05 dicembre 2018

Libri. Arte e scolastica

Un libro di Jacques  Maritain

di Samuele Pinna
A seguito dell’articolo umoristico a discapito di un gatto, ho ricevuto svariati commenti a proposito dell’arte sacra. Ho notato come, sovente, si consideri l’“arte” come qualcosa di assolutamente spontaneo con l’unico scopo di ricercare la sola “novità” espressiva per dirsi tale. Invero anche l’espressione artistica abbisogna di studio e di metodo a meno che, come mi diceva un mio amico pittore (vero), siamo banalmente convinti che gli italiani siano un po’ tutti “poeti, pittori e viaggiatori” (che è la variante nobile della caricatura dell’italiano vestito da pulcinella che mangia pizza e suona il mandolino).
Uno studio fondamentale che ha come oggetto l’arte e che segnò davvero un’epoca (oltre alle svariate riedizioni, Paolo VI si convinse delle tesi che si sprigionavano in quelle pagine, elevandole così a carattere universale nel suo pontificato) è stato il libro di Jacques Maritain Arte e scolastica da poco rieditato (di cui mi sono occupato da vicino perché ho coadiuvato Piero Viotto, curatore della nuova edizione).

L’arte – spiega Maritain – è una virtù intellettuale, una qualità dell’intelligenza, un habitus stabile e permanente. Il bello connaturale all’uomo è fatto di intelligenza e di sensibilità, ed è caratterizzato da tre qualità: l’integrità, perché l’intelligenza ama l’essere; la proporzione, perché l’intelligenza ama l’ordine e l’unità; e lo splendore, perché l’intelligenza ama la luce: «Per cui, dire con gli scolastici, che la bellezza è lo splendore della forma sulle parti proporzionate della materia, vuol dire che essa è una folgorazione d’intelligenza su di una materia disposta intelligentemente». L’intuizione della bellezza artistica, che avviene attraverso il senso, si pone al polo opposto dell’astrazione della verità scientifica, che mediante il discorso cerca l’intelligibile puro. La bellezza è una specie di bene, un di più della conoscenza, infatti l’essere vi è colto sub ratione delectabili. La bellezza è un trascendentale, che supera ogni specie di genere e di categoria, e analogicamente si ritrova in ogni essere, ma che si esprime compiutamente solo in Dio: «Così la bellezza è uno dei nomi divini. Dio è bello. È il più bello degli esseri, come affermano Dionigi l’Areopagita e san Tommaso, la sua bellezza è senza alterazione e vicissitudini, senza aumento e senza diminuzione; e perché non è come quella delle cose, le quali tutte hanno una bellezza particolarizzata, è bello per sé e in sé, bello assolutamente». C’è, quindi, una stretta relazione tra le arti belle e la saggezza, perché il loro valore è spirituale e il loro modo di essere è contemplativo, disinteressato, gratuito. La bellezza è una specie di gioco, un’attività fine a se stessa, ma l’arte per produrre la bellezza esige impegno e sforzo, perché non è un contemplare, ma un fare: «Da ciò consegue, per l’artista, una condizione strana e patetica, immagine essa stessa della condizione dell’uomo nel mondo, dove deve muoversi tra i corpi e vivere con gli spiriti».

L’elemento formale, che caratterizza la bellezza di un’opera d’arte – precisa Maritain – consiste nel modo con cui viene regolata la materia sensibile. È necessaria, pertanto, l’“educazione-apprendistato” per formare un artista mediante l’esercizio pratico e la convivenza con esperti, perché «l’arte, essendo un abito intellettuale, suppone necessariamente e sempre una formazione dello spirito tale da mettere l’artista in possesso di regole operative determinate». L’insegnamento, che rappresenta per l’apprendimento la via disciplinare, deve procedere come la medicina, cooperando con le disponibilità naturali dell’educando. La bellezza è il fine ultimo dell’arte, per cui l’attività artistica inizia nell’attività contemplativa, inizia cioè «in contatto con il trascendentale, che fa la vita propria delle arti del bello e delle loro regole», ma il fine immediato è l’opera d’arte da produrre, come realizzazione individuale e originale della bellezza. Tutta l’attività dell’artista deve essere focalizzata sull’opera da produrre. «Questo amore retto è la regola suprema», ma l’amore presuppone l’intelligenza e la prudenza. La tecnica, ovvero l’abilità manuale, è una condizione richiesta ma estrinseca, poiché l’arte imita la natura, non nel senso della copia o della riproduzione degli oggetti naturali, bensì nel senso difare come fa la natura, cioè come riproduzione dei processi naturali. D’altra parte, l’oggetto rappresentato nell’opera d’arte non è che un segno, che significa una bellezza che va oltre l’opera e l’oggetto stesso della rappresentazione. In tal senso, l’imitazione non consiste nel copiare le cose della natura, ma nel manifestare nell’opera d’arte la forma intelligibile secondo l’intelligenza umana, proprio come la natura manifesta nelle sue opere la forma intelligibile divina. La bellezza è una specie di conoscenza, che, senza far propriamente conoscere, esprime ciò che le nostre idee non possono significare. Le opere d’arte non tendono a copiare la realtà o a figurare l’ideale, ma a manifestare una forma con l’aiuto dei segni sensibili. La creazione artistica non copia quella divina, la continua.

Non bisogna, allora, confondere arte sacra con arte religiosa, al contrario si deve distinguere tra l’arte liturgica, utilizzata dalla Chiesa per il culto, e l’ispirazione religiosa delle opere d’arte. L’arte presuppone una ispirazione: «C’è una ispirazione reale, che non viene dalle muse, ma dal Dio vivente, una mozione speciale di ordine naturale per la quale la prima Intelligenza dà, quando le piace, all’artista un movimento creativo superiore alla misura della ragione e che fa uso, sopraelevandole, di tutte le energie razionali dell’arte, movimento, del quale sta alla libertà dell’uomo seguire lo slancio o alterarlo». Questa ispirazione naturale non deve essere confusa con l’ispirazione soprannaturale della fede e della grazia, ma nell’artista cristiano può avverarsi una unità senza confusione tra arte e fede, lasciando ben distinti i due campi. Si ha così l’arte cristiana, che non consiste in una tecnica o in uno stile particolari, ma in una sua interiore ispirazione che può animare qualsiasi tipo di arte. Ecco, dunque, tre osservazioni di Maritain sull’arte religiosa: «Non c’è uno stile riservato all’arte religiosa, non c’è una tecnica religiosa»; «l’arte sacra si trova in una dipendenza assoluta nei confronti della sapienza teologica»; «un’opera d’arte sacra deve essere religiosa. Essa non è bella senza questo, perché il bello suppone essenzialmente l’integrità di tutte le condizioni richieste».

Niente “originalate”, dunque, ma la capacità di trasmettere bellezza e il contatto nel sacro con l’Assoluto!

 

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