di Giulia Tanel
Il 13 maggio si
svolgerà a Roma la seconda edizione nazionale della Marcia per la Vita. L’intento
degli organizzatori, come si legge sul Comunicato Stampa pubblicato sul sito
ufficiale www.marciaperlavita.it, è principalmente quello di “[…] deplorare l’iniqua legge 194 che ha
legalizzato l’uccisione, sino ad oggi, in Italia, di 5 milioni di innocenti e
di ribadire che esiste una distinzione tra Bene e male, tra Vero e falso, tra
Giusto ed ingiusto”.
L’aborto, ossia l’uccisione deliberata di
un innocente nel grembo materno, è un gesto deplorevole ed omicida. E per
affermare questo non occorre – come in molti vorrebbero far credere – essere
cristiani, bensì è sufficiente guardare la realtà con onestà e senza pregiudizi
di sorta: la legge 194, che dal 1978 regolamenta l’aborto in Italia, legittima
la soppressione di un individuo. Perché di questo stiamo parlando: di una
persona, magari di poche settimane, ma pur sempre “persona”.
Essere
contrari all’interruzione volontaria della gravidanza, dunque, non è prerogativa
solo dei credenti. E questo perché l’aborto
interessa molteplici aspetti del vivere, non solo quello religioso.
A
supporto di tale tesi paiono interessantissime le testimonianze di molti uomini
noti della cultura italiana, di certo non famosi per la loro adesione alla fede
cattolica.
Pier
Paolo Pasolini nell’articolo “Sono contro l’aborto”, apparso sul Corriere della Sera il 19 gennaio 1975,
scriveva: “Sono però traumatizzato dalla legalizzazione dell'aborto, perché la
considero, come molti, una legalizzazione
dell'omicidio”. Pochi anni dopo, l’8
maggio del 1981, Norberto Bobbio – intellettuale laico e progressista – in
un’intervista a Nascimbeni affermava: «Vorrei chiedere quale sorpresa ci può essere nel fatto che un laico consideri come
valido in senso assoluto, come un imperativo categorico, il "non
uccidere". E mi stupisco a mia volta che i laici lascino ai credenti il
privilegio e l'onore di affermare che non si deve uccidere». Ed, infine, in
anni più recenti anche il direttore de Il
Foglio, Giuliano Ferrara – che ama definirsi “ateo devoto” – si è più volte
schierato pubblicamente contro l’aborto, giungendo perfino a promuovere la
lista “Aborto? No, grazie” per le
elezioni del 2008.
Proponiamo qui di seguito una rapida sintesi di alcune
motivazioni “laiche” per cui dichiararsi contrari all’aborto. Naturalmente non
si ha alcuna pretesa di essere esaustivi, ma l’intento è solo quello di fornire
qualche spunto di riflessione.
Un primo versante strettamente legato alla tematica in
questione è quello medico, chirurgico e
psicologico.
Riguardo questo ultimo aspetto, in particolare, sono
moltissimi gli studi che dimostrano come una donna che ha ucciso il proprio
bambino risente di tale gesto per mesi, o anche per anni, sviluppando una vera
e propria sindrome “post-aborto”, che può articolarsi secondo una diversa scala
di gravità.
Il dato curioso è che a confermare la gravità di questa
sindrome sono studi condotti da donne: la dottoressa Everett Koop, incaricata
da Reagan di fare chiarezza sugli effetti dall’aborto, coordinò infatti uno
studio monumentale; incontrò 27 gruppi fra filosofi, sociologi, medici e altri
professionisti interessati al problema dell’aborto, intervistò moltissime donne
che avevano abortito ed eseguì un’accurata revisione di più di 250 studi
presenti nella letteratura scientifica riguardanti l’impatto psicologico
dell’aborto. Ebbene, le conclusioni a cui giunse la dottoressa furono
drammaticamente chiare: l’aborto ha impatti psicologicamente devastanti sulle
donne (Cfr. Koop CE: Postabortion sindrome: mith or reality? Health Matrix 1989
Summer , 7(2): 42-4).
Nel complesso, i danni che l’aborto provoca sulle donne si
articolano in disturbi emozionali, in comportamenti fobico-ansiosi, in
scompensi neurovegetativi, in problemi nella comunicazione e nell’alimentazione,
ed, infine, in disturbi del sonno, del pensiero e della sfera sessuale. Inoltre, non vanno sottovalutate le
pulsioni suicide (Cfr. Fergusson D, Horwood LJ, Ridder E: Show the child at
seven II : Childhood intelligence and later outcomes in adolescence and young
adulthood. J of Child Psychiatry and Psycology 2005 Aug ; 46 (8) : 850-8).
Quando si parla delle problematiche psicologiche conseguenti
l’aborto è doveroso non dimenticare le altre persone che – oltre alla donna –
sono coinvolte, più o meno direttamente, nell’aborto: il padre del bambino, gli
eventuali fratelli, i nonni, gli operatori sanitari, e via discorrendo. Anch’esse,
infatti, possono risentire di disturbi più o meno gravi.
Un secondo ambito disciplinare fortemente tirato in causa
quando si parla di aborto è quello giuridico.
Infatti, l’uccisione di un essere umano è di per sé sbagliata, perché
contraddice la logica stessa dello stato di diritto, che si configura come
assetto istituzionale volto a tutelare anzitutto il debole e l’indifeso, colui
che non ha voce.
In particolare, non si può non rilevare, per citare il
versante internazionale, la palese contraddizione vigente tra la depenalizzazione
dell’aborto e la promozione del diritto alla vita, sancita espressamente anche
dal preambolo della Dichiarazione
Universale dei Diritti dell’Uomo (1948), laddove si riconosce che “il
fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo” risiede nella
“dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana, e dei loro diritti,
uguali ed inalienabili”.
Un ulteriore fronte che risente negativamente dell’aborto è
quello sociale e pedagogico. E
questo per vari motivi: in primo luogo l’aborto tende a deresponsabilizzare la
donna e l’uomo, facendo credere che “ad ogni errore c’è un rimedio” ed
incentivando, dunque, una morale sessuale libertina; in seconda istanza,
l’aborto gioca un ruolo enorme nell’inverno demografico che stiamo attraversando
e che, con gradualità, porterà la nostra nazione al collasso, proprio per la
mancanza di un adeguato ricambio generazionale e per l’aumento dell’età media
dei cittadini.
Da ultimo, è importantissimo sottolineare come la solitudine
giochi un ruolo chiave nella scelta o meno di porre fine ad una gravidanza: le
donne che vengono sostenute nelle difficoltà e che sono accompagnate da volti
amici, infatti, sono portate a tenere il loro bambino, anche se magari in un
primo momento la pensavano diversamente. La solidarietà è dunque fondamentale,
ed è un compito cui tutti siamo chiamati ad impegnarci in prima persona.
Un'altra branca del sapere che è influenzata pesantemente e
in maniera negativa dalla pratica abortiva è quella economica. Basti pensare, infatti, che in Italia vengono effettuati
circa 130.000 aborti all’anno e che per ognuno di questi lo Stato è costretto a
sborsare un complessivo che oscilla tra i 700 e gli 800 euro. Facendo un rapido
calcolo, dunque, ne risulta che dalle casse dello Stato – che, di questi tempi,
non sono certo straripanti di risorse – escono annualmente circa 100.000.000
euro esclusivamente per finanziare l’uccisione di cittadini italiani.
Infine – li abbiamo tenuti volutamente per ultimi – vi sono
tutta una serie di aspetti etici, morali
e religiosi per cui essere contrari all’aborto.
L’aspetto religioso, perché il quinto comandamento cita
esplicitamente “Non uccidere”, in quanto la vita è il dono più prezioso che Dio
abbia fornito agli uomini; e, in seconda battuta, perché arrogarsi la facoltà
di decidere della vita altrui non è lecito, in quanto essa appartiene solo ed
esclusivamente a Dio.
Il fronte etico e morale, perché l’aborto altro non è che un
omicidio: né più, né meno. Negare tale fatto è irrazionale, oltre che
profondamente ingiusto, in quanto la scienza (anche quella “laica”) ha
dimostrato ormai da tempo che fin dal concepimento si è di fronte ad un nuovo
individuo: in potenza, certo, ma pur sempre di una persona si tratta.
Abbiamo quindi visto come siano molte le motivazioni
per cui essere contrari l’aborto. Ma forse, la motivazione più importante di
tutte è che la vita è bella e che ognuno – indipendentemente dal suo essere
perfetto, imperfetto, maschio, femmina, nero, bianco, eccetera – dovrebbe avere
la possibilità gustarne il succo. Senza che nessuno decida al suo posto.
Pubblicato il 10 maggio 2012
Tra le varie cazzate scritte, la motivazione "economica" le supera tutte.
RispondiEliminaPer ogni bambino nato lo Stato spende ben più di 700-800 EUR (si pensi solo all'assistenza per il parto, ai vaccini etc.)
Bene anonimo, rendiamo illegale le nascite e obbligatorio l'aborto, così risparmiamo. Nel giro di una generazione ci estinguiamo, ma almeno abbiamo risparmiato.
RispondiEliminaRiccardo, perché mi metti in bocca parole che non ho mai detto. Non ho mai scritto che bisogna abortire per risparmiare
RispondiEliminaIo ho semplicemente detto che tra le varie cazzate scritte nell'articolo, la cazzata più grossa sta nella motivazione economica.
Se la motivazione per esser contrari all'aborto è risparmiare (come scritto da Giulia Tanel, non da me!), allora è più "conveniente" abortire.
Ma, ripeto, non ho mai scritto "abortite, così lo stato risparmia"
Ero sarcastico. Già considerare il valore di una vita in base a quanto costa è abominevole, ma ti sei anche dimenticato che una persona, dopo la nascita, può arricchire un paese con il suo lavoro.
RispondiEliminaio non ho dimenticato un bel niente (infatti ho sempre scritto "cazzate").
RispondiEliminaTi consiglio invece di rivolgere il tuo sarcasmo all'autore dell'articolo, non a me.
Forse l'anonimo non distingue fra spesa (per un aborto) e investimento (per una vita). Semplici questioni di finanza da primo esame universitario di economia, e di logica. E se non distingue questo non vedo come possa comprendere argomentazioni scientifiche o filosofiche. E si vede dai suoi commenti.
RispondiEliminaMarcoP