Pare essersi sedato,
come accade in un regime di informazione a rapida obsolescenza, il clamore
suscitato dalla vicenda giudiziaria su cui la nostra Suprema Corte si è
pronunciata con la sentenza n. 16754/2012 (qui, qui e qui).
Il problema della legittimità e fondatezza di una pretesa risarcitoria nei
confronti del medico, responsabile di aver omesso di eseguire ogni esame
prenatale idoneo ad individuare anomalie fetali sulle quali intervenire con
IVG, è stato brillantemente affrontato, sotto i profili medici e bioetici, sia in questo blog che altrove:
provo, pertanto, a tracciare ora uno schizzo più propriamente giuridico della
questione, ripercorrendo l’iter logico
di una sentenza “innovativa” nel nostro sistema, ma “allineata” a istanze
sovranazionali e non solo (per esempio, alla giurisprudenza di legittimità
francese).
La coppia protagonista della vicenda, giova ricordare, adisce il giudice civile per denunciare l’omissione del medico, il quale, benché espressamente richiesto di procedere a tutti i necessari accertamenti per escludere malformazioni fetali, e pur avvertito dalla madre che la nascita di un figlio sano sarebbe stata condizione imprescindibile per proseguire la gravidanza, non effettuava accertamenti specifici, limitandosi al c.d. Tritest, la cui fallibilità, però, sarebbe emersa qualche mese dopo alla nascita della bimba, affetta da Sindrome di Down. I giudici di merito, in primo grado e in appello, rigettano le domande risarcitorie presentate dai genitori (sia in proprio, sia in nome e per conto della figlia disabile e degli altri figli), con motivazioni di ordine processuale (sulla base di un precedente analogo, infatti, la legittimazione del figlio malato è negata) e di diritto sostanziale (la malformazione non è di per sé sufficiente a legittimare l’IVG, che si sarebbe collocata oltre il novantesimo giorno).
A motivo di
alcune carenze nelle motivazioni delle sentenze di merito, la causa giunge
dinanzi alla Cassazione. Ma i giudici di Cassazione, investiti di una questione
così scivolosa, tradiscono imbarazzo; il loro percorso argomentativo è
disseminato di affermazioni politically
correct e di progressismi giuridici che esprimono molto bene il tendenziale
adeguamento della Corte al pensiero dominante. La responsabilità del medico, ad
esempio, non attiene soltanto al profilo professionale (la mancata informazione
circa tutte le possibilità di indagine, e la conseguente circostanza
dell’omessa diagnosi), ma soprattutto all’illecito extracontrattuale derivante
dalla «violazione del diritto di autodeterminazione della donna nella
prospettiva dell’insorgere...di una [sua] malattia fisica o psichica». La
malattia della madre, che in base alla legge 194 dovrebbe rendere “giustificata”
l’IVG, viene più oltre descritta come oggetto di mera “presunzione”. Certo, nel
caso di specie la consulenza medico-legale aveva poi confermato un effettivo
danno biologico alla psiche della madre, ma se nella prassi una mera
presunzione basta a formulare una prognosi favorevole all’intervento abortivo,
si comprende che la vita del feto sarà risparmiata solo in pochissimi casi,
quelli evidentemente pretestuosi.
Più volte l’aborto
è definito senza tante perifrasi un “diritto”, in ossequio alle ultime tendenze di casa ONU.
Altrove, i giudici scivolano in notazioni di sociologia spicciola: il
risarcimento spetta anche alle sorelle della ragazza disabile, in quanto
subiscono «un serio danno...anche a prescindere...dalle inevitabili esigenze
assistenziali destinate a insorgere, secondo l’id quod plerumque accidit, alla
morte dei genitori. Danno intanto consistente...nella inevitabile, minor
disponibilità dei genitori nei loro confronti, in ragione del maggior tempo
necessariamente dedicato al figlio affetto da handicap, nonché nella diminuita possibilità di godere di un
rapporto parentale con i genitori stessi costantemente caratterizzato da
serenità e distensione; le quali appaiono invece non sempre compatibili con lo
stato d’animo che ne informerà il quotidiano per la condizione del figlio meno
fortunato...il vivere una vita malformata è di per sé una condizione esistenziale
di potenziale sofferenza». Insomma, i familiari dei disabili vivono in lutto
perpetuo a causa della condizione dei loro congiunti: sapevatelo. Ma consoliamoci:
i giudici non vogliono infatti mettere in dubbio la «incondizionata accoglienza
dovuta ad ogni essere umano che si affaccia alla vita». Peccato dalle pagine
successive emerga che “affacciarsi alla vita”, per il feto, è tutt’altro che
semplice.
Che diritti ha,
infatti, il feto? Pro iam nato habetur,
o sicut mulieris portio vel viscerum?
I giudici si pongono quesiti metagiuridici che tuttavia si guardan bene
dall’affrontare, per evitare il campo etico-filosofico che a loro dire esula
dal diritto (e che, invece, potrebbe illuminarlo dall’alto); così, affermano
che «nel bilanciamento tra il valore (e la tutela) della salute della donna e
il valore (e la tutela) del concepito, l’ordinamento consente alla madre di
autodeterminarsi», quasi che un autentico bilanciamento giuridico possa
risolversi in un atto per definizione unilaterale. Le ambigue oscillazioni
linguistiche e concettuali non mancano di inquietare il lettore (il diritto
all’aborto, dopo alcune righe, torna ad essere una più sfumata “possibilità”
della donna, per poi ridiventare ancora “diritto personalissimo”, tipo il
diritto al nome, per intenderci), mentre la Corte s’ingegna a rovesciare i
precedenti in materia, per poter affermare finalmente un diritto al
risarcimento da “vita sbagliata”. Nel farlo, qui e là viola la reticenza etica
e semina aforismi: «l’atto della procreazione è frutto di una scelta che
spetta, giuridicamente, soltanto ai genitori; ma la donna è, inevitabilmente,
il solo legittimo destinatario del diritto a decidere se procedere o no all’interruzione
della gravidanza». Con buona pace della (altrove sacrosanta) bigenitorialità.
(VAI ALLA SECONDA PARTE: http://www.campariedemaistre.com/2012/10/dal-giusnaturalismo-al-giusfunambolismo.html)
Pubblicato il 30 ottobre 2012
(VAI ALLA SECONDA PARTE: http://www.campariedemaistre.com/2012/10/dal-giusnaturalismo-al-giusfunambolismo.html)
E' il sistema giudiziario che prima di tutto non funziona, perchè non rende conto a nessuno. E a dover abbozzare scuse a parole, si può sostenere tutto e il contrario di tutto. La giustizia dei giudici è il trionfo dell'arbitrio.
RispondiEliminaAlpha T