In principio fu la “gioiosa
macchina da guerra” di Achille Occhetto, infrantasi contro la discesa in campo
di un noto tycoon brianzolo, di nome
Silvio Berlusconi. Diciannove anni dopo, doveva essere il momento dell’attesa
rivincita, il giaguaro era pronto per essere smacchiato: è arrivata, come al
solito, una tranvata pazzesca.
E’ stato un voto di “pancia”, si
legge sui giornali, e probabilmente è vero. Si è trattato, in ogni caso, di
elezioni dalle quali sono uscite alcune indicazioni politiche senz’altro
positive. Innanzitutto, com’è ovvio, l’ennesima clamorosa sconfitta della
sinistra italiana. E’ come se gli italiani avessero detto: signori, ci fate
talmente schifo che non vi votiamo neanche sotto tortura, neanche quando
votarvi sembrerebbe l’unica soluzione ragionevole. Per non parlare dei
trombati: Pannella, la Bonino, Fini, Bocchino, Di Pietro, Ingroia, la Concia, la
Bongiorno. Ma non è tutto.
Durante questa campagna
elettorale, avevo maturato la decisione di votare per lo schieramento di
centro-destra, principalmente sulla base di due ragioni. La prima riguardava il
futuro riassetto del sistema politico italiano, in particolare del lato destro
dello schieramento: si trattava di dimostrare che esistono ancora i numeri per
un centro-destra che non sia "moderato", ma nazionale e popolare (con
tutti i limiti che sappiamo) e che questo centro-destra può tornare a essere
maggioritario.
L’insuccesso della "salita in campo" montiana e il fatto che la coalizione a guida berlusconiana abbia limitato i
danni con una battagliera campagna elettorale, conseguendo circa il 30% dei suffragi, ha perfettamente realizzato
questo mio auspicio. Come ha scritto Marco Damilano sull’Espresso, “Berlusconi,
una volta per tutte, stracciando Monti dimostra che venti anni non sono passati
invano: non ci sono più i democristiani, i moderati, esiste un elettorato che
si può definire nel bene e nel male berlusconiano, come i peronisti in
Argentina o, se si preferisce, i gollisti in Francia, movimenti sopravvissuti
ai padri fondatori proprio per la loro capacità di plasmare un pezzo di società”.
Occhio, però, a cantare vittoria: l’intera coalizione di centro-destra ha perso
sette milioni di voti rispetto al 2008, finiti in gran parte nell’astensione o
nel voto a Grillo (sul quale ho già scritto altrove). Il fatto che, nelle condizioni date, si sia salvato il
salvabile e che né Bersani né i centristi siano riusciti a fare di meglio non
deve indurre a un’inopportuna euforia, come quella emersa – comprensibilmente –
nelle ore successive al voto: bisognerà chiedersi invece come sia stato
possibile gettare al vento in questi anni una maggioranza strutturale che si
era consolidata nel Paese e quale sia la strada per poterla ricostituire
nuovamente, nel corso dei prossimi anni.
La seconda ragione risiedeva nel
dibattito sulla politica europea: piaccia o non piaccia, in questa campagna
elettorale Silvio Berlusconi è stato l’unico tra i principali contendenti
(escludendo Grillo) a contestare alla radice la cura di austerità imposta ai
Paesi deboli dall’Europa a guida tedesca, l’unico ad attaccare frontalmente la
gestione fallimentare della crisi dell’Eurozona portata avanti dall’attuale
leadership del Vecchio Continente.
I risultati di queste elezioni
parlano molto chiaro: i vincitori predestinati, Bersani e Monti, ai quali
strizzavano l’occhio gli eurocrati, la stampa e la finanza internazionale e i
politicanti di Berlino, hanno perso clamorosamente. Circa il 60% degli
italiani recatisi alla urne ha detto “no”
agli scomposti tentativi di ingerenza esterna nella vita politica italiana e a una
terapia che sta definitivamente ammazzando il malato. E’ questo il vero dato
politico di questo voto, che non tutti i commentatori, troppo presi dallo
scontro destra-sinistra-Grillo, hanno messo sufficientemente in risalto.
Se avessimo una sinistra degna di
questo nome, l’esito delle elezioni – nessuna coalizione con più del 30% dei
voti, nessuna maggioranza al Senato, successo delle forze “euroscettiche” o
critiche nei confronti dell’austerità – avrebbe dovuto spingerla a proporre una
grande coalizione al PdL, con al centro le riforme istituzionali, ma anche e
soprattutto con l’obiettivo di andare in Europa a battere i pugni sul tavolo,
per chiedere una reale inversione di tendenza, che passasse ad esempio
attraverso la rinegoziazione del Fiscal Compact. Questo, se la sinistra fosse
una cosa seria e non un insieme di personaggi accecati dall’antiberlusconismo e culturalmente del tutto subalterni all'eurocrazia di Bruxelles.
Invece, niente: lo spauracchio del
Caimano è ancora troppo ingombrante. Così, Bersani volge lo sguardo a Grillo, il vero vincitore di queste elezioni, tentando
un approccio improbabile, considerati gli insulti volati in campagna
elettorale. E' la consueta sindrome dell’autosufficienza, che magari spingerà la
sinistra, a meno che la realtà non la riconduca a più miti consigli, anche a
monopolizzare per sé e per i suoi accoliti tutte le più alte cariche dello Stato, come già accaduto nel 2006.
Se il risultato politico di
queste elezioni è stato positivo, o comunque migliore delle attese, le
conseguenze per il governo del Paese rischiano dunque di farsi incerte: ci
troviamo in un vero e proprio cul de sac,
con una matassa molto complicata da sbrogliare. Anche sul piano dei “principi
non negoziabili”, è bene non esaltarsi troppo per l’imprevista non-vittoria
della sinistra: i parlamentari grillini sono pronti a darle man forte. Le
prossime settimane ci daranno maggiori indicazioni sugli scenari futuri. Grande
è la confusione sotto il cielo: vedremo se la situazione potrà dirsi ottima.
Pubblicato il 28 febbraio 2013
Poiché gli eletti tra le file del M5S non sono abituati al potere, è possibile che si facciano singolarmente "comprare" dall'una o dall'altra fazione? Cioè, è possibile che Berlusconi o Bersani comprino qualche parlamentare grillino?
RispondiEliminaEcco chi l'ha votato :)
RispondiEliminaGeorge guarda che è molto più facile comprare i maneggioni,che quelli non abituati al potere.
RispondiEliminaFrank77
@George: onestamente non credo ad "acquisti singoli", anche perché, considerati i numeri, servirebbero a poco. E' possibile, invece, che vi sia un ammutinamento: i gruppi parlamentari del M5S potrebbero, in tutto o in parte, ribellarsi ai diktat di Grillo e spingere per un'alleanza politica, più o meno esplicita, con il PD. Vedremo a partire dai prossimi giorni se un'ipotesi del genere potrà verificarsi.
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