16 settembre 2018

Aperture domenicali. Italietta provvisoria e intuizioni guareschiane

di Samuele Pinna
L’attuale dibattito sulla chiusura o meno dei negozi alla domenica mi ha fortemente intristito, non perché non meriti attenzione, ma per il tenore della discussione, identico ormai a ogni confronto. Ho la stessa sensazione di Guareschi quando tornato dai lager non ritrovò la sua patria, ma un’«Italia provvisoria», meschina e vile, nella quale i grandi ideali erano ormai quasi del tutto estinti. Il mio imbarazzo, anche in questo caso, si origina da una confusione che si respira a tutti i livelli e che ti fa venir voglia di chiudere la questione con una alzata di spalle e chi si è visto si è visto.

La giustificazione che adduco alla mia poco compassionevole condotta è il convincimento di applicare un certo grado di contemplazione, una sorta di fuga saeculi, ma so essere una scusante per non impazzire davanti a un mondo al contrario. Questa la ragione – niente vien per nuocere! – per cui mi butto in letture interessanti, come in quelle scritte dal padre di don Camillo e Peppone, «il maggiore scrittore italiano del Novecento», come lo descrisse Carlo Caffarra (davanti a questo giudizio Giovanni Morra – il cui articolo è fonte dei miei odierni pensieri – è convinto che il Cardinale sia stato «un po’ condizionato dall’amore per la campagna parmense dove entrambi erano nati»). Dati alla mano, sicuramente è l’autore italiano tra i più letti e tradotti al mondo.

Tornando al nostro problema istituzionale, di là da ogni giudizio politico che non mi compete, mi è sembrata in linea di massima una buona iniziativa quella del Governo: in questo modo si rispetta la famiglia, che ha diritto a un giorno di riposo e a passarlo insieme e non tra degli scaffali. Mi pare un vantaggio anche per i lavoratori che possono vivere la festa come gli altri (e sarebbe una cosa davvero democratica!). Infine, mi sembra conveniente per tutti in quanto ognuno può riscoprire il dono della vita scandita da un uso sensato del tempo.

Tuttavia, guardando la televisione, grave errore, perché secondo Guareschi – e come dargli torto – «il successo della televisione deriva dal fatto che cammina col passo più lento per essere seguita da tutti. Così i tonti restano tonti e i non tonti lo diventano», dicevo: vedendo la TV sono incappato in diversi dibattiti. In uno di questi un tale ha risposto a un vescovo, il quale aveva esposto più o meno (lui molto meglio) i miei concetti, che la Chiesa sostiene questa possibile normativa, perché in realtà vuole riportare la gente a Messa. Non credo minimante nell’efficacia di una siffatta operazione, non sono cioè convinto che la manovra aiuti a riportare le persone alla partecipazione eucaristica, tremendamente in crisi ovunque. Sono, invece, persuaso che possa ridare dignità al tempo a disposizione di ogni persona e a saper riconoscere i luoghi in cui passare quello libero in modo sano.

È incredibile oggi che i nuovi templi siano i centri commerciali dove si è clienti e dove ci si va per spendere denari. Uno strano modo per aggregarsi e per stare insieme alla famiglia e agli amici (o, ahimè, da soli). Non capisco coloro che si lamentano del poco tempo libero e poi lo passano in questa maniera con la giustificazione che non ne avevo altro nei giorni restanti: “fare la spesa” è come dire ormai “fare una gita”. Sicuramente ci saranno ragioni.
E, probabilmente, la prima è il “benessere”, che ha portato – come ha spiegato lo scrittore della Bassa – «un sacco di novità: night, cabaret, spogliarelli, festival, whisky a gogò, cinema sexy, musica, moda e persino Messe beat. Le donne non allattano più i bambini, li allevano con mangimi in scatola. Non cucinano più perché non ne hanno il tempo, comprano tutto già bell’e pronto: cibi in scatola, surgelati, rosticcerie e friggitorie».

Qualcuno, però, ribatte che questa proposta di legge sarebbe solo frutto di una nostalgia verso un passato che non c’è più. La soluzione – libertina – è quella allora di lasciare, appunto, “libero” ognuno di fare quello che vuole, ossia ai singoli negozianti di decidere se tenere aperto o meno. Soluzione facile in cui un’idea indefinita di “libertà” risolve ogni problematica. Ma è davvero libero colui che impegna la propria vita in qualcosa di sbagliato e nocivo per sé e per gli altri? Domanda troppo altisonante per un problema tanto terra terra. Forse. Indubbiamente per l’«uomo mandria», così apostrofato da Guareschi. A suo parere – che trova il mio pieno assenso – «viviamo nell’epoca dei falliti, dei senza idee, dei demagoghi, degli ipocriti, che in nome della “Giustizia sociale” stanno perpetrando la più orrenda ingiustizia: spersonalizzare l’individuo, ucciderlo per creare il cretino medio».

In un altro dibattito da tubo catodico, a un certo punto, uno ha dichiarato che i problemi sono altri, non questo, e che non si può porre limite al progresso. Ciò mi colpisce e mi dà ogni volta da pensare: è sempre “altro”, infatti, il problema da affrontare e mai quello sul piatto, dove tutto è da sacrificare alla divinità del progresso. Ancora una volta mi viene in aiuto Giovannino, il quale è assai lontano dall’accondiscendere al mito del progresso: «strabilianti macchine hanno arricchito la vita materiale degli uomini e impoverito sino a distruggerla la loro vita spirituale. Il mondo è una grossa palla di terra sulla quale alcuni miliardi di formiche si danno da fare per vivere sempre più scomodamente. L’uomo ha una bella pesca, ma butta via la polpa e rosicchia solo il nocciolo».

Tra le tante cose sentite, un’ultima – che si tira sempre in ballo – è quella della preoccupazione per le nuove generazioni: “Che cosa facciamo noi per i giovani?”. Guareschi ha una risposta tagliente e non politicamente corretta: «La vera domanda da porre è un’altra: che cosa fanno i giovani per loro stessi e soprattutto cosa fanno per gli altri? Al diavolo i giovani. Ne ho le tasche piene dei loro problemi. Un tempo avevano come ideali la religione, la famiglia, il lavoro. Hanno detto loro che erano droghe e ci hanno creduto, ma subito dopo hanno cercato altri tipi di droghe».
Quindi: negozi aperti o chiusi alla domenica? Non voglio arrivare a conclusioni, ma ho letto da qualche parte che anche Dio ha scelto un giorno per riposarsi, tenendo conto che io – in quanto sacerdote – la domenica “lavoro” di più rispetto al resto della settimana.

 

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