03 giugno 2016

Il principe dei martiri africani: San Carlo Lwanga


di Alfredo Incollingo

L'Africa è un continente cattolico. Potrebbe sembrare la classica affermazione eurocentrica o l'esplicita esaltazione del passato coloniale. Non si tratta di rivangare un trascorso non molto lontano, ma è edificante ricordare l'impegno della Chiesa Cattolica nel ridare speranza a quelle Nazioni e nel lenire le loro sofferenze.
Spesso si accusa la Chiesa di non far nulla per aiutare politicamente ed economicamente il continente africano; la si biasima di far troppo poco o di essere addirittura connivente con  i regimi dittatoriali del continente. Gli accusatori sono gli stessi che fanno affari d'oro con i tiranni locali o che giustificano lo sfruttamento assassino in virtù di un umanitarismo spicciolo.
Chi sono i veri responsabili di questo scempio? Deve la Chiesa addossarsi le responsabilità altrui? La Chiesa da decenni è attiva nel continente che più di tutti è fedele alla tradizione cattolica. Le centinaia di migliaia di missionari hanno fondato scuole, ospedali e i tanti servizi che oggi alleviano il disagio africano. Come non ricordare l'impegno di San Daniele Comboni e dei suoi missionari nel proteggere le popolazioni indigene dagli schiavisti?
E' probabile che l'occidente scarichi su altri le proprie mancanze, sulla Chiesa, l'unica che seriamente ha “fatto” qualcosa per il continente africano.
I martiri che hanno perso la vita in odio della propria fede sono migliaia, ancora oggi,  e nel loro sangue sono cresciuti i milioni di cattolici che in questi tempi di confusione ci ammoniscono nel rimanere fedeli al Vangelo di Cristo. San Carlo Lwanga pagò con la vita il suo impegno evangelico. I “martiri dell'Uganda” furono alcuni fra i tanti cristiani vittime della repressione del potere, quel potere tirannico che ancora oggi attanaglia le nazioni africane.
San Carlo si convertì al cattolicesimo dopo aver conosciuto i Padri Bianchi del cardinale Charles Lavigerie, missionari impegnati nel territorio ugandese da diversi anni e ben accetti inizialmente dalla corte reale. Dopo la scomparsa di Joseph Mukasa, un altro martire del continente nero, divenne “prefetto della sala reale”, scalando la gerarchia burocratica vicina al sovrano. Nel palazzo reale continuò l'intensa attività evangelica dei suoi predecessori che gli costarono l'inimicizia dei capi tribù e di alcuni consiglieri del re Mwanga II, il quale obbligava i suoi paggi a soddisfare i suoi desideri (omo)sessuali. In questa situazione San Carlo, oltre a rifiutare le continue avances reali, difese coloro che fuggivano dalle incessanti richieste di Mwanga.
L'ostinazione di Lwanga accentuò il malcontento della corte verso i cristiani, cattolici e anglicani, che fu causa di una terribile e breve persecuzione. Il santo fu arrestato con altri trenta compagni e arso vivo il 3 giugno 1886.
Fu beatificato il 6 giugno da Papa Benedetto XV e canonizzato da Paolo VI durante il suo viaggio nel continente africano nel 1969 insieme ai suoi fratelli di martirio.

 

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