La coscienza, ovviamente, poi, la si vaglia al cospetto di
Dio. Angelus 24 febbraio 2013: “Il Signore mi chiama a “salire sul monte”, a
dedicarmi ancora di più alla preghiera e alla meditazione. Ma questo non
significa abbandonare la Chiesa, anzi, se Dio mi chiede questo è proprio perché
io possa continuare a servirla con la stessa dedizione e lo stesso amore con
cui ho cercato di farlo fino ad ora, ma in un modo più adatto alla mia età e
alle mie forze.” Udienza Generale del 27 febbraio: “In questi ultimi mesi, ho
sentito che le mie forze erano diminuite, e ho chiesto a Dio con insistenza,
nella preghiera, di illuminarmi con la sua luce per farmi prendere la decisione
più giusta non per il mio bene, ma per il bene della Chiesa.”
Anche se nel
libro intervista a Peter Seewald “Luce del Mondo” (2010) ad un tratto il Papa
afferma, quasi schermendosi, di non essere un mistico, si scorge in queste sue
parole proprio il segno, il cenno all’esperienza mistica: il Vicario che
interroga Cristo e, ricevutane la risposta, obbedisce al Suo comando e compie
la Sua volontà. Nella rinuncia si può scorgere dunque un vero atto di fede, la
consapevolezza che il vero capo della Chiesa è Cristo, che a lui il Papa deve
obbedienza, e che in ultima istanza Lui saprà guidare la Barca di Pietro nella
momentanea assenza di Pietro stesso.
E c’è sempre nel discorso tenuto durante l’Udienza Generale
del 27 febbraio, la clamorosa smentita a coloro che pensano ad una
desacralizzazione del Papato, o che accusano Benedetto XVI di aver svilito il
ministero petrino: “Il “sempre” è anche un “per sempre” - non c’è più un
ritornare nel privato. La mia decisione di rinunciare all’esercizio attivo del
ministero, non revoca questo. Non ritorno alla vita privata, a una vita di
viaggi, incontri, ricevimenti, conferenze eccetera. Non abbandono la croce, ma
resto in modo nuovo presso il Signore Crocifisso. Non porto più la potestà
dell’officio per il governo della Chiesa, ma nel servizio della preghiera
resto, per così dire, nel recinto di san Pietro. San Benedetto, il cui nome
porto da Papa, mi sarà di grande esempio in questo.” I puristi che sollevano
questioni con toni da tregenda sulla scelta di chiamarsi Papa emerito, di
mantenere il nome e il titolo di Santità e la veste bianca, forse dovrebbero
concentrarsi su queste parole, in cui il Papato assume una dimensione, una
statura vertiginosa. Non un semplice istituto giuridico, ma un segno indelebile
che trasforma per sempre chi lo riceve.
E poi, San Benedetto, il vero padre dell’Europa, colui che
edificò la nostra civiltà nel segno delle Croce di Cristo, dopo secoli di caos
in cui le istituzioni civili, morali e culturali erano andate distrutte. La
fondò a partire dalla preghiera, dal quaerere
Deum, il cercare Dio e lasciarsi trovare da Lui, facendosi trasformare e
diventando strumenti per costruire la realtà attorno a sè, come Benedetto XVI
insegna nel suo affascinante discorso del 12 settembre 2008 al Collège des Bernardins. Oggi la civiltà fondata dal Santo di Norcia sembra sul punto di
morire, avendo rinnegato quella Croce su cui è stata fondata a da cui ha tratto
la propria linfa vitale. Ora il teologo la cui opera può dirsi a tutti gli
effetti il canto del cigno di quella stessa civiltà, che da Papa ha
significativamente assunto il nome di Benedetto, indica la via per la rinascita
e la ricostruzione: la preghiera che ci cambia e ci porta a modellare la realtà
che ci circonda.
Da questi cenni di riflessione (ma tantissimo ancora si
potrebbe dire) mi sento di poter trarre una conclusione sul gesto di Benedetto
XVI: dietro all’umile dichiarazione di debolezza, si nasconde la forza di un
gigante. Il gigante che testimonia il primato della coscienza davanti a Dio.
Non a caso l’annuncio è stato dato nel corso del concistoro per la
canonizzazione dei martiri di Otranto, trucidati nel 1480 dai Turchi per aver
rifiutato di compiere apostasia, per aver voluto obbedire alla propria
coscienza al cospetto di Dio. Il Papa, sembra dirci Benedetto XVI, è il
custode della memoria della Fede, ma la Fede è salda se fondata sulla
coscienza, passata al vaglio del dubbio al cospetto di quel Dio che aspetta che
ci facciamo trovare da Lui. Il Papa non ci abbandona, ma ci invita a fare i
conti con la nostra coscienza, in modo che il Papato possa essere più saldo che
mai. Forse passeranno secoli prima che si comprenda fino in fondo quale figura
straordinaria sia uscita di scena.
Pubblicato il 11 marzo 2013
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