di Giuliano Guzzo
Ho non uno ma due commossi ringraziamenti da rivolgere, certo di non esser il solo, al cardinale Camillo Ruini per la sua intervista domenicale al Corriere della Sera. Il primo è per le sue parole da cui filtrano: una riabilitazione dei simboli religiosi in politica, incluso il vituperato rosario («Non sarei sicuro che sia soltanto una strumentalizzazione»), una condanna all’antisalvinismo («Non condivido l’immagine tutta negativa di Salvini che viene proposta in alcuni ambienti») e l’estrema unzione al cattoprogressismo («Il “cattolicesimo democratico”, in concreto il cattolicesimo politico di sinistra, in Italia ha sempre meno rilevanza»). Tanto ecclesialmente scorretto, in una sola intervista, non lo si ascoltava da anni.
Un secondo motivo per cui esser grati all’ex presidente della Cei deriva dalla rabbia che le sue parole, in queste ore, stanno scatenando in casa cattoprogressista. Infatti, nonostante un pontificato certo non conservatore, anzi costellato di «aperture» su divorziati risposati, omosessualità, celibato sacerdotale, Eugenio Scalfari ormai domiciliato in Vaticano, Emma Bonino e Giorgio Napolitano elevati «tra i grandi dell’Italia di oggi» e chi più ne ha più ne metta; nonostante tutto questo, si diceva, a certo teologame bastan poche parole di un cardinale di 88 anni per tornare ad imbestialirsi come vampiri con luce e aglio. Perché al cattoprogressista puoi chiedere di tollerare il musulmano, l’ateo, l’ultrabortista sorosiano, tutto: ma non il cattolico autentico, quello mai. Dieci, cento, mille di queste interviste, Eminenza.
Pubblicato il 05 novembre 2019
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