11 marzo 2013

La scelta di Benedetto XVI: quando il Papa si appella alla coscienza (I parte)

di Paolo Maria Filipazzi

Mentre i cardinali si preparano per l’imminente conclave, la Chiesa ed il mondo non cessano (non cesseranno, credo, per molti anni), di interrogarsi e di riflettere sulle ragioni del gesto clamoroso della rinuncia al ministero petrino di Benedetto XVI. Fra chi lo accusa di resa, fuga o diserzione, chi interpreta il gesto definendolo con l’inquietante appellativo di “rivoluzionario” e chi si lascia andare a psicosi complottiste, forse la strada giusta per capire questo gesto sta nell’attento studio del suo Magistero e dell’opera teologica di Joseph Aloisious Ratzinger, a proposito del quale non credo di esagerare definendolo l’ultimo gigante del pensiero europeo.

Del resto il pensiero ratzingeriano si caratterizza per il fatto di porre continue domande invitando a dare risposte: “Il credente deve vagliare la sua fede alla prova corrosiva del dubbio, il non credente, invece, se ne può stare tranquillo nella sua non fede?”. E in diversi passaggi del suo pontificato il Papa ormai emerito ha posto interrogativi ed invitato alla riflessione. Non da ultimo, l’atto della sua rinuncia e le parole pronunciate nei successivi interventi, rappresentano forse il punto più alto di questo suo appello alla Chiesa ed alla umanità.

Dopo aver ripetutamente esaminato la mia coscienza davanti a Dio, sono pervenuto alla certezza che le mie forze, per l’età avanzata, non sono più adatte per esercitare in modo adeguato il ministero petrino”. “Dopo aver ripetutamente esaminato la mia coscienza davanti a Dio": in questa frase c’è tutto Ratzinger. C’è lo studioso ed ammiratore del Beato cardinale John Henry Newman, beatificato proprio da Benedetto XVI il 19 settembre 2010 nel corso della sua visita apostolica del Regno Unito. «Certamente se io dovessi portare la religione in un brindisi dopo pranzo, cosa che non è molto indicato fare, allora io brinderei per il Papa. Ma prima per la coscienza e poi per il Papa». A commento di questa frase del grande convertito dall’anglicanesimo alla Chiesa di Roma, il cardinal Ratzinger nel 1991 svilupperà una memorabile lectio magistralis all’Università di Siena: «Solo in tale contesto si può comprendere correttamente il primato del Papa e la sua correlazione con la coscienza cristiana. Il significato autentico dell’autorità dottrinale del Papa consiste nel fatto che egli è il garante della memoria cristiana. Il Papa non impone dall’esterno, ma sviluppa la memoria cristiana e la difende. Per questo il brindisi per la coscienza deve precedere quello per il Papa, perché senza coscienza non ci sarebbe il Papa».

Ed ecco che la mente vola alle parole che Benedetto XVI pronunciò il 4 luglio 2010 a Sulmona, in occasione dell’ottavo centenario della nascita di Pietro da Morrone, Papa col nome di Celestino V. Sì, perché la figura che tutti hanno evocato in questi giorni ha un legame con il suo successore di 8 secoli dopo che solo ora si può comprendere in pieno. Disprezzato dai posteri per la sua identificazione (a dire il vero incerta ed anzi molto probabilmente erronea) con l’enigmatica figura dantesca di “colui che fece il gran rifiuto”, Celestino è stato però canonizzato dalla Chiesa. Il primo settembre 1966 Paolo VI scoprì nella rocca di Fumone, dove il Santo visse i suoi ultimi giorni da prigioniero, una targa a colui che “salvò con l’eroica rinuncia, con la prigionia e con la morte l’unità della Chiesa”. Non un vile, ma un Santo ed un eroe, che con il suo gesto salvò l’unità della Chiesa, percorsa anche allora da scontri di potere. 

Il 28 aprile 2009 Benedetto XVI si trova in visita a L’Aquila per portare conforto alle popolazioni colpite dal sisma. Pochi notano un gesto col senno di poi assai significativo: il Papa varca la porta giubilare di Collemaggio, rende omaggio al Santo ivi sepolto e, toltosi il pallio, lo depone sulla sua tomba. Ed eccoci, dunque, a Sulmona: “Celestino V seppe agire secondo coscienza, perciò senza paura e con grande coraggio, anche nei momenti difficili, come quelli legati al suo breve pontificato, non temendo di perdere la propria dignità, ma sapendo che questa consiste nell’essere nella verità”. Celestino V è il Papa che brinda prima alla coscienza e poi al Papa, perché sa che senza coscienza non esiste nemmeno il Papa. E con lui, in questa consapevolezza, troviamo ora Benedetto XVI.
 

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