28 giugno 2018

Il puntatore. Non è solo un problema di religione

di Aurelio Porfiri
A volte, quando si parla dei cosiddetti tradizionalisti, si sentono critiche sulla loro intransigenza, fanatismo, chiusura mentale. Ora, non è negabile che una parte del mondo tradizionalista possa cadere nelle categorie di cui sopra, che si potrebbero però applicare pari pari ad esponenti del mondo progressista, che sono intransigenti, fanatici e chiusi mentalmente nelle loro opinioni, più e peggio dei tradizionalisti. Vi basta sfidare alcune di queste opinioni per conoscere la feroce e spietata persecuzione ed isolamento a cui si viene implacabilmente condannati. Infatti, quando sento parlare di misericordia da quelle parti, mi giro dall’altra parte. E’ solo una parola vuota per nascondere ben altre intenzioni.

Ma tornando al mondo tradizionalista, termine che non mi piace applicare a me stesso pur ritrovandomi in tante delle loro posizioni, io credo che oramai la questione non si debba porre nemmeno più in senso religioso. Infatti quello che è in gioco non è solo il destino della santa religione, ma anche quello della civiltà tutta, che riguarda anche chi religioso non è. Quindi, le battaglie di questo mondo “identitario” sono battaglie che partono da motivazioni religiose proprio perché esse attengono a quanto ci è naturale, la famosa legge naturale che non è tanto la legge della natura selvaggia ma il piano che Dio ha posto naturalmente nelle sue creature.

Chi si batte dal fronte identitario, si batte non solo per la sua religione, ma anche per la sua umanità, per la sua civiltà. Dire che una famiglia è fatta da uomo e donna, che l’attrazione fra uomo e donna fa parte del nostro essere, che a Dio dobbiamo il meglio di quello che possiamo, che il mondo va redento dalla fede e non il contrario, sono tutte cose che interessano coloro che pur non varcando la soglia della fede non vogliono abdicare i valori più sacri su cui è stata fondata la nostra convivenza. Ma la battaglia è sempre più ardua...

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