14 marzo 2021

Macché "povera per i poveri". Serve la cura delle anime


di Giorgio Salzano

Va bene, a me Francesco non piace. Lo chiamo con il nome che ha assunto come Papa, che dal racconto di un anziano amico egli sembra tenda a confondere con il proprio nome: in una udienza in cui gli fu presentato, invitando il mio amico a chiamarsi per nome disse, io mi chiamo Francesco e tu? (C’è bisogno che spieghi la fallacia? Al Papa do eminentemente del “lei”, a chiamarsi amichevolmente per nome allora io sarei Giorgio e lui Jorge-Mario.) Ma rischio di divagare. A me dunque l’attuale Papa non piace. So però che ci sono tanti a cui piace. Anche persone di ottimo sentire dalle quali non vorrei essere estraniato. Purtroppo il rischio di estraniamento c’è, dato che nella Chiesa siamo un po’ come guelfi e ghibellini. Fortunatamente non ci scanniamo tra noi come essi facevano al loro tempo. Ma a esprimere riserve nei confronti di Francesco ti becchi facilmente dai suoi sostenitori un “tradizionalista!”. Forse hanno ragione loro, ma “ista” proprio no. Il mio dispiacere ha le sue ragioni, che hanno a che fare con la tradizione, ma non quella specificamente cristiana.

Credo di capire i motivi per cui a tanti piace. Perché vertono su questioni all’ordine del giorno non saprei da quanti decenni, che mi hanno dato di che ragionare. Sappiamo quali sono i leitmotivs della sua predicazione: i poveri, gli emigranti, l’ecologia. Ogni tanto predica anche con parole forti contro l’aborto, ma questo non ha risonanza nell’opinione pubblica, e dove quegli altri sono in gioco sembra passare in secondo piano (come mi pare sia avvenuto in occasione delle recenti elezioni americane, quando non mi risulta che il tema dell’aborto, propugnato dalla leadership democratica fino al nono mese, ossia fino all’infanticidio, abbia giocato un gran ruolo nelle simpatie di tanta parte dell’episcopato, vicina a Francesco). 

Un’immagine, diffusa immediatamente dopo la sua elezione a Papa, mostrava Bergoglio vescovo di Buenos Aires che andava in autobus come uno qualsiasi. Niente macchinone da ricchi. Lui sì! Quante volte mi è capitato di sentire, quando insegnavo religione alle scuole medie superiori, studenti che lamentavano il fatto che i preti si fanno le macchine, e che macchine. La Chiesa, pareva che dicessero, predica bene (la povertà) e razzola male (vive in ricchezza); e questo era per loro uno scandalo tale da tenerli lontani da essa. Frasi fritte e rifritte, che nascondevano le effettive ragioni dell’allontanamento (la progressiva svalutazione nella cultura egemone e quindi nella scuola dell’insegnamento della Chiesa). Francesco comunque, fin dalla sera in cui si presentò per la prima volta sul balcone con la semplice veste bianca, senza la ricca mantellina di ermellino, pareva un’altra cosa. Anche il suo famoso (per alcuni famigerato) “buonasera” mostrava una voluta mancanza di ieraticità, destinata a portare la figura del Papa più vicina alla gente. Ma mi chiedo quanto sia davvero vicino alla gente, o quanto meno all’ordinario fedele cristiano. 

A insegna del suo pontificato egli assumeva dunque il nome del poverello di Assisi. Ricordiamo poi lo slogan, in non so quale suo discorso di allora, a favore di una “chiesa povera per i poveri”. Ma che vuol dire una “chiesa povera”? Come sempre, i suoi slogan sono ambigui. Può anche significare giustamente una chiesa i cui rappresentanti vivono asceticamente. E in tal caso l’espressione sarebbe ineccepibile. Ma se prendiamo lo slogan alla lettera, mi viene da chiedermi che cosa se ne facciano i poveri di una chiesa povera. Quel che i poveri vogliono in fondo è di cessare di essere poveri. E ci vuole per questo una chiesa ricca, non solo in quanto apparato clerico-istituzionale che disponga di mezzi di carità materiale, ma in quanto costituita di uomini virtuosi capaci di creare ricchezza diffusa. 

Sta qua il problema di tanto parlare dei poveri: e i ricchi? O, in termini più astratti, la ricchezza per far sì che i poveri diminuiscano? Un altro slogan degli inizi del pontificato di Francesco era il paragone della Chiesa a un ospedale da campo. Bene, niente da dire. Ma significa che tutti, ricchi e poveri, hanno bisogno di cure per la loro salute (da salus, che vuol dire anche salvezza). Possiamo discutere, “laicamente”, di quale sia il sistema migliore di produzione e distribuzione della ricchezza, ovvero, semplificando, se affidandosi primariamente all’iniziativa diciamo privata o con un intervento dell’istituzione statale più o meno ampio. “Laicamente” mi sembra di poter dire che l’iniziativa privata ha dato in Occidente una miglior prova di sé, con tutte le riserve dovute allo svilupparsi di centri di potere economico che, anche se non son statali, difficilmente possono essere classificati data la loro estensione come privati. Ma in ogni caso la salus degli uomini è precaria e c’è bisogno di attendere ad essa. 

Ricchi o poveri, gli uomini tutti hanno bisogno della “cura delle anime” (come si diceva una volta), offerta dalla Chiesa con l’annuncio della buona novella, ovvero dell’avvento con Cristo del Regno di Dio. Ma questo annuncio sembra recedere sullo sfondo nella predicazione di Francesco: con l’enfasi sui poveri e, vedremo in post successivi, sui migranti e sull’ecologia. 


 

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