di Diego Benedetto Panetta
Ricordare la figura di Monaldo Leopardi, interprete affascinante ed ardimentoso del pensiero controrivoluzionario italiano, non è mai affar vano. Non risulta superfluo rammemorarne le gesta e commemorarne la personalità soprattutto in questo preciso periodo storico. L’annoso spaesamento che vive l’intero globo da poco più di un anno, a causa di una pandemia che non conosce confini né frontiere, rende la sua figura non attuale, attualissima.
Del padre del poeta Giacomo sembra essersene estinta la memoria. Eppure, è assai utile ricordare che la formazione del filosofo e poeta italiano poté essere così completa e variegata grazie alla tenace volontà paterna di predisporre un ambiente quanto più confortevole e propizio ad una formazione realmente integrale. La realizzazione dell’enorme biblioteca di casa Leopardi, composta da circa 16.000 volumi (di cui diversi concessi dietro esplicita richiesta fatta pervenire alla Congregazione dell’Indice), dei quali poté fare uso Giacomo, la famiglia e l’intera cittadinanza di Recanati, avvenne grazie al conte Monaldo ed al suo amore profondo per il sapere.
La figura di quest’ultimo non si esaurisce però in questa generosa ed illuminata volontà di far conoscere e diffondere i classici greci e latini, le culture orientali e lo scibile che la sua fornitissima biblioteca metteva a disposizione. Egli fu anche polemista e scrittore, in un frangente storico nel quale la battaglia delle idee anticipava e seguiva quella che si conduceva per mezzo degli eserciti.
Il suo profilo, soprattutto, si confonde con il ruolo che la cittadinanza di Recanati più volte volle dargli. Il conte Monaldo Leopardi ricoprì la carica di Governatore della città nel 1799, dopo che gli insorgenti scacciarono le truppe francesi. Egli accettò la gravosa carica con spirito cristiano, facendo del tutto per evitare altro spargimento di sangue ai danni dei recanatesi complici della passata esperienza governativa. Successivamente, dopo il Congresso di Vienna accettò la carica di Gonfaloniere dal 1816 al 1819 e dal 1823 al 1826. Fu durante i suoi mandati che tra le diverse opere pubbliche che promosse, vi fu, in particolare, un dato che colpisce l’occhio dei contemporanei, specialmente all’indomani di una campagna vaccinale che mostra la sua lentezza e i suoi lati oscuri.
Monaldo Leopardi introdusse per la prima volta nello Stato Pontificio la vaccinazione anti-vaiolo promossa da Edward Jenner nel 1798. La nobiltà per lui non era da riconoscersi tanto nel censo quanto nella capacità di sacrificarsi per il prossimo, di essere primo negli oneri, di accettare virilmente gravose responsabilità nei confronti della cittadinanza, che dal suo esempio avrebbe tratto un modo di essere, preludio di una r-icristianizzazione delle coscienze e, conseguentemente, della società.
Decise quindi di sperimentare il vaccino sui figli e di rendere obbligatoria la vaccinazione per la cittadinanza in mancanza di controindicazioni. Nelle Introduzioni agli annali di Recanati, si apprende anche che la insegnò personalmente ai medici locali e che prestò migliorie notevoli nel campo della sanità pubblica, non esitando a tassare i ceti più abbienti ove servisse al fine di poter pagare il medico condotto, ossia colui che per incarico del Municipio doveva occuparsi gratuitamente di prestare cure a chi non fosse in grado di remunerarne il compenso.
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