto prosegue poi affermando: “Denunciamo come ugualmente pericoloso, incostituzionale e inaccettabile l’intero asse politico europeo di orientamento razzista e nazionalista cui questo governo guarda ideologicamente. Da sempre i flussi migratori sono naturali ed essenziali per le civiltà umane; il rispetto della diversità culturale, del diritto d’asilo e del diritto all’integrazione, principi duramente conquistati dall’Europa con la sconfitta del nazifascismo, sono l’unica strada che è necessario regolare e percorrere, naturalmente a livello europeo. La chiusa si rivolge poi al Presidente della Repubblica, al quale viene perentoriamente chiesto di vigilare e, se necessario, di impedire, che l’azione del governo possa continuare a svilupparsi su questi binari.

Ci si potrebbe domandare in che modo i provvedimenti atti a impedire sbarchi clandestini siano “pericolosi e anticostituzionali”, oppure in che modo i flussi migratori arrechino, sempre e ovunque, miglioramenti alle civiltà umana. Partendo da quest’ultimo assunto si potrebbe addirittura affermare che lo stesso colonialismo europeo, da Colombo fino a Leopoldo II, fosse in sé ontologicamente desiderabile, giacché gli stessi colonizzatori “migravano” in ogni parte del globo. Dubito però che gli estensori del manifestano condividano questa conclusione.
Le parole dell’epistola, imbevute di quel totalitarismo umanitario ormai noto, mi hanno però dischiuso il ricordo di un’opera forse poco conosciuta, di un libro che, credo difficilmente, possa essere letto e commentato nelle nostre decadenti scuole: “Il Campo dei Santi”, scritto nel 1973 (edito in Italia nel 1998 dalle edizioni AR) da Jean Raspail.

Nell’opera, scritta con impareggiabile eleganza e condita di bozzetti tragicomici, Raspail immagina l’invasione, all’inizio degli anni ’90, di una flotta di paria provenienti dal Gange e decisa a sbarcare nella terra promessa che si rivelerà, dopo settimane di angosciante attesa, la Francia meridionale.
È il titolo stesso a evocare l’apocalisse visto che, come scritto nell’ultimo libro della Bibbia“Il tempo dei mille anni giunge alla fine. Ecco, escono le nazioni che sono ai quattro angoli della terra, il cui numero eguaglia la sabbia del mare. Esse partiranno in spedizione sulla faccia della terra, assalteranno il campo dei Santi e la Città diletta”.

Alla notizia della partenza la reazione dei paesi europei è duplice: da un lato essi manifestano nei loro comunicati ammirazione e rispetto per gli ultimi della terra, preoccupandosi di non apparire razzisti o, semplicemente, disinteressati; dall’altro sperano, ardentemente, che la flotta del Gange non attracchi proprio sulle loro coste. I momenti più salaci del romanzo sono però quelli dedicati alla reazione che la flotta suscita nell’opinione pubblica francese, descritta da Raspail come un corpo ammorbato da decenni di propaganda “antirazzista”, incapace ormai di comprendere come l’arrivo dello sciame migratorio sia il più grande pericolo per la sua stessa sopravvivenza. Insieme alla flotta itinerante - mirabilmente descritta dall’autore nel suo quotidiano periplo - , altro grande protagonista collettivo del romanzo sono gli intellettuali francesi. Tutti, dai letterati impegnati ai giornalisti schierati, dai religiosi pauperisti ai ministri terzomondisti, si mettono freneticamente in moto, cercando di spronare un popolo francese ormai ridotto in uno stato ameboide, ad aprire le proprie braccia al fratello dalla pelle color ebano.

Nemmeno la Chiesa Cattolica si mostra intenzionata ad affrontare lucidamente l’invasione, ed anzi anima, insieme alla chiese protestanti, una straordinaria campagna immigrazionista, che tace dello sprezzo con cui la flotta guarda all’Occidente – memorabile il capitolo dedicato all’”incontro” tra missionari, laici e religiosi, e i migranti al largo di São Tomé – mostrandosi preoccupata di vedere trionfare il nuovo modello esistenziale e culturale che ormai ha fatto proprio. Nel romanzo la Chiesa sostituisce il sincretismo più estremo all’ortodossia, abdicando alla sua funzione di custode della fede, chiudendo gli occhi – come fa cinicamente padre Agnellu – dinnanzi all’orgoglio, razziale e religioso, degli invasori.

Pur essendo stato scritto negli anni ’70 Il campo dei santi si è rivelato tragicamente premonitore. Non solo per aver preconizzato le dimensioni di un fenomeno che, in quegli anni, difficilmente avrebbero potuto essere immaginate, ma anche per la sostanziale esattezza con la quale Raspail immagina le reazioni parossistiche di un mondo intellettuale ormai preda di quello che nel romanzo chiama “ il mostro”. Mellifluo, strisciante, “ il mostro” si era fatto largo da decenni, contaminando laici, religiosi e persino papi, impedendogli di scorgere il pericolo che si annidava tra i fumaioli dei natanti requisiti, condannando così l’Occidente a subire la conquista dei migranti.
Rileggendo il manifesto di La Repubblica, che trova nel romanzo di Raspail emuli e parole altrettanto perentorie, ci si domanda se “il mostro” non abbia già iniziato la sua opera.


 

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