26 giugno 2021

Ac, Agesci e l'educativamente corretto



di Fabrizio Cannone

Tra le tante agenzie educative fondate dalla Chiesa l’Azione cattolica e l’Agesci (scout cattolici) non sono davvero due associazioni secondarie e trascurabili. Sia per la loro storia, lunga e colma di opere buone, sia per la capillare diffusione tra giovani e adulti. 

Malgrado il calo registrato tra gli scout italiani negli ultimi anni e le defezioni fra gli iscritti alla più antica opera di laici cattolici – l’AC nasce sotto Pio IX – si tratta pur sempre di due associazioni-movimenti che coinvolgono migliaia e migliaia di persone, di tutti i contesti sociali, economici e culturali.

Recentemente, AC e Agesci si sono unite per pubblicare un documento congiunto, intitolato “Un Noi generativo” e dedicato al “Patto educativo globale” sostenuto da papa Francesco.

Questo documento ha molti pregi, tra cui spicca quello di non essere succube del politicamente corretto che, di questi tempi, influenza e corrode tutti gli ambienti, inclusi quelli ecclesiali.

Non c’è traccia infatti nelle 6 pagine del testo di migrazioni e accoglienza, populismi e razzismi, transfobia e cyberbullismo, famiglie arcobaleno, omoparentalità e via discorrendo. E questo, oggi, non è poco.

In positivo poi è sottolineata, spesso con belle parole, la dimensione religiosa delle due associazioni e delle rispettive proposte educative.

Così, è scritto che “In primo luogo, il metodo educativo di Ac e Agesci si basa sul protagonismo dei ragazzi. Al centro dei nostri percorsi ci sono proprio quelle ragazze e quei ragazzi che desiderano crescere nella formazione umana e cristiana, imparando ad approfondire l’amicizia del Signore nella relazione con gli altri, nella cura del Creato e nell’impegno a servizio della propria comunità”.

Nel mare magnum delle proposte (dis)educative di stampo relativista, lassista, laicista e nichilista è bello sentir riaffermato il legame tra fede e gioventù, tra Vangelo e formazione umana. E questo avviene più volte nel testo.

Come quando si dice, quasi fosse una banalità che va da sé, che: “Sappiamo bene che tutti, a partire proprio dai più piccoli, sono a loro volta evangelizzatori. I ragazzi portano la testimonianza della loro fede anche in famiglia e negli ambienti di vita, ad esempio la scuola”.

Purtroppo però il documento non sfugge del tutto ad uno dei dogmi più insidiosi dell’attuale “educativamente corretto”. Ovvero l’esagerazione del valore dell’esperienza vitale e la parallela, e assurda, svalutazione dell’aspetto intellettuale, dottrinale, culturale che ogni formazione richiede.

Si dice infatti: “Per noi, educare non significa trasmettere nozioni o contenuti, ma vivere insieme un’esperienza di fede e di vita. La dimensione esperienziale caratterizza i nostri percorsi, valorizzando una via di educazione alla fede che privilegia il vissuto”.

Ma senza trasmettere nozioni e contenuti qualunque evangelizzazione risulta impossibile. Un ragazzo ateo o relativista o di altra religione può essere evangelizzato solo se viene a sapere che Dio esiste e che si è rivelato in Palestina 2000 anni fa, che i comandamenti sono 10 e i sacramenti 7… E queste sono nozioni, contenuti e conoscenze fondamentali e decisive per il giovane di oggi. Specie se, come ripete il testo, nei ragazzi si intende suscitare “l’entusiasmo e il desiderio di conoscere Gesù Cristo e di vivere da cristiani protagonisti”.

Lo stesso documento in questione contiene pensieri, nozioni e contenuti. Senza contenuti non si dà trasmissione, tradizione, pedagogia, moralità e religione.

L’Azione cattolica nella sua storia secolare ha prodotto testi, libretti formativi, manuali per gli iscritti, per non parlare delle incalcolabili conferenze, corsi di formazione e simili. Guai a confondere nozioni e nozionismo sterile: sarebbe la fine di ogni educazione e di ogni scuola. Da trasformare in bar, palestra o stadio per favorire esperienze più che aumento di conoscenze. Un po’ come fanno certi teologi progressisti i quali, per spiegare che la pastorale avrebbe la priorità sulla dottrina, scrivono degli illeggibili mattoni di teologia per quei pochissimi iniziati che riescono a capirli!

Il grande generale inglese Baden Powell (1857-1941), fondatore universale dello scoutismo, è stato sì un immenso e inarrivabile uomo d’azione. Ma altresì uno scrittore fecondo, i cui magnifici testi hanno formato un numero immane di uomini e donne nell’intero globo. A base di contenuti precisi, indicazioni, suggerimenti, “nozioni”, e perfino slogan sintetici e regole da memorizzare. Si pensi al Manuale dei Lupetti o al Libro dei Capi, tuttora disponibili (ed educativamente consigliabili) per le edizioni Fiordaliso di Roma.

Il messaggio del documento, malgrado questo intoppo, resta chiaro e di cuore lo facciamo nostro. “Guardare la vita di Gesù è (…) paradigma e strada da seguire per imparare a vivere”. La proposta formativa cristiana resterà sempre una momento “contagioso e affascinante, capace di attrarre di generazione in generazione alla bellezza del dono di sé, in una relazione educativa di prossimità vera, fruttuosa, incarnata nell’oggi ma tesa al Cielo”.




 

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