Parlando del secondo secolo, abbiamo insistito nel ricordare come per i primi cristiani fosse importante l’opposizione fra musica pagana e musica cristiana.
Troveremo questo tema anche negli scritti di Clemente Alessandrino (150-215):
“E facciamo scendere, invece, dall'alto, dal cielo, la Verità, insieme con la splendidissima Sapienza, verso il monte sacro di Dio e il coro sacro dei profeti. Ed essa, brillando di una luce che splende quanto più lontano è possibile, illumini dappertutto coloro che si rotolano nelle tenebre, e liberi gli uomini dall'errore, tendendo la sua altissima mano, cioè l'intelligenza, verso la salvezza. Ed essi, rialzate le loro teste, e levati gli occhi verso l'alto, lascino il Citerone e l'Elicona ed abitino Sion: "Da Sion infatti uscirà la Legge e il Verbo del Signore da Gerusalemme", cioè il Verbo celeste, il genuino competitore, incoronato nel teatro di tutto il mondo. E il mio Eunomo canta, non sul modo di Terpandro nè su quello di Capione, e neppure su quello frigio o lidio o dorico, ma sull'eterno modo della nuova armonia, che ha nome da Dio, "il canto nuovo", il canto levitico: che duolo ed ira lenisce e dà l'oblio d'ogni male. Dolce e verace farmaco contro il dolore è stato infuso in questo canto. Mi sembra perciò che quel Trace e il Tebano e il Metimneo siano stati una sorta di uomini che non sono uomini, degli impostori, e che col pretesto della musica avendo corrotto la vita umana, per mezzo di qualche abile incantesimo essendo invasati dal demone, per condurre gli uomini alla rovina, celebrando delle efferatezze nei riti dei misteri e facendo dei lutti l'oggetto di onori divini, per primi abbiano tratto gli uomini al culto degli idoli: e con pietre e con tavole, cioè con statue e pitture, abbiano posto le fondamenta alla balordaggine della consuetudine, aggiogando alla estrema schiavitù, coi loro canti e i loro incantamenti, quella libertà veramente bella, di coloro che sono liberi cittadini sotto il cielo. Ma non tale è il mio cantore, Nè è giunto per sciogliere in lungo tempo l'amara schiavitù dei demoni che ci tiranneggiano: ma facendoci passare dal giogo dei demoni al giogo mite e filantropico della pietà, di nuovo richiama verso il cielo quelli che sono stati scagliati sulla terra. Solo lui infatti, fra quanti mai furono, mansuefaceva le fiere più selvagge di tutte, cioè gli uomini: mansuefaceva volatili, cioè gli uomini leggeri, rettili, cioè gli ingannatori, leoni, cioè gli iracondi, porci, cioè gli uomini dediti ai piaceri, lupi, cioè gli uomini rapaci. Pietre e legno sono gli inintelligenti, ma anche più insensibile delle pietre è l'uomo immerso nell'ignoranza. Testimone venga a noi la voce profetica, che s'accorda col canto della verità, voce che compiange coloro che si son consumati nell'ignoranza e nella follia: "Dio è capace di far sorgere da queste pietre dei figli ad Abramo ": Dio, il quale, avendo commiserato la grande stupidità e la durezza di cuore di quelli che sono diventati pietre rispetto alla verità, destò il seme della pietà, dotato del sentimento della virtù, da quelle pietre, cioè, dalle genti che hanno creduto nelle pietre. Un'altra volta, in un certo punto ha chiamato "prole di vipere" certi ipocriti velenosi e versipelle, che tendono insidie alla giustizia. Ma anche di questi serpenti, se qualcuno di sua volontà si penta, seguendo il Verbo, diventa "uomo di Dio ". Altri chiama allegoricamente "lupi", vestiti di pelli di pecore, intendendo significare i rapaci in forme di uomini. E tutte queste selvaggissime fiere, e le consimili pietre, lo stesso canto celeste le trasformò in uomini mansueti. "Eravamo infatti, eravamo una volta anche noi dissennati, disobbedienti, erranti, schiavi di piaceri e desideri vani, viventi nella malizia e nell'invidia, odiosi e odiantici l'un l'altro", come dice la Scrittura Apostolica, "ma quando apparve la bontà e la filantropia di Dio, nostro Salvatore, essa ci salvò, non per effetto delle opere che noi compiemmo in giustizia, ma secondo la sua misericordia". Vedi quanto potè il nuovo canto!” (Protreptico ai Greci, cap. 1). La lunga citazione ci consente però di osservare come questa dinamica sacro/profano fosse ben chiara ai primi scrittori cristiani, come lo sarà poi nei secoli a venire. Cristo sarà il nuovo Orfeo, come a volte verrà raffigurato, reinterpretando e trasformando il mito pagano per donare, importante dirlo, una nuiva lettura cristianizzata.
Mi è sempre sembrato importante sottolineare, anche in linea con una conferenza tenuta dal cardinale Alfredo Ottaviani su questo tema, una fondamentale continuità fra la Roma pagana e quella cristiana, per via di una trasformazione interna che rigetta quanto di profano vi era nella religione romana ma che anche assume alcune vestigia della stessa, come farà la Chiesa successivamente anche con gli imperi medioevali. Non dimentichiamo che siamo anche nel tempo in cui comincia a delinearsi il latino come lingua liturgica, un latino appunto che sarà rinnovato dal suo uso cristiano e che noi oggi chiamiamo “ecclesiastico”. Penso si dovranno dedicare più studi a questi importante processo di trasformazione.
Pubblicato il 06 dicembre 2018
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