Un libro di Joseph Ratzinger-Benedetto XVI
Tra tutti gli scrittori che ho avuto il dono di conoscere personalmente
colui che ho più frequentato con ammirazione e di cui ho studiato il
pensiero è, senza dubbio, Joseph Ratzinger-Benedetto XVI.
È da poco stato pubblicato, per i tipi di Cantagalli, Liberare la libertà.
Fede e politica nel terzo millennio (è il secondo volume della collana
“Joseph Ratzinger. Testi Scelti”), che raccoglie una selezione di
interventi e di scritti del Papa emerito dedicati al tema “fede e
politica”. Il libro è, poi, impreziosito da un testo inedito dello stesso
Benedetto XVI e dalla prefazione di Papa Francesco, il quale afferma: «Il
rapporto tra fede e politica è uno dei grandi temi da sempre al centro
dell’attenzione di Joseph Ratzinger/Benedetto XVI e attraversa l’intero suo
cammino intellettuale e umano […]. E così, con un salto di trent’anni, egli
ci accompagna alla comprensione del nostro presente, a testimonianza
dell’immutata freschezza e vitalità del suo pensiero. Oggi infatti, più che
mai, si ripropone la medesima tentazione del rifiuto di ogni dipendenza
dall’amore che non sia l’amore dell’uomo per il proprio ego, per “l’io e le
sue voglie”. […] sono particolarmente lieto di potere introdurre questo
secondo volume dei testi scelti di Joseph Ratzinger sul tema “fede e
politica”. Insieme alla sua poderosa Opera omnia, essi possono aiutare non
solo tutti noi a comprendere il nostro presente e a trovare un solido
orientamento per il futuro, ma anche essere vera e propria fonte
d’ispirazione per un’azione politica che, ponendo la famiglia, la
solidarietà e l’equità al centro della sua attenzione e della sua
programmazione, veramente guardi al futuro con lungimiranza» (pp. 5-7).
Il testo, molto denso e ricco di profonde riflessioni, è quasi impossibile
da sintetizzare. Forse, è più interessante lasciare un piccolo assaggio del
volume (sono le pagine 31 fino a 34), mostrandone così – semmai ce ne fosse
bisogno – la bellezza della prosa e la profondità dei contenuti.
«Che cos’è la verità? La domanda del pragmatico – scrive Benedetto XVI –,
buttata lì con scetticismo, è una domanda molto seria, nella quale
effettivamente è in gioco il destino dell’umanità. Che cosa è, dunque, la
verità? Possiamo riconoscerla? Può essa entrare, come criterio, nel nostro
pensare e volere, nella vita sia del singolo che in quella della comunità?
La definizione classica formulata dalla filosofia scolastica dice che la
verità è “adaequatio intellectus et rei – corrispondenza tra intelletto e
realtà” [Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae I, q. 21, a. 2c.]. Se la
ragione di una persona rispecchia una cosa così come essa è in se stessa,
allora la persona ha trovato la verità, ma solo una piccola parte di ciò
che esiste realmente, non la verità nella sua grandezza e interezza. Con
un’altra affermazione di San Tommaso ci avviciniamo già di più alle
intenzioni di Gesù: “La verità è nell’intelletto di Dio in senso vero e
proprio e in primo luogo (proprie et primo); nell’intelletto umano, invece,
essa è in senso vero e proprio, e derivato (proprie quidem et secundario)”
[Id., De ventate, q. 1, a. 4c]. E così s’arriva infine alla formula
lapidaria: Dio è “ipsa summa et prima veritas — la stessa somma e prima
verità” [Id., Summa Theologiae I, q. 16, a. 5c].
Con questa formula siamo vicini a ciò che Gesù intende dire quando parla
della verità, quando dice che è venuto nel mondo per dare testimonianza
alla verità. Nel mondo, verità e opinione errata, verità e menzogna sono
continuamente mescolate in modo quasi inestricabile. La verità in tutta la
sua grandezza e purezza non appare. Il mondo è “vero” nella misura in cui
rispecchia Dio, il senso della creazione, la Ragione eterna da cui è
scaturito. E diventa tanto più vero quanto più si avvicina a Dio.
L’uomo diventa vero, diventa se stesso se diventa conforme a Dio. Allora egli raggiunge la sua vera natura. Dio è la realtà che dona l’essere e il senso. “Dare testimonianza alla verità” significa mettere in risalto Dio e la sua volontà di fronte agli interessi del mondo e alle sue potenze. Dio è la misura dell’essere. In questo senso, la verità è il vero “re” che a tutte le cose dà la loro luce e la loro grandezza. Possiamo anche dire che dare testimonianza alla verità significa che, partendo da Dio, dalla Ragione creatrice, si rende la creazione decifrabile e la sua verità accessibile in modo tale che essa possa costituire la misura e il criterio orientativo dell’uomo nel mondo, che ai grandi e ai potenti si faccia incontro il potere della verità, il diritto comune, il diritto della verità. Diciamolo pure: la non-redenzione del mondo consiste, appunto, nella non-decifrabilità della creazione, nella non-riconoscibilità della verità, una situazione che poi conduce inevitabilmente al dominio del pragmatismo, e in questo modo fa sì che il potere dei forti diventi il dio di questo mondo.
L’uomo diventa vero, diventa se stesso se diventa conforme a Dio. Allora egli raggiunge la sua vera natura. Dio è la realtà che dona l’essere e il senso. “Dare testimonianza alla verità” significa mettere in risalto Dio e la sua volontà di fronte agli interessi del mondo e alle sue potenze. Dio è la misura dell’essere. In questo senso, la verità è il vero “re” che a tutte le cose dà la loro luce e la loro grandezza. Possiamo anche dire che dare testimonianza alla verità significa che, partendo da Dio, dalla Ragione creatrice, si rende la creazione decifrabile e la sua verità accessibile in modo tale che essa possa costituire la misura e il criterio orientativo dell’uomo nel mondo, che ai grandi e ai potenti si faccia incontro il potere della verità, il diritto comune, il diritto della verità. Diciamolo pure: la non-redenzione del mondo consiste, appunto, nella non-decifrabilità della creazione, nella non-riconoscibilità della verità, una situazione che poi conduce inevitabilmente al dominio del pragmatismo, e in questo modo fa sì che il potere dei forti diventi il dio di questo mondo.
A questo punto, come uomini moderni, siamo tentati di dire: “Grazie alla scienza, per noi la creazione è diventata decifrabile”. Di fatto, ha detto ad esempio con lieto stupore Francis S. Collins, che ha diretto lo Human Genome Project: “Il linguaggio di Dio è stato decifrato” [cfr. Il linguaggio di Dio. Alla ricerca dell’armonia fra scienza e fede, Sperling & Kupfer, Milano 2007]. Sì davvero, nella grandiosa matematica della creazione, che oggi possiamo leggere nel codice genetico dell’uomo, percepiamo il linguaggio di Dio. Ma purtroppo non il linguaggio intero. La verità funzionale sull’uomo è diventata visibile. Ma la verità su lui stesso – su chi egli sia, di dove venga, per quale scopo esista, che cosa sia il bene o il male – quella, purtroppo, non la si può leggere in questo modo. Con la crescente conoscenza della verità funzionale sembra piuttosto andare di pari passo una crescente cecità per “la verità” stessa, per la domanda su ciò che è la nostra vera realtà e ciò che è il nostro vero compito.
Che cos’è la verità? Non soltanto Pilato ha accantonato questa domanda come
irrisolvibile e, per il suo ufficio, impraticabile. Anche oggi, nella
disputa politica come nella discussione circa la legislazione del diritto,
per lo più si prova fastidio per essa. Ma senza la verità l’uomo non coglie
il senso della sua vita, lascia, in fin dei conti, il campo ai più forti.
“Redenzione” nel senso pieno della parola può consistere solo nel fatto che
la verità diventi riconoscibile. Ed essa diventa riconoscibile, se Dio
diventa riconoscibile. Egli diventa riconoscibile in Gesù Cristo. In Lui
Dio è entrato nel mondo, e ha così innalzato il criterio della verità in
mezzo alla storia. La verità esternamente è impotente nel mondo, come
Cristo, secondo i criteri del mondo, è senza potere. Non possiede alcuna
legione. Viene crocifisso. Ma proprio così, nella totale mancanza di
potere, Egli è potente, e solo così la verità diviene sempre nuovamente una
potenza. Nel colloquio tra Gesù e Pilato si tratta della regalità di Gesù e
quindi della regalità, del “regno” di Dio. Proprio nel colloquio di Gesù
con Pilato si rende evidente che non esiste alcuna rottura tra l’annuncio
di Gesù in Galilea – il regno di Dio – e i suoi discorsi in Gerusalemme. Il
centro del messaggio fino alla Croce – fino alla iscrizione sulla croce – è
il regno di Dio, la nuova regalità che Gesù rappresenta. Il suo centro è,
però, la verità. La regalità annunciata da Gesù nelle parabole e, infine,
in modo del tutto aperto davanti al giudice terreno è, appunto, la regalità
della verità. L’innalzamento di queste regalità quale vera liberazione
dell’uomo è ciò che interessa».
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