10 dicembre 2018

Immacolata e analfabetismo religioso (di G.Biffi)

di Cardinale Giacomo Biffi
(da Piena di Grazia)
Non si ripeterà mai abbastanza che non è la ragione a insidiare e a mettere in pericolo la fede. Al contrario, la ragione, quando non si stanca di ragionare, aiuta la fede a prendere dimora stabile e feconda nella nostra mente e a radicarsi nell’intelligenza umana.
Il grande ostacolo che la divina Rivelazione quotidianamente incontra comunicandosi agli uomini, è prima di tutto il nostro volontario e tenace analfabetismo religioso, che ci fa immaginare e magari deplorare ciò che nell’insegnamento cristiano non c’è; che ci induce a parlare senza titubanza di cose che non conosciamo affatto nemmeno nei termini più elementari; che insomma in materia di fede ci porta tanto spesso a prendere lucciole per lanterne.
Un esempio chiaro di questo curioso fenomeno di compiaciuta ignoranza riguarda proprio la verità che è al centro della nostra festa di oggi.

L’Immacolata Concezione di Maria non significa affatto che la venuta all’esistenza della madre di Gesù non abbia seguito la via della normale generazione. E neppure è da questa espressione che viene denotata la stupenda certezza della prerogativa verginale, conservata intatta in ogni momento dalla Madre di Dio. Molti scrittori e pubblicisti, anche di qualche fama, hanno su questo punto le idee confuse.
«Immacolata Concezione» vuol dire semplicemente che dal primo istante di vita la Madonna non fu mai contaminata dal peccato, neanche da quello originale che è la triste eredità di ogni uomo al suo ingresso nell’esistenza.
Ma anche la nostra superficialità ci impedisce di cogliere nella sua integralità il valore di ciò che il Creatore ha pensato e disposto per noi. Anche noi che frequentiamo le assemblee ecclesiali, troppo spesso passiamo accanto ai prodigi di Dio senza stupore e senza commozione, imbambolati e torpidi come un uomo rozzo e senza gusto messo di fronte alle meraviglie dell’arte.

Perciò la Chiesa – una maestra che ci conosce bene – annualmente ci presenta i tesori dell’annuncio evangelico invitandoci alle molteplici celebrazioni del ciclo liturgico, in modo che dal clima di festa e di preghiera, variamente e successivamente riproposto, tutto l’essere nostro risulti illuminato e nutrito della divina verità.

Oggi, a superare la nostra distrazione, vogliamo riflettere su una piccolissima locuzione, che abbiamo raccolto dalla voce dell’angelo annunciatore: «Piena di grazia».
Se la parola «immacolata» ci presenta la realtà interiore della Madonna nel suo aspetto negativo (vale a dire, ci ricorda ciò che la Madonna non ha avuto e non ha: non ha nessuna macchia di peccato né personale né originale), la parola «grazia» offre alla nostra contemplazione il mondo spirituale della Madre di Dio nella sua valenza positiva, richiamandoci la ricchezza di cui si ingentilisce l’anima sua.
«Grazia» indica prima di tutto «bellezza». Maria ne è tutta rivestita e adorna. Proprio nella liturgia di oggi la Chiesa a lei si rivolge chiamandola: «Tota pulchra»; cioè: «Tutta bella».

In lei la bellezza non è, come spesso nel mondo, né bugiarda né mortificata e nascosta. Bugiarda è la bellezza quando è solo esteriore, quando non ha rispondenze nella nobiltà, nella generosità, nella rettitudine della coscienza e del cuore. Mortificata è la bellezza quando è solo interiore, ed è velata agli sguardi da un aspetto corporeo senza avvenenza.
In Maria c’è già la verità del mondo nuovo ed eterno, dove tutte le persone buone saranno anche belle e tutte le persone belle saranno impreziosite di dentro da una sostanziale giustizia e da un autentico amore: «Tota pulchra», nelle membra e nell’anima.
Ma «grazia» è soprattutto la vita nuova che dalla redenzione di Cristo per l’azione dello Spirito Santo è regalata all’uomo, che così diventa figlio di Dio e viene riscattato da tutto il deterioramento proveniente dal peccato.

Questa vita si è accesa anche in noi col battesimo e si accresce a misura della nostra coerenza nella professione cristiana. Ma in Maria possiede una totalità inarrivabile – «piena di grazia», appunto – perché nessuna creatura mai è stata come lei così intima e così partecipe della divina vitalità. Nessuno è stato come lei così radicalmente del Signore, così docile alle sue esigenze di assoluta purezza, così aperto all’energia santificatrice e trasformante dello Spirito; tanto che a lei sola il messaggero celeste può dire con rigorosa e totale verità: «Il Signore è con te... Lo Spirito Santo scenderà su di te» (Luca 1,28.35).
«Grazia» è parola che evoca anche gratitudine, il primo dovere che tutti noi abbiamo verso il Padre celeste, noi che in Cristo siamo stati «scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità» (Efesini 1,4).

Purtroppo noi dimentichiamo spesso di ringraziare: ci torna facile lamentarsi di ciò che non abbiamo, piuttosto che cantare la nostra riconoscenza per il destino di luce e di gioia che ci è stato assegnato. Maria invece di ringraziare non si scorda mai. Il «Magnificat», che è fiorito sulle sue labbra nell’episodio dell’incontro con Elisabetta, dal suo cuore si eleva senza interruzione, in ogni momento, a nome proprio e a nome di tutti noi, che siamo sempre i suoi figli anche se spesso disattenti e ingrati.
«Piena di grazia» infine vuol dire «piena di grazie», cioè sempre disposta a intercedere per noi presso il trono di Dio. «Madonna delle grazie» è un titolo che fregia spesso i santuari mariani: è il frutto della felice esperienza dei credenti, che sanno di potersi rivolgere a questa Madre dolcissima con la certezza di ottenere sempre il loro vero bene.
Chiediamo dunque, anche oggi, per l’intercessione di Maria, i favori che più ardentemente il nostro cuore desidera. Ma in particolare chiediamo il dono singolare di assomigliarle: assomigliare a lei nella bellezza interiore; assomigliare a lei nella fedeltà senza incrinature all’amicizia con Dio; assomigliare a lei nel vivo e continuo sentimento di riconoscenza verso colui «che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale» (Efesini 1,3) e ci ha costituiti perché sempre vivessimo «a lode della sua gloria» (Efesini 1,4).


 

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