Mentre i cardinali si preparano per l’imminente conclave, la
Chiesa ed il mondo non cessano (non cesseranno, credo, per molti anni), di
interrogarsi e di riflettere sulle ragioni del gesto clamoroso della rinuncia
al ministero petrino di Benedetto XVI. Fra chi lo accusa di resa, fuga o
diserzione, chi interpreta il gesto definendolo con l’inquietante appellativo
di “rivoluzionario” e chi si lascia andare a psicosi complottiste, forse la
strada giusta per capire questo gesto sta nell’attento studio del suo Magistero
e dell’opera teologica di Joseph Aloisious Ratzinger, a proposito del quale non
credo di esagerare definendolo l’ultimo gigante del pensiero europeo.
Del resto
il pensiero ratzingeriano si caratterizza per il fatto di porre continue
domande invitando a dare risposte: “Il credente deve vagliare la sua fede alla
prova corrosiva del dubbio, il non credente, invece, se ne può stare tranquillo
nella sua non fede?”. E in diversi passaggi del suo pontificato il Papa ormai
emerito ha posto interrogativi ed invitato alla riflessione. Non da ultimo,
l’atto della sua rinuncia e le parole pronunciate nei successivi interventi,
rappresentano forse il punto più alto di questo suo appello alla Chiesa ed alla
umanità.
“Dopo
aver ripetutamente esaminato la mia coscienza davanti a Dio, sono pervenuto
alla certezza che le mie forze, per l’età avanzata, non sono più adatte per
esercitare in modo adeguato il ministero petrino”. “Dopo aver ripetutamente
esaminato la mia coscienza davanti a Dio": in questa frase c’è tutto
Ratzinger. C’è lo studioso ed ammiratore del Beato cardinale John Henry Newman,
beatificato proprio da Benedetto XVI il 19 settembre 2010 nel corso della sua
visita apostolica del Regno Unito. «Certamente se io dovessi portare la
religione in un brindisi dopo pranzo, cosa che non è molto indicato fare,
allora io brinderei per il Papa. Ma prima per la coscienza e poi per il Papa».
A commento di questa frase del grande convertito dall’anglicanesimo alla Chiesa
di Roma, il cardinal Ratzinger nel 1991 svilupperà una memorabile lectio magistralis all’Università di
Siena: «Solo in tale contesto si può comprendere correttamente il primato del
Papa e la sua correlazione con la coscienza cristiana. Il significato autentico
dell’autorità dottrinale del Papa consiste nel fatto che egli è il garante
della memoria cristiana. Il Papa non impone dall’esterno, ma sviluppa la memoria
cristiana e la difende. Per questo il brindisi per la coscienza deve precedere
quello per il Papa, perché senza coscienza non ci sarebbe il Papa».
Ed ecco che la mente vola alle parole che Benedetto XVI
pronunciò il 4 luglio 2010 a Sulmona, in occasione dell’ottavo centenario della
nascita di Pietro da Morrone, Papa col nome di Celestino V. Sì, perché la
figura che tutti hanno evocato in questi giorni ha un legame con il suo
successore di 8 secoli dopo che solo ora si può comprendere in pieno.
Disprezzato dai posteri per la sua identificazione (a dire il vero incerta ed
anzi molto probabilmente erronea) con l’enigmatica figura dantesca di “colui
che fece il gran rifiuto”, Celestino è stato però canonizzato dalla Chiesa. Il
primo settembre 1966 Paolo VI scoprì nella rocca di Fumone, dove il Santo visse
i suoi ultimi giorni da prigioniero, una targa a colui che “salvò con l’eroica
rinuncia, con la prigionia e con la morte l’unità della Chiesa”. Non un vile,
ma un Santo ed un eroe, che con il suo gesto salvò l’unità della Chiesa, percorsa
anche allora da scontri di potere.
Il 28 aprile 2009 Benedetto XVI si trova in
visita a L’Aquila per portare conforto alle popolazioni colpite dal sisma.
Pochi notano un gesto col senno di poi assai significativo: il Papa varca la
porta giubilare di Collemaggio, rende omaggio al Santo ivi sepolto e, toltosi
il pallio, lo depone sulla sua tomba. Ed eccoci, dunque, a Sulmona: “Celestino
V seppe agire secondo coscienza, perciò senza paura e con grande coraggio,
anche nei momenti difficili, come quelli legati al suo breve pontificato, non
temendo di perdere la propria dignità, ma sapendo che questa consiste
nell’essere nella verità”. Celestino V è il Papa che brinda prima alla
coscienza e poi al Papa, perché sa che senza coscienza non esiste nemmeno il
Papa. E con lui, in questa consapevolezza, troviamo ora Benedetto XVI.
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