A partire da quel fatidico 11 febbraio, stampe, rotocalchi,
vaticanisti improvvisati, atei, agnostici, ma, ahimè, anche sacerdoti
insofferenti, si sono sperticati in considerazioni, ipotesi e sentenze di
condanna riguardo la rinuncia di proseguire il ministero petrino da parte di
papa Benedetto XVI. C’è chi insinua che dal prossimo conclave ne uscirà
un antipapa, ossia un papa illegittimo, un non-papa. C’è chi accusa Benedetto
XVI di vigliaccheria, di essere fuggito difronte ai lupi, di essere “sceso
dalla croce” sbrodolandosi di paragoni
con il suo predecessore, il beato Giovanni Paolo II. Personaggi anche
conosciuti nel mondo cattolico si sono, a mio avviso, spericolati sull’abisso
del giudizio, avventurandosi in speculazioni e processi alle intenzioni che
vanno, evidentemente, oltre l’umana capacità di comprensione.
A questo proposito, non posso non ricordare un fatto analogo narrato nel Signore degli Anelli, che mi pare rispecchi molto l’attuale scenario interno alla Chiesa. Certamente però, i soliti che ci accusano di “tirare Tolkien per la giacchetta” strumentalizzandolo, forse non sanno un paio di cosette intorno a nonno Tolkien. Sarà dunque mia premura dissolvere qualche pregiudizio per lo più dettato da ignoranza, fornendo pochi dati biografici sulla vita di J.R.R. Tolkien.
Nacque il 3 gennaio 1892 a Bloemfontein, nel 1896 a quattro
anni di età, perse il padre per una grave febbre reumatica. Agli inizi del 1900
sua madre si convertì alla religione cattolica: scelta che le costò
l’allontanamento dalla famiglia d’origine. Il padre di Mabel, John, il nonno di
Tolkien per intenderci, andò su tutte le furie visto che era metodista
unitariano e antipapista convinto, e così si rifiutò di aiutare economicamente
Mabel per tutta la sua vita. Nel periodo in cui si trasferirono a Edgbaston,
Mabel conobbe padre Francis Xavier Morgan, un prete oratoriano di origini per
metà gallesi e per metà anglo-spagnole. Tolkien imparò da lui il catechismo e a
servire la Santa Messa fin da bambino (ovviamente parliamo della Messa in
latino). Questi diventò il suo mentore e il padre che Tolkien aveva perduto
troppo presto. Tolkien inoltre frequentò anche la scuola cattolica annessa alla
Chiesa, e fu quindi allevato dalle suore. Alla scuola di P. Francis imparò infatti
a crescere nell’amore alla Madonna, al punto da confidare più tardi: “[su di
Lei] si basa tutta la mia piccola percezione di bellezza sia come maestà che
come semplicità”. Nel novembre del 1904 morì Mabel. La custodia dei figli fu
affidata a padre Francis Xavier Morgan. Il parroco, che poi celebrerà anche il matrimonio tra John e l’amata Edith Bratt, prese molto a cuore la sorte
di quella famiglia e la accolse molto volentieri nella propria comunità. La giornata di Tolkien iniziava al mattino presto con la Santa Messa e lo scrittore inglese non cedette mai in
questa pratica, conservandola con amore e dedizione.
Insomma
Tolkien era un cattolico D.O.P, mettetevelo in testa, che vi piaccia o no. Ed ora torniamo a noi.
Riguardo alla rinuncia del Santo Padre all’esercizio del ministero petrino, credo che un buon cattolico che conservi ancora la Fede nella Chiesa, in Cristo che l’ha fondata, nello Spirito Santo che la conserva e nel Sommo Pontefice che non è uno sprovveduto né un novellino, debba tenere l’unico atteggiamento degno di un credente: fiducia nella sapienza e nella retta coscienza del papa, e non insinuare motivi o pretesti che ne inficino l’autorità o la saggezza. Come ebbe a dire lo stesso Tolkien “lo scandalo al massimo è occasione di tentazione – come l’indecenza lo è della brama, non la crea dal nulla, ma la fa manifestare. È comodo perché distoglie gli occhi da noi stessi e dalle nostre colpe e ci fornisce un capro espiatorio”. Ci è facile additare un colpevole per il male a cui assistiamo, ci sgrava dalla responsabilità personale. Seppur lo sgomento per un atto così improvviso e doloroso è innegabile, ma a noi spetta non mancare di fede, e di pregare senza stancarci (cfr. Lc 18,1). O forse ci verrebbe da pensare che il papa si sia ammattito o che sia un vigliacco, cosa che pensarono anche i membri della Compagnia dell’Anello di Gandalf dopo che si lasciò cadere nell’abisso di Kazad-Dum. “Si direbbe quasi, che alla fine Gandalf sia caduto dalla saggezza nella follia, inoltrandosi inutilmente nella rete di Moria.
Sarebbe davvero avventato colui che dicesse una simile cosa - interloquì gravemente
Galadriel. - Mai un atto di Gandalf fu inutile in vita sua. Coloro che lo
seguivano non leggevano nel suo pensiero, e non possono quindi riferire per
intero il suo scopo”. Non dimentichiamoci che Gandalf, cadendo nell’oscurità, affrontò e vinse un “demonio”, un balrog di Morgoth, mentre tutti si erano
lasciati prendere dallo sconforto, giudicando la sua azione e le sue scelte in
maniera avventata. “La Compagnia ha fallito!”, dichiara sconfitto Gimli. E’ la
sua, una lettura storica, esterna, “ma il punto di vista storico,
naturalmente, - scrive Tolkien - non è l’unico. Nessun uomo può giudicare
quello che sta veramente succedendo al momento attuale sub specie aeternitatis. Tutto quello che sappiamo, e anche questo
in larga parte per diretta esperienza, è che il male agisce con grande potenza
e successi continui – inutilmente: preparando sempre e solamente il terreno
perché il bene, inaspettatamente, germogli. Così accade in generale, e così
accade nelle nostre vite”.
In questa precisa ottica provvidenziale, ritengo, il caro
vecchio Gandalf si è lasciato cadere nel baratro di Kazad-Dum, abbandonando
in apparenza la Compagnia allo sbando, senza una guida, senza un “pastore”.
Attendiamo però con trepidazione e con Fede il ritorno dello “stregone bianco”.
La sua vecchia voce saggia sembra risuonare per noi oggi, mentre si chiudono le
porte di Castel Gandolfo: “pregate, sciocchi!”.
Pubblicato il 10 marzo 2013
ot guareschi tradito in patria : don camillo in versione francese non censurata fate girare https://www.youtube.com/watch?v=J52xdXAgKzE
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