30 ottobre 2012

Dal Giusnaturalismo al giusfunambolismo (I parte)

di Ilaria Pisa

Pare essersi sedato, come accade in un regime di informazione a rapida obsolescenza, il clamore suscitato dalla vicenda giudiziaria su cui la nostra Suprema Corte si è pronunciata con la sentenza n. 16754/2012 (qui, qui e qui). Il problema della legittimità e fondatezza di una pretesa risarcitoria nei confronti del medico, responsabile di aver omesso di eseguire ogni esame prenatale idoneo ad individuare anomalie fetali sulle quali intervenire con IVG, è stato brillantemente affrontato, sotto i profili medici e bioetici, sia in questo blog che altrove: provo, pertanto, a tracciare ora uno schizzo più propriamente giuridico della questione, ripercorrendo l’iter logico di una sentenza “innovativa” nel nostro sistema, ma “allineata” a istanze sovranazionali e non solo (per esempio, alla giurisprudenza di legittimità francese).

La coppia protagonista della vicenda, giova ricordare, adisce il giudice civile per denunciare l’omissione del medico, il quale, benché espressamente richiesto di procedere a tutti i necessari accertamenti per escludere malformazioni fetali, e pur avvertito dalla madre che la nascita di un figlio sano sarebbe stata condizione imprescindibile per proseguire la gravidanza, non effettuava accertamenti specifici, limitandosi al c.d. Tritest, la cui fallibilità, però, sarebbe emersa qualche mese dopo alla nascita della bimba, affetta da Sindrome di Down. I giudici di merito, in primo grado e in appello, rigettano le domande risarcitorie presentate dai genitori (sia in proprio, sia in nome e per conto della figlia disabile e degli altri figli), con motivazioni di ordine processuale (sulla base di un precedente analogo, infatti, la legittimazione del figlio malato è negata) e di diritto sostanziale (la malformazione non è di per sé sufficiente a legittimare l’IVG, che si sarebbe collocata oltre il novantesimo giorno).

A motivo di alcune carenze nelle motivazioni delle sentenze di merito, la causa giunge dinanzi alla Cassazione. Ma i giudici di Cassazione, investiti di una questione così scivolosa, tradiscono imbarazzo; il loro percorso argomentativo è disseminato di affermazioni politically correct e di progressismi giuridici che esprimono molto bene il tendenziale adeguamento della Corte al pensiero dominante. La responsabilità del medico, ad esempio, non attiene soltanto al profilo professionale (la mancata informazione circa tutte le possibilità di indagine, e la conseguente circostanza dell’omessa diagnosi), ma soprattutto all’illecito extracontrattuale derivante dalla «violazione del diritto di autodeterminazione della donna nella prospettiva dell’insorgere...di una [sua] malattia fisica o psichica». La malattia della madre, che in base alla legge 194 dovrebbe rendere “giustificata” l’IVG, viene più oltre descritta come oggetto di mera “presunzione”. Certo, nel caso di specie la consulenza medico-legale aveva poi confermato un effettivo danno biologico alla psiche della madre, ma se nella prassi una mera presunzione basta a formulare una prognosi favorevole all’intervento abortivo, si comprende che la vita del feto sarà risparmiata solo in pochissimi casi, quelli evidentemente pretestuosi.

Più volte l’aborto è definito senza tante perifrasi un “diritto”, in ossequio alle ultime tendenze di casa ONU. Altrove, i giudici scivolano in notazioni di sociologia spicciola: il risarcimento spetta anche alle sorelle della ragazza disabile, in quanto subiscono «un serio danno...anche a prescindere...dalle inevitabili esigenze assistenziali destinate a insorgere, secondo l’id quod plerumque accidit, alla morte dei genitori. Danno intanto consistente...nella inevitabile, minor disponibilità dei genitori nei loro confronti, in ragione del maggior tempo necessariamente dedicato al figlio affetto da handicap, nonché nella diminuita possibilità di godere di un rapporto parentale con i genitori stessi costantemente caratterizzato da serenità e distensione; le quali appaiono invece non sempre compatibili con lo stato d’animo che ne informerà il quotidiano per la condizione del figlio meno fortunato...il vivere una vita malformata è di per sé una condizione esistenziale di potenziale sofferenza». Insomma, i familiari dei disabili vivono in lutto perpetuo a causa della condizione dei loro congiunti: sapevatelo. Ma consoliamoci: i giudici non vogliono infatti mettere in dubbio la «incondizionata accoglienza dovuta ad ogni essere umano che si affaccia alla vita». Peccato dalle pagine successive emerga che “affacciarsi alla vita”, per il feto, è tutt’altro che semplice.

Che diritti ha, infatti, il feto? Pro iam nato habetur, o sicut mulieris portio vel viscerum? I giudici si pongono quesiti metagiuridici che tuttavia si guardan bene dall’affrontare, per evitare il campo etico-filosofico che a loro dire esula dal diritto (e che, invece, potrebbe illuminarlo dall’alto); così, affermano che «nel bilanciamento tra il valore (e la tutela) della salute della donna e il valore (e la tutela) del concepito, l’ordinamento consente alla madre di autodeterminarsi», quasi che un autentico bilanciamento giuridico possa risolversi in un atto per definizione unilaterale. Le ambigue oscillazioni linguistiche e concettuali non mancano di inquietare il lettore (il diritto all’aborto, dopo alcune righe, torna ad essere una più sfumata “possibilità” della donna, per poi ridiventare ancora “diritto personalissimo”, tipo il diritto al nome, per intenderci), mentre la Corte s’ingegna a rovesciare i precedenti in materia, per poter affermare finalmente un diritto al risarcimento da “vita sbagliata”. Nel farlo, qui e là viola la reticenza etica e semina aforismi: «l’atto della procreazione è frutto di una scelta che spetta, giuridicamente, soltanto ai genitori; ma la donna è, inevitabilmente, il solo legittimo destinatario del diritto a decidere se procedere o no all’interruzione della gravidanza». Con buona pace della (altrove sacrosanta) bigenitorialità.

(VAI ALLA SECONDA PARTE: http://www.campariedemaistre.com/2012/10/dal-giusnaturalismo-al-giusfunambolismo.html)
 

1 commento :

  1. E' il sistema giudiziario che prima di tutto non funziona, perchè non rende conto a nessuno. E a dover abbozzare scuse a parole, si può sostenere tutto e il contrario di tutto. La giustizia dei giudici è il trionfo dell'arbitrio.

    Alpha T

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