È noto che Alessandro Manzoni sia considerato il migliore e più famoso scrittore cattolico italiano in prosa. Ma ciò che viene da così tanto tempo proclamato è vero ?
Che Manzoni sia uno scrittore molto amato dal pubblico è falso. Ciò però dipende dall’uso strumentale che ne ha fatto la scuola italiana. Imporre la lettura di un qualsiasi libro, capitolo per capitolo, paragrafo per paragrafo, frase per frase, e poi farne oggetto di riassunti, temi, compiti in classe, interrogazioni, è la migliore maniera per far odiare ogni tipo di letteratura. Questo è successo per I Promessi Sposi. Purtroppo, perché in sé il libro non è cattivo; ha una buona rievocazione storica, curata fin nei minimi particolari, una certa scorrevolezza di racconto malgrado le lunghe descrizioni, e nel sottofondo c’è un senso ironico che raramente si trova negli scrittori italiani.
Da Manzoni discende quasi in linea diretta Giovannino Guareschi. C’è solo da sperare che Don Camillo e Peppone non entrino mai in classe come libri di lettura scelti dagli insegnanti.
Questo per ciò che riguarda l’opera più celebre, ma dell’autore cosa possiamo osservare?
Se diamo retta ad una certa leggenda, la conversione di Manzoni dall’agnosticismo al Cristianesimo non fu di cuore o di ragione, ma solo di spavento: temeva di aver perso sua moglie durante un tumulto. C’è da dubitare che sia stato così, ma poi come si comportò il neo-cattolico?
Ricco e nobile, si stabilì in un palazzo tuttora esistente nel centro di Milano, e da lì praticamente non si spostò più per il resto della sua vita. Anche dopo il grande successo letterario delle sue prose, poesie e tragedie, niente conferenze né incontri con il pubblico. Moltissimi saranno i commentatori delle sue opere, ma lui non si degnò mai di una spiegazione extra. Idem per la letteratura del suo tempo; Nè Foscolo, o Leopardi oppure Guerrazzi o Silvio Pellico incontrarono un qualsiasi suo interessamento.
Passando alla politica, Il Risorgimento Manzoni preferì guardarlo dalla finestra, piuttosto che esprimersi. Le due composizioni poetiche patriottiche, Marzo 1821 e 5 Maggio aspetteranno più di un quarto di secolo prima di essere pubblicate. Si tappò in casa durante la rivoluzione delle Cinque Giornate che liberarono per un poco la sua Milano, da lontano seguì la carriera ed i successi come primo ministro del Piemonte di Massimo D’Azeglio (suo genero!). Si degnerà di scrivere un compendio che contrappone la rivoluzione francese con l’unità d’Italia, ma questo per il fatto di essere stato eletto volente o nolente nel primo parlamento italiano. A questo proposito, nell’aula di Torino Camillo Cavour alla sua entrata si alzò in piedi e chiese l’applauso per la maggior gloria letteraria della giovane nazione Italia, ma piuttosto che voler apparire, Manzoni batté le mani pure lui, facendo ritornare l’ovazione a Cavour.
E la religione? Si sa che il Risorgimento venne quasi tutto ispirato e gestito dalla massoneria, ma vi fu un momento durante il 1848 in cui i patrioti videro nel Papa Pio IX il loro capo ed ispiratore, e sulle barricate delle Cinque Giornate echeggiava il grido ed il canto “Viva Pio IX”, ma Manzoni nemmeno allora volle prendere posizione. Antonio Rosmini frequentò casa Manzoni, e da lui ebbe aiuti finanziari per le sue iniziative scolastiche, ma mai si scomodò di farsi vedere in quelle stesse scuole. Nel 1810 all’indomani della sua conversione, Manzoni iniziò a scrivere dodici inni sacri, ma ne terminerà soltanto cinque.
Verrà poi assorbito dal suo romanzone, dove darà sicuramente un senso compiuto all’intervento della giustizia divina e della provvidenza, specie verso gli umili, ma se analizziamo nel particolare, le figure religiose meglio riuscite sono quelle negative: il prete vile e pauroso Don Abbondio e la Monaca di Monza incattivita e cinica. Le due figure positive rendono poco; il cardinale Borromeo è un “primo della classe” quasi bolso e retorico, e fra Cristoforo agisce poco sulla scena, travolto prima dalla sua stessa irruenza, poi dalla pestilenza.
Il Cattolicesimo c’è nei Promessi Sposi, ma è di carta; il suo autore non avrebbe mai trovato in sé stesso le virtù decantate nel proprio scritto. Manzoni insomma predicava bene, ma razzolava molto meno attivamente. Un esempio di questa inconsistenza di azione sta in una lettera spedita ad un suo nipote, Giulio Trotti Bentivoglio (1842-1866), allievo ufficiale di marina nel periodo 1856-1861. Il giovane si lamenta della durezza della vita militare alla quale viene sottoposto. Nonno Alessandro risponde: “Coraggio dunque, il mio Giulio! Anche a studiare, anche a assoggettarsi a una serie regolare d’operazioni per sé poco dilettevoli, ci vuole coraggio; e l’andarci di mala voglia è anch’essa, per dir la parola orribile per Giulietto, una specie di paura.”
Tuttavia, il famoso romanziere non aveva mai provato la disciplina, non era stato militare neanche un giorno in vita sua.
È una delle facoltà singolari e incomunicabili della religione cristiana, il poter indirizzare e consolare chiunque, in qualsivoglia congiuntura, a qualsivoglia termine, ricorra ad essa. Se al passato c’è rimedio, essa lo prescrive, lo somministra, dà lume e vigore per metterlo in opera, a qualunque costo; se non c’è, essa dà il modo di far realmente e in effetto, ciò che si dice in proverbio, di necessità virtù.
RispondiEliminaForse un giorno anche l'autore di questo articolo scoprirà questa verità...
Questo su Manzoni e''ll piu' insulso' inconcludente' , pieno di pregiudizi' sciatto articolo di critica letteraria e politica che abbia mai letto! Si giunge a conclusioni negative laddove non c'e' alcun presupposto. Pessimo' veramente pessimo!
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